Il buon turista si guarda attorno, ma soprattutto è uno che vede i luoghi che visita, e li ascolta: perché il viaggio – lo dico per i distratti – anche oggi e sempre, è una esperienza che ci tocca e che dovrebbe lasciare una traccia nella nostra memoria o, come dice il poeta, in fondo all’anima. Stimolato da un articolo di Luca Bergamin sul Sole24Ore, ho provato a guardare la montagna – in particolare il Primiero delle Pale di San Martino care a Buzzati – con l’occhio di un turista appena arrivato dal una città di pianura. Ho fatto più attenzione e ho capito che fra le esperienze da fare in montagna si può parlare di veri e propri Incontri con l’Acqua, che avvengono entro scenari di grande spettacolarità nei quali il sonoro è… naturale, come quando la corrente si frange sulle rocce che affiorano dal letto di un torrente come minacce alla nostra voglia (retaggio infantile) di guadare, o come quando la pioggia batte sui tetti spioventi e ti può capitare che nel tumulto dei tuoni si inserisca la campana di una Pieve che, leggera e sottile, ti rincuora e segnala mezzogiorno…
Gli incontri con l’acqua
C’è un luogo, in Trentino, dotato di forte impatto simbolico: il ponte di Transacqua nella valle del Primiero, sotto il quale convergono a valle due torrenti, il Canali e il Cismon che lì si uniscono e diventano una sola corrente. Il simbolo è chiaro: la diversità delle loro acque scompare quando due flussi vitali si placano in un abbraccio impetuoso. E forse c’è per noi umani quaqualcosa da c’è qualcosa da imparare: i nostri destini qui si incontrano e, magari per qualche attimo, si con-fondono. Siamo nel regno delle acque aperte o libere, ma conosciamo anche le acque selvagge e cattive, che rapinano i boschi e stravolgono la geografia che conosciamo. E c’è sempre qualcuno a sostenere che, tanto, la crisi ambientale è la ripetizione di disastri naturali “che ci sono sempre stati nella storia della Terra”. Con il ricordo dei positivi incontri vissuti in villeggiatura (si dice ancora?) i turisti più sensibili avranno rafforzato – si spera – il loro personale rapporto con l’acqua in generale (bene comune) e useranno quella chiusa nel sistema chiamato acquedotto con la consapevolezza che dietro la bolletta c’è la Natura come prima erogatrice,
Ah, quell’azzurro…
L’ampia notizia data dal Corriere del Veneto, qualche tempo fa, di una donna vicentina che ha visto il mare e la spiaggia (a Rosolina) per la prima volta a novant’anni, ha acceso in me il ricordo di due figure: quella di un’amica di mia madre che, quasi ottantenne, un giorno guardando passare il treno sul “ponte di ferro” non lontano dalla loro casa, in Polesine, ha confessato: “Non sono mai salita su un treno”; e poi una figura letteraria che forse risveglia qualche ricordo infantile: quella del ragazzo Carlino Altoviti, protagonista de Le confessioni d’un italiano, il capolavoro di Ippolito Nievo, che un giorno, come si legge in una pagina famosa, uscito dal fiabesco castello di Fratta si mette a vagabondare per la campagna e… scopre il mare.
Tra le due anziane del nostro tempo, e il ragazzo del romanzo ambientato fra tardo 700 e primo 800, c’è un legame sicuro: l’ambiente del Nordest, fra Veneto e Friuli, e le forti emozioni provocate da una scoperta e da un rimpianto. Il tutto fra cronaca, memoria e grande letteratura.
Leggiamo qualche brano dalle Confessioni.
“Ma più in là ancora l’occhio mio non poteva indovinar cosa fosse quelle spazio infinito d’azzurro, che mi pareva un pezzo di cielo caduto e schiacciatosi in terra: un azzurro trasparente, e svariato da striscie d’argento Che si congiungeva lontano lontano coll’azzurro meno colorito dell’aria. Era l’ultima ora del giorno…”
“Il cielo fiammeggiante ci si specchiava dentro, e di momento in momento lo spettacolo si dilatava s’abbelliva agli occhi miei e prendeva tutte le apparenze ideali e quasi impossibili d’un sogno”.
Parole d’inciampo
Ci sono parole che saltano agli occhi, d’improvviso e in contesti diversi, e ci costringono a riflettere sul loro significato: le definirei parole d’inciampo. Ce ne sono di quelle dal sen fuggite o, per meglio dire, espresse impropriamente; altre che creano connessioni nel tempo, ecc.. Qualche esempio aiuta.
Primo: “L’altro è andato via il giorno prima”¸ che sta per qualcuno che “è morto”. Il giovane cronista autore della frase non ha voluto pronunciare la parola morte, perché gli faceva paura o perché temeva di turbare la sensibilità di altre persone? Nei fatti, egli ha nascosto la realtà sostituendo a una parola “forte” una frase del linguaggio figurato. Come se, evitando quella parola, il morto, con il suo lascito di dolore, non ci fosse stato.
Secondo esempio: “Venuti fin qui a testimoniare la loro fede”, sottinteso “in lui”. Frase ascoltata in diretta tv. Quello che la rende d’inciampo è il fatto che “lui” non si riferiva a un santo, ma a Berlusconi da poco defunto.
Terzo esempio: “Fare pace con la natura” che ha fatto emergere dalla memoria quello che a volte succedeva durante i giochi infantili tra maschietti battaglieri. Si faceva un gesto, cioè si tendeva la mano all’avversario (il nemico) e si pronunciava la frase: “Facciamo pace”, che a volte era una domanda, e altre la semplice e fors’anche sincera richiesta di un impegno reciproco.
Sulla riva
(poesia)
Davanti al fiume in piena
che porta l’acqua nel domani
e nel sempre
il tuo pensiero divaga:
“Fermare le correnti, dici,
e diventare fossile:
è questa l’eternità,
l’unica soluzione?”.
Io non so, il senso, se uno c’è, mi sfugge.
“Amo quei ciottoli incisi
dalle arcane creature
del Tempo, dici, e mi affido
all’inerzia senza fine
della materia mondo,
all’anima sua immutabile”.
Ma il nostro fossile, nel domani,
qualcuno lo amerà?
Anonimo, 2023
Colpito dalla profondità sui vari temi affrontati. Mi viene solo da dire Grazie!