Infaticabile animatore culturale, uomo di profonda fede, francescano autentico nella cura al fratello più umile e diseredato, e al contempo fine intellettuale e giornalista; docente e confessore; religioso di grande spiritualità, ma anche laicissimo facitore di iniziative, e seminatore di idee; pragmatico nelle realizzazioni, visionario nei progetti. E’ stato questo Francesco Ruffato, padre francescano minore conventuale, scomparso il 24 gennaio scorso, all’età di 91 anni, dopo un rapido aggravarsi delle condizioni di salute. Era incardinato nel convento del Santo a Padova, dove risiedeva dal 2001, ma la sua attività pastorale l’ha condotto in giro per l’Italia, da Milano a Como, a Mestre, prima di tornare nella città di Antonio, nella quale s’era formato da giovane. Dove veniva inviato lasciava un segno, generava realtà nuove, cristianamente e umanamente.
Chi era Padre Ruffato
Nato a Santa Giustina in Colle (PD) il 5 novembre 1932 era entrato in seminario a Camposampiero nel 1945 e ordinato presbitero a Padova il 14 marzo 1959. Mestre, dove ha trascorso 25 anni presso la parrocchia del Sacro Cuore, dal 1976 al 2001, è stata la sua città d’adozione. Grande l’eredità culturale lasciata: dal Centro culturale Kolbe, alla Polifonica Benedetto Marcello, alla scuola di Giornalismo “Arturo Chiodi”. E poi ancora Televita, il servizio di telesoccorso per gli anziani, e l’ostello per le donne immigrate, servizi innovativi a favore degli ultimi in una città in rapido cambiamento che attraeva manodopera straniera. D’altra parte qualche anno prima il religioso, appena arrivato a Mestre, metteva in piedi i primi “corsi di 150 ore” per garantire un diploma ai tanti lavoratori che venivano a lavorare nelle fabbriche di Porto Marghera.
Il ricordo di Bettin
Il Centro, col teatro ricavato da una vecchia chiesa, è diventato in pochi anni uno dei luoghi di produzione e dibattito culturali più fervidi della Terraferma veneziana per un oltre un ventennio. “L’idea base del Centro – scriveva Gianfranco Bettin, allora prosindaco di Mestre – fin dalle origini è stata l’intreccio tra dimensione generosa dell’impegno e perseguimento di proprie vocazioni culturali, per loro natura plurali. Da qui l’ampiezza e la diversità dei terreni di lavoro del Kolbe, sempre con una spiccatissima vocazione sociale sorretta da un nitido respiro spirituale capace di unire concreta e presente carità francescana e profetismo cristiano, presenza viva nell’oggi e lungimiranza. Ciò ha fatto del Centro una realtà singolare nel panorama della città”.
Padre Francesco Ruffato è professore e animatore appassionato, colto e instancabile, ma anche giornalista, firma di quotidiani locali e nazionali, collaboratore di emittenti radiofoniche private e della Rai. Coglie l’importanza decisiva dell’informazione e si inventa con Arturo Chiodi, alla fine degli anni ’80, la scuola di formazione al giornalismo, palestra di scrittura ma anche di etica e impegno civile. In quelle aule per trent’anni sono passati oltre un migliaio di allievi provenienti da tutto il Nordest.
Padre Ruffato e la passione per il teatro
Da un’altra delle sue passioni, quella per il teatro, nascono le sue tante produzioni: un originale format tra l’oratorio sacro, l’atto unico e il musical nel quale Ruffato si cimenta portando in scena sue originali produzioni che scandagliano grandi figure di cristiani: da don Primo Mazzolari, a Tonino Bello da Giovanni XXIII allo stesso Padre Massimiliano Kolbe. Spicca il testo teatrale che compone per l’amico Giuseppe Taliercio, direttore del Petrolchimico, sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1981.
Ne esce una commovente immagine di un uomo mite e libero. Per capire la forza e la fede di questo francescano, “catturato dall’olocausto di padre kolbe e dagli scritti profetici di don Primo Mazzolari”, basta ricordare quanto ebbe a scrivere su se stesso: “Da quando mia madre mi ha raccontato di Gesù risorto, non ho più paura dei cimiteri, dei morti. E anche l’inferno mi sembra una tomba scoperchiata dalla speranza. Difficile trovare concorrenti alla sua Pasqua”.
Il mio rapporto con Padre Ruffato
Per ricordare il sacerdote, ecco un ritratto che scrissi nel 2001, uscito nel volume “Dare un cuore alla città”, che raccoglieva una serie di testimonianze ammirate e riconoscenti sul frate in procinto di partire per Padova per il suo nuovo incarico.
Un prete scomodo
Ci sono preti comodi e preti scomodi. Quelli distribuiscono sacramenti e tranquillizzano le coscienze. Questi invece le tormentano. I primi aspettano il fedele in canonica e sorridono a tutti, i secondi prediligono le “pecore nere” e non cercano simpatie. La topografia ideale dei primi sta tra la sacrestia e il patronato, quella dei secondi è la strada, poche visite pastorali ma tante telefonate nottetempo.
Se i primi sono, forse, utili, i secondi sono sempre stati necessari.
Padre Francesco appartiene, senza scampo, a quest’ultima minoritaria categoria, perché è uno di quei sacerdoti che ti si para innanzi, si fa pietra d’inciampo. E poi non puoi che benedire o maledire d’averlo incontrato. Non puoi che amarlo o odiarlo, ma comunque non riuscirai ad andartene indifferente. E se pensi alla fede come pura consolazione e luogo di pace, lui ti dichiara guerra. E la combatte finché non sarai costretto ad ammettere che l’essere cristiano è tremenda, ma essenziale “complicazione” della vita. Non è un caso che i suoi preti preferiti siano gente come Tonino Bello, don Mazzolari, o il cardinal Romero. Sacerdoti ostici, scabrosi, impossibili.
La sua voglia di far pensare
Solo così capisci e spieghi quell’aspetto da molti immediatamente sottolineato in Francesco come di un sacerdote sempre in cerca di volontari per realizzare l’ultimo dei suoi progetti. Così insistente da far sbottare, così ostinato da toccare l’invadenza. Questa è la sua scomodità più evidente, ma anche la più banale e superficiale. La sua più intima scomodità sta in altro: Francesco provoca al pensare, ben prima che all’agire; mette a repentaglio i tuoi sentimenti prima che i comportamenti. Ti induce a litigare con le tue certezze, prima che litigare con chi ti sta vicino perché, magari, t’allontani da casa un’ora di troppo, a causa sua. Ti costringe da prete a fare sul serio il laico.
Padre Francesco mi ricorda un po’ un giocatore d’azzardo. Uno che alla roulette punta tutto sulla tua disponibilità a lasciarti coinvolgere dai rischi del Vangelo. E’ un buon pokerista che “va a vedere” sempre le tue carte, per poi rilanciare. Qualche volta anche bluffando, perché non ha nulla in mano, se non la convinzione in un’idea ancora tutta da realizzare. Così è nato, per esempio, il Centro Kolbe e così anche la Scuola di Giornalismo: scommesse vinte da un inguaribile giocatore, straordinariamente abile ad alzare la posta del tuo credo.