Non è un caso che le due parole vengano usate come sinonimi ma la loro storia è ben diversa, e tale dovrebbe essere anche il loro uso. Il kitsch accompagna la storia della comunicazione da sempre. Non è altro che un modo dilettantistico e improvvisato di fare comunicazione. Producendo solo effetti estetici e ornamentali senza la minima conoscenza del mondo o esprimere una forza e comunicativa autonoma. Non per nulla la traduzione più adatta è “cattivo gusto”. Quando la comunicazione, nella sua evoluzione, è chiamata a fare i conti con le tecnologie di riproduzione e diffusione, il kitsch esplode come fenomeno di massa. In questa prima fase il kitsch è considerato un’esasperazione della sensibilità personale e, più recentemente, ad attribuire una opposta tendenza radicalizzante al kitsch, definendolo come ricerca di un mero effetto, delle sole reazioni del pubblico.
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Dal kitsch al trash
Nato in ambito cinematografico più o meno a metà degli anni ’60, il termine trash indica inizialmente la precisa categoria di film i quali, per evidenti difetti formali dovuti a incompetenza, disinteresse o pura ricerca del profitto facile. Se volessimo tradurlo il termine esatto sarebbe “spazzatura”. Film a basso costo, senza alcuna velleità ma dal guadagno facile. Inutile sottolineare come questa descrizione si possa facilmente traslare alla stragrande maggioranza delle attuali comunicazioni pubblicitarie e televisive.
Kitsch e trash e comunicazione
La differenza tra kitsch e trash sta quindi nel loro rapporto con la comunicazione. Attenzione che però, storicamente, mentre il kitsch non è riuscito ad evolversi se non tra gli appassionati di una stretta cerchia, il trash, soprattutto cinematografico, è stato rivalutato e portato agli onori della cronaca. Anche questa è comunicazione.
Nel primo caso la filiazione è diretta, anche se tradita in vari modi; nel secondo caso non è necessario alcun rapporto con i modelli artistici, non serve avere nessuna dialettica con valori alti, in nessun senso.
Prima il kitsch, poi il trash
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Se nel primo caso l’attacco alla comunicazione è diretto a non dare importanza al suo compito di conoscenza del mondo o di testimonianza, nel caso del trash l’obiettivo, non importa quanto consapevole, è l’etica legata alla produzione, che risulta essere annientata e resa inutile con tutti i mezzi possibili, tra i quali spiccano quelli ritenuti, nella contemporaneità, i più volgari. Il risultato del trash è appunto quello di rendere esteticamente, spazzatura, ciò che invece presupporrebbe un trattamento estetico tecnicamente ed eticamente ben definito. Come fare? Ripescando materiali, dal triviale, dal quotidiano, dall’ignoranza, e il successivo maltrattarli. Una sorta di legge del contrappasso. Una precisa condanna del comportamento artistico, e non dei contenuti, spesso avallata da un clamoroso successo di pubblico. I quali contenuti, invece, sono oggetto dell’azione banalizzante del kitsch.
Mai confondere
Usare i due termini come sinonimi è quindi scorretto non perché il genere trash non debba esistere né essere contemplato tra i valori espressivi, ma perché va riconosciuto il suo disinteresse verso l’arte come tale. Il trash esisterebbe paradossalmente a prescindere da qualsiasi forma artistica, in quanto è in conflitto e opposizione con un certo tipo di etica, e non di estetica. Al contrario, il kitsch non è pensabile senza lo sviluppo storico della comunicazione quale noi lo conosciamo.