Mi hanno impressionato due brevi incontri a Mestre, domenica scorsa verso mezzogiorno: un giovane, che sta uscendo dalla piazza rumorosa per la folla sotto le luminarie natalizie, lancia uno sguardo veloce alla facciata del Duomo e, senza fermarsi,fa il segno della croce. Poco dopo, stesso luogo: una mamma entra nella piazza e, rivolta al figlioletto che le stringe la mano, dice: “Andiamo a salutare Gesù?” Il piccolo dice “No, dopo”, gli occhi puntati sulla bella e rumorosa folla delle bancarelle.
Forse, mi chiedo con sorpresa, la religiosità,che si dice in piena crisi epocale, forse si nasconde in questi istanti, è andata a rifugiarsinegli spazi del cuore? “È l’Avvento”, suggerisce la Signora N., e ricorda: “che per i credenti è tempo di attesa, di preparazione al Natale, un tempo carico di speranza”.
Che grande parola è la speranza, carica d’una forza che non sappiamo o non vogliamo usare sempre, perché crediamo che sia statica quando, invece, è dinamica, e ci viene in aiuto in momenti di crisi, di sgomento, e allora diciamo “Ha da passà ‘a nuttata”, come sperava il mitico Eduardo. Quando tuttodella realtà sembra diventare ghiaccio, la speranza è come il vento caldo del sud che lo scioglie.Oggi, il Natale comunque celebrato e sperato, è una meta, tanto più ferma nel nostro tempo in cui “vita e storia sono il quotidiano, continuo trionfo del provvisorio” (M. Bontempelli).
Certo non si spera tutti nello stesso modo. Addirittura, c’è chi “non vede” la speranza. Ma ci sono anche persone che ci insegnano a riconoscerla. Per esempio, un famoso scrittore francese, Georges Bernanos ha scritto: “Per incontrare la speranza bisogna andare al di là della disperazione” cioè raggiungere un confine di dolore, di paura ecc. e superarlo, ciò che avviene “quando si va fino alla fine della notte e si incontra una nuova aurora”.
Nella speranza c’è anche la forza del coraggio. Ecco come ha scritto una donna straordinaria, Etty Hillesum, deportata nel campo di sterminio di Auschwitz: “Ma cosa credete che non veda il filo spinato, non veda i forni crematori, non veda il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e in quello spicchio di cielo che ho nel mio cuore vedo libertà e bellezza. Non ci credete? Invece è così”.
Era il novembre 1943, Etty aveva 29 anni quando morì nel lager, come dire in un cerchio dell’inferno che si era diffuso sulla terra. Eppure…..
La fabbrica e lo spirito
(citazione)
Perché lavorando ogni giorno tra le pareti della fabbrica e le macchine e i banchi e gli altri uomini per produrre qualcosa che vediamo correre nelle vie del mondo e ritornare a noi in salari che sono poi pane, vino e casa, partecipiamo ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica, alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale.[1955, Pozzuoli]
Adriano Olivetti, Ai lavoratori, Edizioni di Comunità 2012
Meditazione 2
(poesia)
Se togli l’ossigeno all’acqua
della vaschetta, sigillandola,
il pesciolino rosso muore.
Se chiudi gli spazi di libertà
all’Homo sapiens, la specie
diventerà strame della Storia.
Se negherai il pane al derelitto
farai sacrilegio più che peccato:
non sai che il povero è sacro?
Se chiudi le porte del futuro
spargendo veleni, la gioventù
cadrà come l’erba falciata.
Se ascolterai le nere Sirene
dei padroni, ele seguirai,
chi mai ti libererà dal giogo?
Se ruberai l’amore agli altri,
che ne sarà di te? Bivaccherai
nel deserto del tuo orgoglio.
Anonimo‘24
La speranza – questa fondamentale forza astratta, che non possiamo né vedere – né toccare – né copiare, è da sempre onnipresente in tutti noi. Guai se non ci fosse, non possiamo farne a meno.
Va a pari passo con la fede, per molti la fede è speranza.
Quanti scrittori e filosofi hanno cercato di definirla, spiegarla.
È una forza astratta come l’amore – chi mai è riuscito a definirlo. Mi arrendo e lascio a persone più preparate di me sia definizioni che conclusioni.