In tanti mi chiedono se torneremo a cercare e a ricevere il contatto umano che in questo periodo sta forzosamente mancando. Torneremo ad abbracciarci? Saremo di nuovo vicini? Le cose torneranno “come prima”? Si tratta di una preoccupazione più che legittima, legata al vedere ogni giorno il mondo che cambia per via di una pandemia che è al di fuori del nostro controllo e della nostra volontà.
Ma davvero ci abbracciavamo?
Ma davvero c’era tutto questo contatto fisico e questo calore umano nella nostra società? In realtà una serie di dati e di rilevazioni degli ultimi anni a livello nazionale e internazionale dicevano il contrario. Anzi, mostravano una costante diminuzione delle interazioni e della qualità dei rapporti. Prima del 2020 stavamo vedendo una vera e propria esplosione del fenomeno degli hikikomori – persone che vivono recluse in casa e, spesso, usano solo la tecnologia per comunicare – e un aumento del tempo passato dai più giovani davanti al computer o alla console. L’utilizzo dei social sempre più massiccio stava facendo passare poco tempo insieme anche i meno giovani e, nel frattempo, l’architettura stessa delle tecnologie di comunicazione stava facendo diventare i dialoghi e il dibattito pubblico aggressivi e polarizzati. Anche le app e i programmi di dating non avevano mai goduto di migliore salute: l’eliminazione di gran parte del “lavoro” relazionale necessario a costruire un rapporto o anche solo un’occasione, evidentemente, era un servizio gradito. Quindi la risposta breve alla domanda di cui sopra è: “più no che si”. Il 2019 non è stato l’anno dell’abbraccio, dell’empatia, dell’amicizia e del mutuo supporto.
Forse abbiamo un occasione
L’emergenza COVID 19 in questa prospettiva ha soltanto velocizzato una serie di processi già in atto, legati allo sviluppo tecnologico. Tra questi, ha tolto in un’unica soluzione una gran parte delle occasioni di contatto che stavano lentamente sparendo di anno in anno. Il re è nudo: ci siamo accorti che l’interazione, la vicinanza, il calore hanno un valore e abbiamo paura di non poterli mai più ritrovare. Se li avessimo persi per strada anno dopo anno ci avremmo messo molto più tempo ad renderci conto che qualcosa stava succedendo. Invece abbiamo avuto una sveglia collettiva repentina e forte, che può spaventarci, paralizzarci e gettarci nello sconforto o può farci scegliere di combattere per ciò che della nostra civiltà vale veramente la pena di essere salvato.
Vedersi meno, vedersi meglio?
Certi processi non faranno completamente marcia indietro, ma può essere un bene. Ad esempio l’urbanizzazione selvaggia e forzata dell’ultimo secolo è probabilmente già un retaggio del passato. È possibile che cercheremo più spazio individuale, e che molto spesso useremo le tecnologie per lavorare da remoto e per comunicare. Ma allora, se sviluppiamo la consapevolezza dell’importanza dei rapporti e del calore, possiamo far valere quanto più possibile ogni occasione di contatto personale. Gli incontri dal vivo, gli abbracci, la possibilità di toccarci devono diventare la nostra grande ricchezza e tenerci in una dimensione sociale ed emotiva di profonda umanità. E anche online, dobbiamo sviluppare empatia, pazienza e accettazione dell’altro, in contrapposizione all’individualismo e all’imposizione del sé che ha imperato negli ultimi anni.
Volontà condivisa
Non si tratta di un comportamento individuale o collettivo che può essere imposto dal legislatore di turno. Non è misurabile o sanzionabile come il portare una mascherina in certe situazioni o in certi orari. C’è bisogno di un’evoluzione culturale che riscopra le nostre radici umane e ci permetta di scongiurare un futuro fatto di piccole stanze (per i più poveri) e case ben distanziate da giardini privati (per i più ricchi) tutte interconnesse da computer e magari da visori di realtà virtuale. Quella che sembrava una distopia da film di fantascienza oggi è più che mai una realtà dietro l’angolo, ma non è l’unico futuro possibile. Dobbiamo capire a livello collettivo, dalla classe dirigente del paese a ciascun cittadino, che la missione di chi vive in questo secolo è di prendere il meglio della società del passato e delle possibilità della tecnologia presente, per costruire un futuro ricco di possibilità e ancora a misura umana.