C’è una pagina “minore” di Luigi Einaudi (nato 150 anni fa) rievocata sul Sole 24 Ore da Salvatore Carrubba, che mi ha commosso. Il futuro Presidente della Repubblica, esiliato in Svizzera (1944), aveva scritto di Dogliani, “borgo di campagna in un giorno di fiera”, per spiegare, da grande economista qual era, “come sia” il mercato. La fiera paesana – semplifica Carrubba, interpretando il pensiero einaudiano – riassume i tratti del mercato autentico, che non è tale se non ci sono le regole, le istituzioni e l’etica, rappresentate “dal cappello a due punte della coppia di carabinieri”, dal diritto e dal parroco.
Quell’accenno al borgo di campagna, al quale Einaudi pensava con nostalgia, mi rimanda ai nostri paesi e alle fiere che li animano ancora oggi secondo rituali antichi: rituali civili praticati nel mezzo di un secolo che sta costruendo per l’immediato futuro macchine autonome, i robot, per produrre i beni necessari alla comunità.
Dai nostri paesi – dai borghi materni – siamo partiti a migliaia, sulle strade della grande migrazione interna: semplici provinciali che hanno dato cittadini alle città, lasciando per sempre i piccoli comuni per abitare in capoluoghi di provincia o nelle più lontane megalopoli. L’esperienza del transito generazionale dalla provincia alla realtà urbana si è trasformata lentamente in coscienza sociale, in cultura: un processo che ha avuto il suo peso anche emotivo, come quella nostalgia che si era annidata nel cuore di Luigi Einaudi lontano dal suo Piemonte.
L’arte incontra l’ecologia
L’abbiamo visto accadere alla Biennale: l’Arte del nostro tempo sta scoprendo l’Ecologia, non solo come pensiero ma come azione, per esempio con la pittura. Del resto, proprio la pittura può essere un audace strumento filosofico e letterario perché, come è stato detto, “getta luce dove la parola fallisce”, e “scruta sotto la superficie della realtà”.
Non dovremmo mai dimenticare, comunque, che l’arte visiva – nel nostro caso – è una forma di conoscenza non solo estetica: l’incontro con la problematica ecologica doveva avvenire, era solo questione di tempo, e oggi è quel tempo.
Per gli artisti si tratta di una sfida nella perenne ricerca di senso da dare al proprio lavoro. Un esempio vicino a noi è la singolare mostra di pittura intitolata L’ombra verde dell’artista friulana Giusi Naletto ospitata nella galleria White Space in calle Legrenzi a Mestre.
La segnalo perché si tratta di una curiosa occasione culturale la cui originalità risiede nel fatto che, con questi suoi dipinti, la nostra artista rovescia la narrazione corrente sul rapporto uomo-natura. Infatti, nella sua visione – suscitata da empatia per le creazioni dell’Umanità – accade che tutta la vegetazione del mondo si è connessa e la Rete delle radici l’ha trasformata in un famelico “mantello” vivente che sta divorando il paesaggio con tutto il suo carico di biodiversità e di storia.
Naletto ha dipinto una via crucis della Terra, dove una Foresta anomala si è ribellata alle leggi di natura e aggredisce come un tumore il pianeta azzurro. L’inesorabile “ombra verde” inghiotte la realtà e assorbe anche il tempo della civiltà umana.
Siamo davanti alle immagini di una utopia negativa, e per fortuna si tratta di un sogno d’artista, ovvero di una metafora poetica che alla fine lascia trasparire uno spiraglio di luce.
Citazione
“Che cos’è la nostra vita? Il cammino
di un viandante: appena ha raggiunto
un certo luogo, gli si aprono le porte,
abbandona gli abiti da pellegrino
ed entra in casa sua”.
Giovanni di Kronstadt, mistico russo
(1828-1908)
Manoscritto trovato in un libro di Joseph Conrad
(poesia)
Nelle tremule terre che esalano l’estate
il giorno è invisibile tanto è bianco. Il giorno
è una striatura crudele in una persiana,
un fulgore nelle coste e una febbre nella pianura.
Ma l’antica notte è profonda come un vaso
di acqua concava. L’acqua si apre a infinite forme,
e in oziose canoe, davanti alle stelle,
l’uomo misura il vago tempo con il sigaro.
Il fumo ombreggia di grigio le costellazioni
remote. L’immediato perde preistoria e nome.
Il mondo è alcune tenere imprecisioni.
Il fiume, il primo fiume. L’uomo, il primo uomo.
Jorge Luis Borges
Da Tutte le opere, I Millenni Mondadori, 1984
Luigi Einaudi – un nome per me molto famigliare, come se l’avessi conosciuto personalmente. Negli primi anni ’60, ho avuto la fortuna di lavorare nell’unica istituzione internazionale di Basilea, la BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali), che negli anni ’30 aveva scelto Basilea come sede in Europa. Non era la “solita” Banca con sportelli, ma di organizzazione e collaborazione tra molte istituzioni europee e oltre europee. Il mio capo, il Cav.Gr.Croce, Dott. Antonio d’Aroma, rappresentava la Banca d’Italia, dov’era stato la mano destra, oltre a grande amico, di Luigi Einaudi, sia al Quirinale come a capo della Banca d’Italia. Lui adorava Luigi Einaudi, aveva sul suo enorme tavolo la foto del suo idolo, incorniciato d’argento, e quando raccontava dei tempi passati con lui e della sua famiglia, gli brillavano gli occhi. Possedeva tutti i suoi scritti, le sue pubblicazioni, e spesso faceva conferenze su di lui, con entusiasmo e grande affetto. Era un periodo d’oro anche per me, interrotto per seguire mio marito veneto in Italia!