E’ stata inaugurata al Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia, la mostra fotografica “Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini”. Erano presenti Flavia Leonarduzzi, presidente del Centro Studi, il sindaco di Casarsa, Claudio Colussi, il curatore della mostra, Roberto Chiesi, critico cinematografico e responsabile del Centro Studi–Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna e lo studioso Giacomo Trevisan. In mostra sono esposte quaranta fotografie di scena scattate durante le riprese da Angelo Novi, preziosa documentazione concessa in prestito dalla Cineteca di Bologna, sapientemente analizzata e interpretata nei saggi pubblicati nel catalogo, a firma di Chiesi, Trevisan e Marco Vanelli.
Il Vangelo secondo Matteo compie 60 anni
Il sessantesimo anniversario dall’uscita del film è stata l’occasione per ripercorrere e approfondire quello che è stato definito dall'”Osservatore Romano” – nonostante il regista si sia sempre dichiarato ateo e comunista – il miglior film mai realizzato su Cristo. Un film che ha volutamente fatto tabula rasa di “tutta la paccottiglia con cui il cinema fino ad allora aveva rappresentato la sua figura” (Chiesi). Pasolini ha sceltocome ambientazione, tra le altre, Matera, che all’epoca era tra le zone più povere del nostro paese ed era considerata la vergogna d’Italia per le condizioni in cui viveva la sua popolazione.
Una scelta radicale che puntava a sconvolgere lo spettatore, utilizzando come attori persone prese dalla strada, volti che davano corpo alla miseria degli anni dell’industrializzazione italiana. Oggi che nel cinema è tutto plasificato e omologato, questa scelta ai nostri occhi risulta ancora più rivoluzionaria. Pasolini con questo film ha voluto esaltare l’uomo Gesù, usando uno sguardo che punta alla realtà, alla corporeità, al quotidiano e al tempo stesso facendo un’operazione culturale che si ispirava all’arte sacra non in modo pedestre, ma incarnandola nelle inquadrature, nella composizione delle scene, nella scelta dei costumi, ripresi dai dipinti di Piero della Francesca.
Il reportage
Chiesi nel suo saggio sottolinea il desiderio di Pasolini di rappresentare l’isolamento, la solitudine del Cristo nella sua esperienza terrena. E Angelo Novi, nel suo reportage sul set, aderisce a questo universo figurativo. Il suo sguardo attento ci consente di soffermarci sui luoghi stretti e scoscesi privilegiati dal regista, che costringono gli attori a movimenti scomodi, mettendo in risalto la volontà pasoliniana di rendere la fisicità dell’uomo nello spazio costringendolo alla fatica dello stare in luoghi disagevoli.
Giacomo Trevisan ha focalizzato invece la sua attenzione sul momento della crocifissione a cui Pasolini ha spesso fatto aderire la scena della sua morte. La crocifissione come evento ambivalente: desiderio di umiliazione e al tempo stesso di esaltazione. Una sorta di emblema personale, che Pasolini immaginava per sé e che viene sublimato anche nella scelta di affidare il ruolo di Maria all’amatissima madre, Susanna Colussi.
La maggior parte delle fotografie sono in bianco e nero, ma alcune a colori ci permettono di vedere come erano nella realtà i costumi realizzati per il film da Danilo Donati, come ad esempio il rosso degli abiti dei sacerdoti.
L’esposizione su Il Vangelo secondo Matteo
La mostra consta di quattro sezioni: 1) Volti e corpi, tra cui spicca l’intenso ritratto di Enrique Irazoqui che ha intepretato Gesù; 2) La reinvenzione dei luoghi, dove ritroviamo le cascatelle di Chia (Viterbo) e le campagne di Cutro (Crotone); 3) La sacralità dei rituali; 4) La realtà del set.An
La mostra, a ingresso libero, rimarà aperta al Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia (PN), Via Guidalberto Pasolini n. 4, fino al prossimo 25 agosto, con orario: lunedì-venerdì 15-19, sabato e domenica 10.30-12.30, 15-19.
Angelo Novi
Angelo Novi (Lanzo d’Intelvi, Como, 1930-1997) ha lavorato per trent’anni come fotografo con alcuni dei più noti registi italiani del suo tempo, come Bernardo Bertolucci, Sergio Leone e Pier Paolo Pasolini. Ha studiato all’Accademia di Brera a Milano e dal 1952 ha iniziato a lavorare come fotoreporter con l’agenzia Publifoto. La capacità di catturare l’attimo decisivo, ispirata da idoli come Henri Cartier-Bresson e Robert Capa, è un elemento importante per il suo stile fotografico. Che si è poi affinato nel suo lavoro di fotografo di scena. In totale, come fotografo di scena, ha collaborato a circa 25 film tra il 1962 e il 1997. Inoltre ha interpretato il ruolo di un frate nel film Il buono, il brutto, il cattivo (1966). Successivamente ebbe una piccola parte anche nel film Il mio nome è Nessuno (1973).