Chissà perché le grandi amicizie cominciano con una bella litigata. Raffaella Carrà e io rispettammo quella tradizione. Era la fine degli anni ‘60, entrambi alle prime armi. Io mi occupavo di spettacolo e lei debuttava in un balletto alla Rai. Non era una vamp, né lo fu quando, poi, divenne famosa. Non aveva gambe lunghe come le Kessler. Ma saltava con grande ritmo e armonia su quegli altissimi tacchi. Lo scrissi e lei non ne fu lusingata. Solo poi capì che, invece, intendevo farle un complimento. Perché era la prima volta che una donna della TV si imponeva per la sua arte anziché per il corpo. Era stato proprio questo a piacermi. Era già una grande artista al debutto non perché piacesse fisicamente, ma perché trasmetteva emozioni come pochi altri.
Raffaella Carrà non era un sex simbol
Non sono d’accordo con chi allude al primo ombelico scoperto alla TV. E neppure col Guardian che la elegge a sex simbol europeo. Aveva un bel visino pulito, ma nessun sex appeal. Era la ragazza della porta accanto, quella che tutte le mamme vorrebbero che i figli sposassero. Il suo successo era soprattutto dovuto alla semplicità.
Un’altra litigata

Litigammo di nuovo quando in Pronto Raffaella – programma galeotto che accese il grande amore con Gianni Boncompagniche ne era l’autore – protagonista era un barattolo di vetro che conteneva fagioli. Io biasimai la banalità di chiedere ai telespettatori di indovinarne il numero. Mentre sarebbe stato più istruttivo l’altezza dell’Everest o la lunghezza del Nilo, la popolazione dell’Honduras o numero e nomi dei Presidenti USA. Ma forse avevano ragione lei e Gianni. Con le mie modifiche il programma avrebbe avuto meno successo, dato che già da allora i teleutenti hanno più feeling con i fagioli che con la cultura.
Una star pulita

È stata una delle poche donne del varietà di cui si è parlato solo per la sua attività artistica. Mai uno scandalo, né un pettegolezzo. Mai polemiche con i colleghi né interventi politici. Essendo nata a Bologna e cresciuta col racconto degli orrori orditi dai nazisti sulla povera gente che abitava i paesi dell’Appennino, era di sinistra. Ma solo in pochi ne erano al corrente. Tant’è vero che persino i giornali di destra oggi la rimpiangono. Io lo venni a sapere perché un giorno mi convocò Giorgio Cingoli, ultimo direttore di Paese Sera che cercava un corrispondente da Pechino. Mi disse che a fargli il mio nome erano stati Raffaella Carrà e Gianni Boncompagni. Avevo accettato la lusinghiera proposta, ma poi dovetti rinunciarvi perché seppi che avrei dovuto prendere la tessera del PCI. Quando ringraziai Gianni e Raffaella, lei disse che pur avendomi segnalato aveva previsto la mia rinuncia.
50 anni di amicizia con Raffaella Carrà
Tra affetto e polemiche, abbracci e critiche, ma sempre con grande stima e amicizia, sono trascorsi 50 anni senza accorgercene. Certo, per motivi di età e di naturale minore intensità della reciproca attività, ci vedevamo sempre meno spesso, ma sapevamo di esserci. Finché un giorno di qualche settimana fa, che speravo di vederla e non mi rispose, mi preoccupai. Non era mai successo. Ecco perché capii che non stava bene. Aspettai che si rimettesse e mi chiamasse. Invece, accadde il peggio. Arrivò la brutta notizia.
Non si sfrutta il dolore

Dispiace molto, ma capita prima o poi a tutti. Invece, non dovrebbe capitare, di non rispettare la morte e, anzi, sfruttarla. È quello che purtroppo è successo a Raffaella. Persino esagerata nella sua discrezione e riservatezza, abituata a entrare in punta di piedi nelle case dei telespettatori in tanti paesi del mondo solo per la durata dello spettacolo, dopo il decesso è stata usata come una clava. Contro il suo carattere e le abitudini ha assillato per diversi giorni l’Italia – non so gli altri paesi, dove aveva altrettanto successo – con un’aggressione compulsiva che non ne ha gratificato la memoria.
La “mia” Raffaella Carrà

Aveva certamente auspicato esequie intime e private con i pochi amici con cui di solito non si rievocano trionfi e successi, ma i momenti più critici della vita, magari scherzandoci. Gli inizi incerti, fallimenti, delusioni, sacrifici, rinunce. Tutt’al più, arrossendo come spesso le capitava, si ricordano le prime soddisfazioni. Le esagerazioni che ci hanno propinato hanno persino offeso la sua memoria ricordandola con una prepotenza da diva che vuole entrare a tutti i costi nel ricordo della gente. Cioè esattamente come non era Raffaella, una semplice ragazza cui era capitato un successo di cui era certamente orgogliosa, ma che forse la intimidiva.
Sono molto d’accordo sullo sfruttamento da parte di giornali e tv sulla sua morte: servizi lunghissimi in apertura e chiusura dei tg, pagine e pagine sui quotidiani. Un’esagerazione insopportabile.