Per la prima volta ci troviamo in un paese diviso per aree con restrizioni e limitazioni diverse. Zone gialle in cui la vita scorre più o meno come nelle settimane scorse, zone arancioni con la ristorazione completamente chiusa e restrizioni alla mobilità, e zone rosse con restrizioni tali da ricordare il lockdown. E per tutti, coprifuoco alle 22. Il Veneto parte come zona gialla, ma un aspetto caratteristico di questa nuova condizione è che il colore di ciascuna regione potrà cambiare a seconda dell’evoluzione dei contagi, anche in relazione alla capacità di ciascun Sistema Sanitario Regionale di contenerli
Veneto giallo, per quanto?
Il Veneto è partito in zona gialla, subendo le minori restrizioni possibili, probabilmente anche grazie a mediazioni politiche e per il credito guadagnato nei mesi passati per aver ben gestito l’emergenza. Ma la nostra regione è stata tra le più in bilico: l’indice di contagio è oggettivamente alto. Questo caso ci fa riflettere sulla possibilità di vivere e pianificare a medio termine: oggi non è possibile. Tra dieci giorni potrebbe cambiare tutto.
Un primo consiglio per la vita nell’Italia a zone, dunque, è quello di vivere nel presente. Il pranzo sui colli (in 4 e ben distanziati), facciamolo oggi se è possibile, la settimana prossima non è sicuro che si potrà. Se proprio si vuole pianificare a medio-lungo termine, conviene farlo pensando alle maggiori restrizioni possibili. Ad esempio, se voglio avviare un’attività lavorativa posso pensare di farla nascere online immaginando già che i miei clienti non possano recarsi da me. L’incertezza del futuro è uno degli aspetti più pericolosi di questa emergenza sanitaria: pensare ogni momento a cosa potrebbe succedere domani, guardare costantemente gli aggiornamenti, avere come unico argomento di conversazione il possibile passaggio di colore della propria regione non fa bene né a noi né a chi ci sta vicino.
Parenti e amici in zone arancione o rossa, e adesso?
Purtroppo, c’è poco da fare in questo caso: dalle zone arancioni o rosse non si esce e non si entra. Addurre motivazioni lavorative o situazioni di necessità non è un’opzione tanto per i rischi che si correrebbe quanto per il fatto che sarebbe semplicemente sbagliato. Ancora una volta, dobbiamo familiarizzare con le tecnologie e farcele piacere. Nessuno che abbia più di 15 anni si trova completamente a suo agio a stare con altri su Skype, Zoom o Meet. Semplicemente non è la stessa cosa. Eppure, per un po’ di tempo, questa sarà la nostra realtà. Nel rapportarci con i nostri cari via webcam, ricordiamo che sono sempre loro, sono le persone a cui vogliamo bene anche se non possiamo toccarle. Non è facile, un intermediario ingombrante e limitante come il computer rischia di deumanizzare i nostri interlocutori. Per questo i nostri ricordi e la nostra umanità sono la cosa più importante e ciò a cui dobbiamo aggrapparci con tutte le nostre forze.
È quasi un anno che siamo in emergenza, finirà mai?
La risposta non può che essere una: si. Il quando e il come sono ancora da definire, se ne usciremo grazie a un vaccino, a un protocollo terapeutico efficace, allo sviluppo di sistemi di diagnostica immediata non è ancora dato saperlo, ma questa condizione di incertezza e fortissima limitazione delle prospettive finirà. È passata la peste nera, quando l’umanità non conosceva nemmeno l’antibiotico, e questo virus non ha una mortalità tale da impedirci di trovare una soluzione. L’umanità è già in azione e soluzioni arriveranno, ma oggi non è facile percepirlo. Quando la pressione è così forte e l’incertezza è totale la possibilità di cadere nel baratro della disperazione è un rischio concreto. Ogni momento dobbiamo farci forza, specialmente con le persone a noi care, e ricordarci che si tratta di un periodo storico che, come ogni fase nella storia umana, ha avuto un inizio e avrà una fine. Se proprio dobbiamo sviluppare un pensiero fisso, quasi ossessivo, che sia questo: l’emergenza sanitaria finirà. E riprenderemo a sognare.