La sclerosi del pensiero, fenomeno che indurisce le idee fino a trasformarle in pietre, è un ostacolo al dialogo – oggi – fra vaccinati e non vaccinati (un classico italiano fra bianchi e neri, rossi e gialli ecc.) In questo periodo di transizione verso un futuro liberato dalla pandemia, un vecchio amico mi ha suggerito un argomento che aiuterebbe a sciogliere, forse, i pre-giudizi degli estremisti resistenti anti vax. Dice: “Partiamo da quello che ci accomuna, che ci appartiene: il novax dovrà ammettere di essere non dico italiano ma almeno veneto, di vivere nella terra dei padri e delle madri, di avere una patria insomma, cioè un bene di altissimo valore. Ebbene, se un nemico invadesse la patria, il novaxiano starebbe a guardare i saccheggi, lo sterminio, gli stupri? Non credo”, dice il mio amico: “Si difenderebbe anche con le unghie e con i denti, e così facendo difenderebbe la famiglia, la patria, il futuro dei figli ecc. Se farebbe questo, e non ne dubito, perché non lo fa adesso, con la patria invasa da un nemico subdolo e assassino che ha già fatto centotrentamila vittime? Perché” chiede il mio amico, “non si arma (di vaccino, si capisce) e va alla guerra del virus?”
Io ho capito la metafora. E quanti altri?
Dal diario di un adulto

“Apri la finestra all’ora di cena e il buio accoglie la nostra malinconia. Unaluce su un davanzale dialoga
con le stelle, mai così remote. Là, nell’universo,
ardono altri soli, appena nati, e sono catastrofi incommensurabili: parola di astronomi.
Come il grande Leopardi, affacciati alla finestra della vita, compariamo la nostra finitudine a quell’immensità.
E pensiamo – amarissimo pensiero – che oggi un granello infinitesimo di biodiversità chiamato Virus umilia il nostro orgoglioso potere di Sapiens”. (Marzo 2020)
Commento: oggi, come un anno fa, e come al tempo della seconda Guerra mondiale, non ha ancora suonato la sirena del cessato allarme.
Una voce dal Colle

Pensiamoci: un nostro illustre vicino, un italiano eletto, è il custode della legge fondamentale dello Stato ovvero il garante della Costituzione: è lui, Sergio Mattarella presidente della Repubblica. Il fatto di abitare al Quirinale (che è stato il palazzo del potere di papi e di re) non limita la sua vicinanza: è il primo dei nostri concittadini. In questo lungo periodo di depressione da pandemia, è stato lui a ricordarci il “dovere civico” della vaccinazione, e ha aspettato il suo turno in mezzo agli altri per l’iniezione; è ancora lui che ci richiama al rispetto della scienza, schierato contro la deriva antiscientifica “che porta a bloccare il futuro e riportare tutto al passato”. In particolare, alludendo, ci ha ricordato come “noi dobbiamo molto alla scienza, che ci ha consegnato i vaccini”.
Il nostro presidente – chi scrive lo sente proprio così -ha sofferto con noi i mesi neri della tragedia, e per questo sentiamo la sua emozione quando ci esorta a non dimenticare quello che abbiamo passato, “anche per rispetto ai morti”. Che sono stati più di 130 mila. Sergio Mattarella è un cittadino fra cittadini, non è lontano e irraggiungibile, chiuso in una metaforica Fortezza del Potere come lo furono altri inquilini del Quirinale, ma sta dentro la dimensione quotidiana, dove la vita e la morte accadono, così come accadono, anch’esse spinte dalla necessità, le gioie e la creatività che ci fanno italiani.
L’ora di notte

(poesia)
Suona la campanella
Sul confine della sera
e spegne ogn’altro suono;
il giorno è pura materia
per nutrire i nostri sogni.
È l’ora di notte, è la linea
di frontiera tra sole e luna
da bypassare con cuore
leggero: suona l’avemaria,
preghiera senza parole.
E volano come foglie d’oro
i rintocchi d’ogni sera,
tesoro di emozioni arrese
alla potenza del buio.
La piccola campana batte
il suo tam tam in distese
armonie aperte alla notte.
E dice “ascolta, ascolta”.
(Anonimo)