Mestre, questa sconosciuta: vivace e in parte degradata, non più serbatoio industriale del nordest, non ancora avvezza all’overtourism che la sta progressivamente coinvolgendo, con gli albergoni a poco prezzo per far dormire le carovane, a poca distanza dalla laguna. Una citta, Mestre, dalle tante lingue, dall’hijab ai ristoranti cinesi, dal sushi ai tamburi africani. Mestre che, nonostante tutto, tende sempre ad includere. La descrivono bene, nelle sue contraddizioni, i racconti dell’antologia Mestrini per sempre, appena uscita per i tipi di Edizioni della Sera, a cura di Annalisa Bruni e Nilla Patrizia Licciardo: sedici scrittori originari o trasferiti a Mestre che la raccontano, dagli anni della faticosa e caotica ricostruzione postbellica ai decenni Settanta-Ottanta. Scopriamo, oltre ogni pregiudizio, un luogo strano, non una propaggine veneziana, ma un centro con una propria autonomia.
Mestrini per sempre, l’introduzione di Edoardo Pittalis

Edoardo Pittalis, nell’efficace introduzione al volume, racconta di aver definito Mestre “la più bella città del Veneto”: bella anche se disarmonica, architettonicamente venuta su alla buona, ma di sicuro la meno provinciale, la più giovane. C’è stata un’epoca, dopo i formidabili anni Sessanta del boom economico, in cui Mestre non era solo il dormitorio delle decine di migliaia di operai che lavoravano a Porto Marghera. Era una città di famiglie, molte fuggite da Venezia dopo l’alluvione del ’66; molte altre in cerca di un’occupazione sicura, o di maggiori comodità. Formidabile in questo senso Trasloco di Annalisa Bruni, autobiografico, in cui si descrive bambina veneziana venuta ad abitare in terraferma: tutto le appare sorprendente, dai termosifoni al boiler per scaldare l’acqua, alla strada percorsa da rombanti automobili, all’odore dell’aria. Un autentico salto di prospettiva.
Gli autori di Mestrini per sempre

Alcuni autori sono già molto conosciuti come scrittori, come Diana Chiarin o Massimiliano Nuzzolo; ci sono giornalisti come Mitia Chiarin e Stefano Pittarello, musicisti come Enrico Brion, poete come Michela Manente. Tutti, però, hanno trovato una chiave originale per descrivere la propria città, con orgoglio, convinzione e un po’ di nostalgia: Fiorella Borin racconta la condizione operaia, la fatica di mantenere la famiglia; Mauro Rugger va con la memoria alle imboscate naziste viste con gli occhi dei bambini.
Tutto intorno, rappresentano Mestre anche le frazioni, da Carpenedo a Chirignago, ciascuna con un’identità ben definita; persino i gatti di Forte Marghera sono mestrini doc. È assolutamente mestrina anche la vasca dei pesci rossi in piazzale Sicilia (poi diventata piazzale Donatori di Sangue), prima che le grandi vele di ferro di Nicola Carrino la facessero diventare solo un ricordo. O la tradizione dei tramezzini più gonfi d’Italia, il teatro d’avanguardia e l’acquisizione da parte dei giovani di una diversa coscienza politico-sociale.
Mestre, una magnifica sorella

Si potrebbe obiettare trattarsi di un clima che non esiste più, di un mondo risucchiato nelle maglie di un presente a tratti incomprensibile. Eppure, nonostante le inevitabili trasformazioni, come scrive nella postfazione Maria Laura Faccini, «La capacità di resilienza di Mestre alle avversità oggettive antiche e presenti rende questa città più forte, una città e non un quartiere della magnifica sorella …». E, come ogni città che si rispetti, capace d’insperate, immaginifiche e rivoluzionarie soluzioni.
Ringrazio Francesca Brandes che ha letto e recensito l’antologia con la consueta sensibilità e intelligenza. Le sue recensioni sono sempre speciali. ❤️
Complimenti Francesca
Grazie Francesca della splendida recensione. Onorata di averne fatto parte
Ringrazio anch’io Francesca Brandes per la sua accurata recensione.