Chi di noi pensa mai alla presenza della Stazione spaziale internazionale (sigla Iss) che incessantemente passa sopra le nostre teste dal lontano 1998? Ci dovrebbe interessare, se non altro perché lassù in questi giorni è tornata anche la nostra famosa astronauta Samantha Cristoforetti. La Stazione “che corre nel cielo” è una costruzione tecnologica orbitante come un piccolo satellite (artificiale) attorno al pianeta, un’isola d’acciaio abitata, cioè carica di umanità: i suoi abitanti, che si alternano, tutti astronauti-scienziati di diverse nazionalità, ci osservano, ci studiano, fanno ricerca sullo spazio.
Noi non vediamo loro, ma il pensiero ci unisce, anzi il vincolo è ancora più forte: detto in metafora, l’equipaggio è come l’avamposto dell’umanità sulle rive del Cosmo, cioè in un punto X di quello spazio stellato che a lungo ha fatto da teatro ai sogni di Isaac Asimov, mentre oggi è ambìto dal miliardario-visionario Elon Musk.

Quell’arca tecnologica targata U come Umanità si muove sfrecciando ai confini celesti, splendente vascello su una rotta circolare. Lassù, gli astronauti terrestri vivono in pace: lassù la convivenza è sacra, si vive e si lavora per il bene comune, lontani dai rumori della vita quotidiana oggi straziata dalla guerra.
Ecco allora uno spunto da meditare: la lontananza da questo suolo “che ci fa tanto feroci” non cancella i legami fra i sapiens.

A proposito di questa distanza fra noi terricoli e loro spaziali, ho trovato alcuni detti del saggio Yoda. Per esempio: “Il lontano, a volte, può essere vicino, e non lo sai”. Frase sibillina, che però fa pensare. E ancora, in modo allusivo: “Il cielo sopra di noi non è abitato solo dalle nuvole. Esiste un Oltre questo cielo che non è fatto su misura per le creature planetarie ma è infinitamente plurale, dinamico, divino forse.”
Attendere, prego

Voci registrate ci invitano un po’ ovunque a usare il nostro tempo con due parole: “Attendere prego”, che potrebbero ripetersi all’infinito, come il moto perpetuo, meccanicamente. Le sentiamo ovunque, e ci portano a considerare il peso strategico di una parola nella nostra esistenza, anzi nel nostro tempo: è l’attesa, questa specie di segnatempo che accompagna la specie umana. I nostri giorni sono pieni di queste bolle di tempo sterile in cui i ritmi vitali sembrano spenti, qualunque sia la situazione: c’è l’attesa del parto, del treno che ci porta lontano, l’attesa dei profughi in mare per un porto sicuro, l’innamorato dubitoso che aspetta un sì, e adesso ci sono gli ucraini che aspettano la tregua… Attese come anelli dell’esistere.
Ci sono, poi, le attese dei momenti critici, come quelle dei malati ricoverati in ospedale all’inizio della notte quando si contano le ore che stanno lentamente consumandosi sul filo sottile dell’angoscia.
Questi pochi esempi di attese abitate dal silenzio ci portano a una considerazione: aspettare non è oziare ma un diverso agire. In effetti, i pensieri non dormono, anzi, sciami di pensieri e di interrogativi si mettono in moto quasi senza la nostra volontà. E l’attesa diventa una specie di vigile resistenza del corpo alla pressione della realtà: così nel crepuscolo di una stanza d’ospedale, per esempio, dove i tuoi compagni tossiscono, russano, gemono, tu spingi il pensiero ardenteuesti esempi di nel labirinto mentale così come l’infermiera spinge verso l’alba il carrello medicale lungo il corridoio incantato. In fondo, dice il saggio, l’attesa è parte viva del tempo che ci trascina.
La vita stessa (pensiero religioso o fatalista) è tutta un’attesa. E sempre una qualche voce, non solo registrata, dirà: Attendere, prego.
Un’idea di futurvax
L’orizzonte epidemico si sta allargando di nuovo: altri virus mutanti ci avvertono di possibili pericoli incombenti. I “nostri” coronavirus sono colonizzatori nati da processi di metamorfosi che avvengono dentro quella speciale materia che è la persona umana: in noi, in tutti gli umani, brulicano miliardi di patogeni e formano un organismo parallelo, uno specifico bioma, sicché possiamo dire che noi siamo il loro ecosistema ambulante. La pandemia sì prende nuove vite ogni giorno, la resistenza psichica vacilla. Che cosa ci può succedere ancora? Domanda che facciamo al vento della storia e a noi stessi fiaccati, illusi di vedere la luce in fondo al tunnel lungo più di due anni.

Le risposte circolano, più o meno realistiche (“Non abbiamo la sfera magica…”) o pessimistiche. Il fatto è, molto semplicemente, che dobbiamo continuare attivando la responsabilità personale: forse ci aiuterà il mio Cavalier Vax, nobile e poetico combattente per la liberazione dal coronavirus, che oggi torna a dare battaglia. Il personaggio ha uno spirito eroico (beato lui) che forse vorrebbe trasmettere a noi per forza di un contagio che direi spirituale o ideale. Risponderemo alle nuove e vecchie domande come possiamo, chiedendo a noi stessi di essere partecipi delle sue gesta con comportamenti adeguati quanto, ahinoi, risaputi.
La bella e la bestia

(poesia)
La bella ingannatrice
ha sbattuto la porta
finalmente
come la patria
ed è scomparsa
nella Storia.
La bella, dunque, ingannatrice
e la Patria
hanno qualcosa in comune:
entrambe dietro a sé lasciano
ragazzi
che moriranno
per loro.
Guerra, 1991
Ferida Durakovic
Da Si paga con la vita (Sarajevo 1991-2012), Il ponte del sale editore,
Rovigo 2015