Sembra che la nuova Rai di Carlo Fuentes voglia vederci chiaro sui costi altissimi e non più sostenibili del servizio pubblico televisivo. E poi il canone non si pagherà più forzosamente con la bolletta della luce…Sembra che Il nuovo amministratore delegato voglia addirittura vendere Rai2 e Tg2. La rete nata nel 1961 per spezzare la monocultura democristiana imperante. Mentre il Tg2, ai tempi del craxismo dominante, partì con le edizioni “laiche” dal 1976. Tg1 targato Dc, Tg2 Psi. Sembrava che i tempi fossero proprio cambiati. Dopo la grande riforma dell’informazione pubblica del 1975, giusta in tempo per contrastare il futuro di Mediaset, ovvero della tv commerciale, la Rai pensò bene di dividersi democraticamente per tre.
La terza tv


Nel 1979 nasce la terza rete. La lottizzazione (neologismo nato guarda caso proprio in via Teulada), prevedeva Rai Uno democristiana, Rai Due socialista, Rai Tre comunista. Nel concorsone pubblico per giornalisti del 1979 destinati alla terza rete e ai Tg regionali, una buona fetta dei vincitori aveva la tessera del partito in tasca, ma nessuno doveva dirlo. Circolava una battuta ai tempi del pentapartito: in Rai si assumono cinque redattori: uno Dc, uno PSI, uno PCI, uno Psdi, uno Pri e…uno che lavora! Dicono che l’avesse diffusa lo stesso Craxi, in realtà l’ha pubblicata e rivendicata Enzo Biagi. L’informazione pubblica , come si diceva in quei tempi, era così completa e lottizzata.
L’arrivo del telecomando e il cambiamento della tv


C’era però un piccolissimo strumento tecnologico che condizionava la scelta del consumatore. Se di destra, di centro o di sinistra, era il telecomando a fare da padrone. La tecnica che condiziona la nostra esistenza e il nostro modo di vivere. Dall’invenzione dell’aratro in poi. Con il telecomando e l’arrivo della tv a colori, la vita delle famiglie italiane cambia e in casa ci vogliono più tivù. È la nuova schiavitù del telecomando. Si diventa “interattivi”. Ma mezzo secolo fa eravamo solo agli inizi, di una totale e futura dipendenza tecnologica. Oggi si calcola che un italiano medio adulto stia per almeno sei ore al giorno in contatto diretto con il suo smartphone o iPad.
Ragionando in vaporetto


Queste mie riflessioni sono iniziate in un vaporetto Actv. Dopo la fermata a Rialto entra un barbone visibilmente alterato dall’alcol. Guarda i passeggeri comodamente seduti e si mette a gridare: mi sembrate tutti rincoglioniti, siete tutti che guardate il telefonino, mi sembrate deficienti! I passeggeri, visto la stato di alterazione dell’individuo, non raccolgono la provocazione e le offese. Io guardo i passeggeri. Non c’è n’era uno senza lo sguardo incollato al telefonino. Il barbone aveva colpito giusto. Senza saperlo siamo passati da interattivi a bipolari.
Radio contro tv


Mi ricordo che in casa, quando ero ragazzo, prima dell’avvento massiccio delle tv, se capitava un fatto nazionale o internazionale importante, la prima domanda era: ma chi l’ha detto? Lo ha detto la radio! Ah ok, allora è vero.
Ora viviamo ai tempi di Netflix, di Sky, Dazn, Amazon. I tempi del telecomando vocale, della tv on demand.


Ma la cosa che mi fa sorridere è vedere i conduttori e le conduttrici dei Tg. Impettiti davanti alla scrivania, magari con la penna tra le mani per darsi un tono, annunciano il collegamento in diretta con l’inviato speciale. Facciamo un esempio a caso. “Disordini a Beirut, ci colleghiamo in diretta con il nostro inviato a Istambul…”, pontifica il/la mezzobusto. Risponde l’inviato speciale: “Come vedete alle mie spalle, i disordini sono cominciati all’alba…”. Il cronista ha un piglio e una prosopopea, vuole raccontarci tutto per la prima volta. C’è un particolare che gli sfugge. Noi poveri utenti-udenti-vedenti abbiamo già visto tutto o quasi dal nostro smartphone. Bastava cliccare su un canale digitale per essere già informati a puntino. Per esempio Affari Italiani, il primo del genere in Italia, è del 1996, un quarto di secolo fa. Rai, Mediaset, La7, ecc. nel breve periodo sono destinate ai ricordi, al Techetecheté.
A cosa serve dunque la tv tradizionale? Quando ci sono free-lance sparsi per il mondo che ti informano già su tutto col video-telefonino satellitare.


In questi giorni siamo quasi tutti sintonizzati sulle Olimpiadi di Tokyo e sui nostri atleti. Sono le prime Olimpiadi senza pubblico, ma manco ce ne accorgiamo. Quando a Roma nel 1960 vinse Berruti allo stadio Olimpico con gli storici 200 metri era la prima olimpiade in diretta tv. Tutti in strada o nei bar ad assistere all’evento. Un rito collettivo. Oggi vedere il nostro Marcell Jacobs vincere i cento metri lo abbiamo già ammirato da soli, dall’alto, dal basso, al ralenti, col drone. Mentre in diretta siamo già collegati con la famiglia, con la scuola che ha frequentato, con il suo primo evento sportivo. Con la sua difficile infanzia.
Una dedica


Allora mi viene un piccolo momento emotivo. Una dedica alla vecchia carta stampata e ai giornali. Quando bello è, oggi come ieri, aprire una fresca pagina di quotidiano, sentire l’odore dell’inchiostro e posizionare il nostro sguardo sull’articolo prescelto? Sarà anche un piacere archeologico. Però almeno non bipolare.