Quando il cinema diventa poesia sotto tutti i punti di vista. Le parole, gli sguardi, il paesaggio, l’ambientazione, le motivazioni, la musica. Come cantava Riccardo Cocciante “tutto questo è poesia”. E tutto questo lo troviamo nel film “Vermiglio” della regista bolzanina Maura Delpero, vincitrice del Leone d’argento nell’ultima edizione del Festival del cinema di Venezia, in lizza fino alla fine con “La porta accanto” di Pedro Almodovar che ha vinto il Leone d’oro. E per consacrazione definitiva “Vermiglio” rappresenterà l’Italia all’Oscar come miglior film straniero.
Vermiglio come consacrazione
La Delpero aveva esordito con il suo primo lungometraggio intitolato “Maternal” nel 2019 (prima aveva girato solo un paio di cortometraggi e un docufilm), ottenendo ottimi giudizi di critica e ottenne anche una menzione speciale al festival di Locarno. Con “Vermiglio” in un certo senso è arrivata la “consacrazione”, nonostante abbia quarantanove anni. La storia e soprattutto la regia ricorda in qualche modo il miglior Ermanno Olmi e ci riferiamo al suo “L’albero degli zoccoli”, anche se i luoghi e i periodi sono diversi. Per Olmi la campagna bergamasca e la fine dell’Ottocento, mentre la Delpero ambienta la storia a Vermiglio nella Val di Sole tra il Trentino e la Lombardia, verso la fine della seconda guerra mondiale.
Un occhiolino ad Olmi e un “Vermiglio” tutto in dialetto
Però le famiglie, i colori, la mungitura delle vacche nelle stalle e in particolare i due giovani che s’innamorano quasi dal nulla e il padre di famiglia in lotta con il figlio maschio tra l’altro dedito all’alcol, riportano alla mente il grande maestro Olmi. E sotto sotto si respira anche il “profumo” dei primi fratelli Taviani e Pietro Germi. Detto questo è un bel film, tutto girato in dialetto stretto (ovviamente sottotitolato) dove emerge una certa bravura da parte dei bambini. La storia vede una numerosa famiglia che aspetta la fine della guerra come tutti gli abitanti del paese.
La trama di Vermiglio
Il padre è il maestro elementare del paese (un bravissimo Tommaso Ragno finalmente in un ruolo diverso e da protagonista), molto rigoroso e dedito molto alla sua persona più che alla famiglia, oltre che costringere la moglie a fare figli. Sette all’attivo (due morti per le storiche malattie dell’epoca) e uno in arrivo. Il figlio maschio è il maggiore e, come detto, si lascia andare verso l’alcol per “ovviare” all’ostilità riservatagli dal padre, che, tra l’altro continua a bocciarlo a scuola impedendogli di ottenere un diploma. Le tre figlie dormono nello stesso letto e sono molto unite, fino a quando la maggiore s’innamorerà di un soldato siciliano semi analfabeta arrivato in qualità all’improvviso nel paese in qualità di disertore. La ragazza rimarrà presto incinta e si sposeranno, però ben presto lui farà ritorno in Sicilia e non tornerà più, portando la ragazza che partorirà una bambina nello sconforto totale. E ci fermiamo qui.
Vermiglio e quel dramma nascosto
All’inizio c’è tanta poesia in questa storia, ma c’è anche un dramma esistenziale di grandi proporzioni. Un film corale, dove scorrono parallelamente la natura e l’essere umano, che si confrontano in questo paese d’alta montagna. Ci sono tante riprese che vanno focalizzate. L’intimità su tutte vista attraverso la piuma che una delle tre sorelle passa sul braccio dell’altra sotto al letto, i loro segreti narrati a bassa voce, le sigarette fumate di nascosto nella stalla e i momenti del padre-maestro letteralmente rapito dalla musica di Chopin. Un film da vedere dove in fondo tutto aderisce alla storia.
Regia: Maura Delpero. Cast: Tommaso Ragno, Giuseppe De Domenico, Orietta Notari, Martina Scrinzi. Produzione: Italia. Anno: 2024. Genere: drammatico. Durata: 1h55 minuti.
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