Sulla questione Fondaco dei Tedeschi, pubblichiamo l’intervento di Giovanni Dalla Costa, in occasione della presentazione all’Ateneo Veneto della riedizione del libro Un altro Fontego. Storie di città, assieme agli altri coautori Alessandro Bianchini, Mario Coglitore e Alberto Semi. Di seguito pubblichiamo anche una sintesi degli interventi di Bianchini e di Coglitore. Era assente, per motivi di salute, Antonio Alberto Semi. A fare gli onori di casa per l’Ateneo e a introdurre il dibattito su un argomento così attuale è stata la presidente Antonella Magaraggia.

Più di 12 anni per dibattere sul futuro del Fondaco dei Tedeschi

Sono passati più di 12 anni da quando cominciammo a discutere il futuro del Fondaco dei Tedeschi, più di 15 anni da quando Rem Koolhaas iniziò a progettarne la rifunzionalizzazione in grande magazzino del lusso.
Un progetto e una realizzazione conservativi su buona parte degli elementi architettonici della fabbrica, a mio parere discutibilmente radicali in alcune scelte formali e costruttive dettate dalla destinazione prevista e presumibilmente con l’intenzione di evidenziare il precedente intervento strutturale, mettendo a nudo porzioni di elementi in cemento armato risalenti all’intervento di consolidamento degli anni trenta, tradendone tuttavia uno dei principi restaurativi fondanti: che tali strutture rimanessero, come previsto dalla disciplina di allora, celate sotto gli intonaci, ovvero “dissimulate, per non alterare l’aspetto e il carattere dell’edificio”.
In realtà le previsioni d’utilizzo del piano terra del primissimo progetto di Koolhaas erano diverse da quanto infine realizzato, più vicine a quanto pattuito tra la proprietà e il Comune, oltre che alle nostre aspettative: l’idea era di trasformare il piano terra del Fontego in un altro campo, con la corte coperta da utilizzarsi per le più diverse iniziative, rendendo l’edificio permeabile, attraversabile, il più possibile un luogo pubblico per manifestazioni ed eventi, destinando a ciò addirittura maggiore superficie di quella assegnata dalle Poste, in tal modo superando definitivamente il carattere introspettivo e di encláve del Fontego originario e relazionandolo quindi maggiormente al campo san Bortolomio e al reticolo di calli circostante.
Dal Fontego al Fondaco dei Tedeschi

Nel 2014 Edizione si accordò con DFS per la gestione del Fontego per la vendita di beni di lusso, generando tensioni con i progettisti e modifiche al progetto originario, portando ad un’opera realizzata in cui risulta impossibile la lettura complessiva della fabbrica sia del Nuovo che del Vecchio Fontego, in ragione dell’invasività degli allestimenti e arredi realizzati oltre che dell’impostazione esclusivamente commerciale e della negazione della corte quale spazio libero di relazione, con la totale ridicolizzazione dell’utilizzo pubblico.
Arriviamo ad oggi, all’indomani della prospettata chiusura delle attività.
La situazione appare ancora più complicata, in quanto ormai l’edificio ha definitivamente cambiato la destinazione d’uso in commerciale e la convenzione con il Comune è sottoscritta, con obblighi di utilizzo pubblico limitatissimi e comunque a noi impercepibili.
Il futuro

Pensando pertanto al futuro, a un nuovo utilizzo, quello del riallestimento degli spazi commerciali sembra l’ostacolo più piccolo alle nostre aspettative, in quanto ad oggi le attese sono diverse e verosimilmente incompatibili.
Da un lato la proprietà e il futuro gestore che vorranno garantirsi utili di un certo livello, con parametri di finanza globale più che di economia reale.
Dall’altro le nostre attese e della comunità cittadina, che spera in un segnale di cambiamento e allontanamento dal trito modello di sfruttamento commerciale della città, con una possibile concreta ricaduta positiva in termini di parziale fruizione pubblica.
Fondaco dei Tedeschi una situazione in stallo

Ma fintanto che a Venezia si continuerà a prediligere un ruolo da città-vetrina la situazione del Nuovo Fontego, per come è nata, rischia verosimilmente di rimanere bloccata per diverso tempo (come già successo per l’adiacente spazio Coin) – considerando la conclamata crisi generalizzata del comparto del lusso – o comunque destinata a intraprendere la via già percorsa, con una formula del tutto analoga.
Se si cominciasse invece a strutturare una differente idea di Città, verosimilmente per questo, come per altri luoghi, si potrebbe aprire un destino diverso. Una città non più occupata ossessivamente a vendere e a trarre profitto dalla sua immagine, ma piuttosto a tutelare e valorizzare le sue caratteristiche uniche con creativa operatività, recuperando così quello spirito che, nel tempo, ha prodotto quell’immagine.
Quindi una città che, oltre a tutelare i suoi beni culturali e ambientali, sappia produrre beni di qualità – materiali e immateriali – e anche commercializzarli, che sappia attirare e incentivare l’ingresso e la permanenza di altre economie oltre a quella turistica, l’ingresso e la permanenza di soggetti attivi nella produzione di servizi, nella ricerca, nella produzione culturale, start-ups nei più diversi campi delle scienze, delle arti e dei mestieri.
Ci sono già svariati soggetti (sia istituzionali che privati) che svolgono tali attività e che testimoniano il desiderio di realizzare un destino diverso, di reagire alle insostenibili pressioni che la città-vetrina genera sul vivere quotidiano, ormai ogni giorno e quasi per tutto l’anno; esse vanno incoraggiate e vanno create le condizioni affinché le iniziative si moltiplichino e si consolidino le reti tra operatori, oltre che le esperienze e i saperi.
La mancanza di un programma

Ci sarebbe bisogno di un programma politico-amministrativo di medio-lungo periodo che individui esplicitamente questo obiettivo, sostenibile e condiviso, un programma capace di indirizzare e gestire senza squilibri lo sviluppo del territorio e delle comunità, a cui riferire tutte le politiche metropolitane, in grado di attrarre con ogni incentivo (fiscale, ma anche con leggi/statuti speciali) iniziative compatibili con una città nuovamente vivibile.
In tal modo si determinerebbe anche nuovo indotto occupazionale e di residenzialità, rimettendo in moto la catena dei servizi alla persona e alle imprese e facendo rivivere il tessuto cittadino.
La stessa citta potrebbe aiutare il Fondaco dei Tedeschi

La città ha le caratteristiche urbane ideali per accogliere tale modello: è policentricamente aggregata per insulae, è pedonale e acquea, organizzata in una fitta rete gerarchica di calli e canali, parte di un più ampio sistema geografico-metropolitano-ambientale (laguna-gronda lagunare-terraferma), ha una densità urbana di forte contiguità fisica che incentiva naturalmente i rapporti tra le persone.
È necessario potenziare le reti, fisiche e immateriali, migliorare i trasporti e le infrastrutture; ristrutturare l’economia turistica, riducendone i numeri e incentivando la permanenza di medio-lungo periodo contro quella giornaliera e più in generale il turismo di qualità (che non necessariamente è quello più ricco, ma è quello più interessato e consapevole dei valori che il visitare disvela); far convivere i profitti legittimi con la qualità di vita della città e dei suoi cittadini.
Tornando alla nostra fabbrica, che chiaramente ha un forte carico simbolico rispetto ai destini della città, ciò che desideriamo è un Fondaco che lavora e produce, ma attraversabile, vivibile, aperto e conoscibile, capace anche di mostrare e valorizzare le sue storie e i numerosi “segni”, testimonianza di passaggi epocali, ma anche di microstorie, per trasmetterne i fondanti valori collettivi.
