Due mondiali di calcio di fila senza l’Italia. Fa male per una Nazionale che ha vinto il titolo 4 volte ed è andata 6 volte in finale. Parliamo di una delle squadre con più titoli al mondo. Sembrava fatta già nel girone di qualificazione, poi si è complicata la vita con due rigori sbagliati e qualche errore di troppo. Poteva riaprire la porta col minimo sforzo, la Macedonia del Nord ha spento anche le più piccole illusioni. Battuti da una squadra che normalmente gli azzurri del pallone incontrano per le amichevoli prima dei grandi impegni. Ma anche così l’Italia siamo noi.
E battuti con vergogna
Dopo aver sbagliato il possibile, essersi seduti senza orgoglio, aver dato l’impressione di non capirci più niente. Non c’era più nulla né tatticamente, né tecnicamente, nemmeno mentalmente. Chi ha detto che era senz’anima non è andato lontano dalla verità. Ed era quasi la stessa squadra che pochi mesi prima aveva vinto il campionato europeo forse un po’ a sorpresa, magari anche con un po’ di fortuna, sicuramente con pieno merito. Questa volta neppure un briciolo d’orgoglio o una scheggia di umiltà. Giusto non andare in Qatar.
L’italia siamo noi. Anche da dentro o fuori
Era una di quelle partite o dentro o fuori, non devi sbagliare, non devi tremare davanti a una nazionale macedone nettamente inferiore. Invece, la squadra ha mostrato tutti i suoi limiti. Ha sbagliato gol a porta vuota, pasticciato; ha schierato uomini stanchissimi e senza lucidità.
Se si esclude Verratti, il solo a creare gioco, gli altri si potevano cambiare tutti. Si sapeva che questa era una squadra senza centravanti, ma allora è inutile creare occasioni da gol se non hai chi tira in porta. Non c’era davanti uno di peso, Insigne e Immobili sono parsi fantasmi, tanto valeva perso per perso buttare nella mischia Balotelli. E’ anche vero che al centro delle maggiori squadre nazionali ci sono ormai quasi soltanto stranieri.
Che cosa è successo all’Italia siamo noi?
Era una nazionale allegra, aveva talenti, giocava un calcio a tratti anche divertente, perché si è smarrita in così poco tempo? A pensarci bene non è una novità. Come dice Arrigo Sacchi, con l’eccezione straordinaria dell’Europeo, le squadre italiane non vincono niente dal 2010. L’ultima è l’Inter del Triplete targato Mourinho. Da allora niente di niente. Date uno sguardo alla Champions di quest’anno: tra le otto europee finaliste non c’è un’italiana! Brutto segnale.
Italia siamo noi e la crisi
I miracoli non si ripetono, il nostro calcio rispetto a quelli continentali è rimasto e rimane ai margini. Certo senza idee è difficile andare avanti e cambiare. Forse la crisi è strutturale, il mancato mondiale finirà per aggravarla danneggiando un’industria che muove miliardi di euro. Ci sono già grandi difficoltà, la storia dei bilanci sta inguaiando anche società apparentemente solide, si rischia una rivoluzione dettata più dalla giustizia che dalla classifica. Molte società italiane non sono più italiane, i capitali stranieri sono entrati nelle massime serie: americani, italoamericani, inglesi, cinesi, russi, arabi.
I bei tempi del “vecchio” pallone
Una volta l’Inter era di Moratti e il Milan di Berlusconi, oggi non si sa di chi sono. E nemmeno il Bologna, la Fiorentina, il Venezia, la Roma, tanto per citarne qualcuna. Una volta la prima preoccupazione delle società era quella di creare in casa la squadra del futuro; si investiva sui vivai, si costruivano giovani calciatori, anche con severità nei comportamenti e non solo sul campo. Oggi si compra tutto fuori, si fa incetta di ragazzini in ogni parte del mondo, quasi a stock; tanto più che il talento servono per operazioni più o meno limpide, la più semplice si chiama plusvalenza.
Non si può competere. L’Italia siamo noi fa un passo indietro
Così non si costruisce, si distrugge e poi si precipita tra debiti e illeciti. Meno che meno si compete col calcio inglese o con quello tedesco o spagnolo. Si resta sempre ai margini e si rimediano brutte figure.
Bisogna cambiare, invertire la tendenza
Non serve fermarsi per piangere o lamentarsi, altrimenti tra quattro anni sarà tutto uguale a oggi. Qualcosa di buono c’è in giro, giovani di talento vero non mancano, si può ripartire da Zaniolo, Chiesa, Scamacca, per citarne qualcuno. Si possono conservare alcuni uomini d’esperienza che insegnino prima di tutto l’orgoglio per la maglia e l’esperienza internazionale fondamentale per imparare qualche lezione. Se è una crisi di sistema, è il sistema che deve essere cambiato.
Una proposta per rilanciare l’ Italia siamo noi. Almeno nel calcio
A incominciare dallo snellimento delle massime serie: troppe 20 squadre per una A di peso; troppe 20 in B e troppi tre gironi della C. La selezione richiede coraggio, ma è la sola strada da seguire.
Ci vuole coraggio anche per intervenire sulle cifre spesso paurose per gente che deve ancora dimostrare tutto, sull’ossequio esagerato a procuratori che trattano i calciatori come merce da sfruttare sul mercato.
Non sempre è colpa dell’allenatore
Non serve fare il processo a Roberto Mancini, è già stato eccezionale a far vincere un Europeo imprevisto; non serve incolpare Donnarumma che resta il miglior portiere che ci sia in circolazione; nemmeno accusare Insigne che tradirà Napoli per milioni e milioni in Canada o Belotti che per milioni andrà in Spagna. Bisognerebbe trovare il coraggio di ripartire con umiltà e sapendo che sì, siamo stati grandi campioni, ma adesso abbiamo bisogno di imparare anche dalla modestissima Macedonia.
Senza trascurare il fatto che il pallone è un po’ lo specchio dell’Italia siamo noi
Ci riflette esattamente come siamo, capaci di grandi imprese e anche di figuracce. Difficile stupirci se ci guardiamo allo specchio.
Chi scrive ha l’età per aver visto le altre volte che l’Italia ai mondiali non c’era. Da bambino alle prese con i primi album di figurine di calciatori ho visto in tv la partita a Belfast nell’inverno del 1958 in cui l’Irlanda del Nord fece fuori gli azzurri dai mondiali di Svezia, quelli poi vinti dal Brasile e che hanno consacrato il giovanissimo Pelè.
Un po’ di storia
Fu anche quella una partita persa per presunzione, gettata via per supponenza in un pomeriggio di fango e neve. La modestissima Irlanda rifilò due gol a una formazione che aveva in campo anche dei campioni del mondo, come gli uruguaiani Schiaffino e Chiggia. Dopo l’esclusione il presidente del Coni, Giulio Onesti, sparò sui grandi presidenti, sugli acquisti degli stranieri, sulla “trovata dell’oriundo, che ha ormai una sua letteratura”.
Oriundi di ogni genere per i quali si inventavano improbabilissimi antenati italiani
A Belfast c’erano quattro oriundi: Ghiggia, Schiaffino, Montuori, Da Costa. Non si trattava dei più scarsi, erano tutti fuoriclasse. Forse risultava difficile rintracciare l’italianità di Ghiggia, ma gli altri avevano sicuri antenati tra i milioni di italiani emigrati nelle Americhe. Fu un fuoco di paglia, stavano arrivando di corsa Altafini, Sivori, Maschio e Angelillo, per incominciare. Ma qualcuno da incolpare bisognava pure trovarlo, è la solita tattica.
Il 2018 e “quell’Italia siamo noi” sfumata per la Svezia
Per completare il quadro aggiungete la mancata qualificazione ai mondiali del 2018, l’Italia allenata da Ventura sconfitta con la Svezia,. Si giocava in Russia e vinse la Francia. Quattro anni fa di questi giorni il problema russo era completare gli stadi e garantire le riprese televisive.
Aggiungete l’ultima eliminazione ad opera della Macedonia
Anzi, l’ultima partita ha fatto gridare al bis della Corea. Erano i mondiali in Inghilterra del 1966, per passare il turno agli azzurri del commissario unico “Topolino” Fabbri bastava vincere con la modestissima esordiente squadra della Corea del Nord. Fabbri non aveva dubbi: “Sarebbe il colmo se la Corea ci sconfiggesse. Roba da non occuparsi più di calcio”. E puntualmente accade. A fulminare quell’estate italiana ci pensò con un tiro modesto il modesto presunto odontotecnico coreano Pak do Ik che infilò la porta di Enrico Albertosi e precipitò all’inferno il ricco calcio azzurro. La sola attenuante fu che si era fatto male Bulgarelli e non c’erano sostituzioni.
Un’umiliazione in più per l’Italia siamo noi
Per Gino Palumbo sul Corriere della Sera “Il calcio italiano ha ricevuto oggi la umiliazione più cocente della sua lunga storia”. Qualcuno commentò perfino con punte di razzismo: “Nei giornali di ieri la partita perduta è diventata un oltraggio alla Patria, uno schiaffo tanto bruciante in quanto vibrato al nostro orgoglio da degli essere “inferiori”, da dei “gialli”…”.
Attenzione ai cambiamenti del tempo
I tempi cambiano, ci vuole poco nel calcio per diventare inferiori e poi gli imbecilli non si distinguono dal colore della pelle o della maglia. Ma credo che la Corea resti “Corea” ancora per il nostro calcio. Questa contro la Macedonia è una lezione.
Prendiamola come una lezione. Davvero l’Italia siamo noi?
Dalla quale si può imparare: siamo in crisi, lo sappiamo, se non si fa niente tanto vale chiudere bottega. Senza mai perdere di vista che attorno sta accadendo qualcosa di ben più grave di una sconfitta a pallone. Per esempio: quest’anno i mondiali di calcio in Russia non si sarebbe mai potuti giocare. Peccato tornare a casa nel silenzio più assoluto.