Partiamo da una considerazione di tipo popolar-filosofico: nessuno dovrebbe uscire di casa per recarsi al lavoro e non fare più ritorno! Purtroppo, le morti al lavoro sono in costante aumento e, dopo il 28 settembre 2021 – giorno nel quale ben sette lavoratori sono deceduti nel giro di poche ore, oltre a un infermiere stroncato dal Covid – ho voluto ricercare i dati relativi a questi eventi inaccettabili e nefasti. Tre-quattro vittime al giorno in media, tutti i giorni, con picchi come quello citato più sopra, perché di lavoro e sul lavoro si continua a morire, senza distinzioni degne di nota per settore del lavoro: fabbriche, campi agricoli, cantieri edili, mare, mezzi di trasporto, ospedali, strade e autostrade; e dietro ognuna di queste tragedie, famiglie devastate e interrogativi senza risposta.
Statistiche Inail
I dati più recenti, ancorché parziali e provvisori, diffusi dall’INAIL ci dicono che da gennaio ad agosto dello scorso anno hanno perso la vita 772 tra lavoratori e lavoratrici: 620 durante i turni di servizio (80,3% del totale) e altri 152 (il restante 19,7%) nei tragitti casa-lavoro e viceversa, oppure spostandosi tra sedi diverse o per recarsi a pranzo e poi rientrare.
Nel 2020 si era arrivati a 1.538 denunce di decessi (4,2 al giorno), compresi quelli correlati al Covid. Nel 2019 le morti furono 1.205, 1.279 nel 2018. Ma il bilancio è ancora più pesante e drammatico, per quest’anno e per quello passato.
Morti al lavoro 2021: dentro i riders, fuori le categorie extra Inail
«L’Istituto – dice a Osservatorio Diritti Silvino Candeloro, della direzione nazionale di Inca Cgil – computa le denunce di morte delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti coperti dalla propria assicurazione, dei soggetti assimilati (ad esempio i parasubordinati) e del personale del “Conto Stato” (cioè di amministrazioni centrali, scuole e università statali). Restano fuori gli abusivi e i sommersi, in nero o clandestini, e gli operatori di categorie che non ricadono sotto l’ombrello Inail: forze di polizia e forze armate, vigili del fuoco, liberi professionisti indipendenti, consulenti del lavoro e periti industriali, commercianti titolari di imprese individuali, alcune partite iva, giornalisti, dirigenti e impiegati del settore agricolo, contadini per hobby, amministratori locali, sportivi dilettanti, parte del personale di volo, volontari della protezione civile e infermiere volontarie della Croce rossa.
In compenso nelle statistiche e nelle tutele dell’Istituto da poco rientrano i riders, i ciclofattorini delle imprese di consegna a domicilio, perlomeno quelli messi in regola. A breve – continua Candeloro – dovrebbero essere ricompresi anche i lavoratori autonomi dello spettacolo, inclusi, ad esempio elettricisti, falegnami, parrucchieri, ecc.».
Confrontando gli anni 2020 e 2021, per ora il numero cala, anche se non c’è di che essere allegri: le denunce presentate all’Istituto tra gennaio e agosto 2021 sono 51 in meno rispetto alle 823 raccolte nei primi otto mesi del 2020 (-6,2%). I decessi in itinere sono saliti da 138 a 152, 14 in più (+10,1%) e, sempre nei primi otto mesi dell’anno scorso, sono calati i morti nei luoghi di lavoro, 65 in meno (da 685 a 620, -9,5%). Purtroppo, c’è da sottolineare un fatto: da fonti ufficiose, sappiamo che circa un terzo degli infortuni mortali sul lavoro non è censito, soprattutto nel settore agricolo e a riguardo degli incidenti stradali.
Le vittime sono in gran parte uomini, sia per i primi otto mesi 2021 che per gli stessi mesi del 2020 (89,9%), mentre sono leggermente diminuite, sempre nei due periodi, le lavoratrici decedute, che sono passate da 83 a 78 (- 6,0%), contro i colleghi maschi, diminuiti da 740 a 694 (- 6,2%).
I morti al lavoro italiani e quelli stranieri
Pur se dal punto di vista umano, non c’è alcuna differenza, è interessante distinguere, per amore di statistica, i morti “nostri” dai “loro”. Sempre nello stesso periodo di tempo che stiamo mettendo a confronto, è diminuito il numero ufficiale di decessi di lavoratori italiani (da 700 a 663: -9,6%) e comunitari (da 41 a 25: -39,0%), mentre le segnalazioni per lavoratori extracomunitari, che erano 82, sono diventate 84 (2 in più: +2,4%).
Interessante, sempre statisticamente parlando, è anche la distinzione per età; aumentano i decessi nelle classi 15-19 anni (+2), in quelle 25-29 anni (+5) e 40-54 anni (+43) e diminuiscono nelle classi 20-24 (-4), 30-39 anni (-12 casi) e, sensibilmente, per gli over 55 (-86).
Ci sono anche ragazzi e ragazze
Lavoratori con esperienza e giovani pieni di entusiasmo: nessuno è al sicuro! Il mese di agosto 2021 è stato segnato, tra gli altri, dalle due morti più vecchia e più giovane: Enzo Ferrari, 91 anni, contadino in pensione e Simone Valli, 18 anni appena, da poche settimane guardiacaccia.
Morti al lavoro e imprese di costruzioni
Dove e facendo cosa si muore di più, sul lavoro. L’industria e servizi sono i settori che fanno registrare una diminuzione delle vittime (- 10,4%, da 721 a 646 vittime). Di segno opposto il ramo Agricoltura (da 70 a 84, + 20%). L’analisi territoriale evidenzia un incremento di infortuni mortali al Sud (da 165 a 211), nel Nord-Est (da 161 a 167) e al Centro (da 147 a 150); le diminuzioni si registrano a Nord-Ovest (da 265 a 169) e nelle Isole (da 52 a 50 morti).
Dove sono i pericoli maggiori
A gennaio 2022, i morti sul lavoro in Italia sono stati 46, +12,2% rispetto allo stesso mese del o 2021. La mappatura dell’emergenza, realizzata dall’Osservatorio VEGA ENGINEERING, ci fa capire dove i lavoratori hanno rischiato maggiormente la propria vita nel primo mese dell’anno.
Veneto, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta le regioni più sicure del Nord, mentre le più insicure sono: Molise, Sicilia e Puglia. L’incidenza regionale degli infortuni mortali indica il numero di lavoratori deceduti durante l’attività lavorativa in una data regione ogni milione di occupati presenti nella stessa e questo indice consente di confrontare il fenomeno infortunistico tra le diverse regioni, pur caratterizzate da una popolazione lavorativa differente.
Morti al lavoro: la divisione in zone
La zonizzazione utilizzata dall’Osservatorio Sicurezza Vega dipinge il rischio infortunistico nelle regioni italiane secondo la seguente scala di colori:
Bianco: regioni con un’incidenza infortunistica inferiore al 75% dell’incidenza media nazionale.
Giallo: regioni con un’incidenza infortunistica compresa tra il 75% dell’incidenza media nazionale ed il valore medio nazionale.
Arancione: regioni con un’incidenza infortunistica compresa tra il valore medio nazionale ed il 125% dell’incidenza media nazionale.
Rosso: regioni con un’incidenza infortunistica superiore al 125% dell’incidenza media nazionale. Per chiarire:
rossa: Puglia, Molise, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia;
zona arancione: Sardegna, Marche e Lombardia;
gialla: Toscana, Lazio e Campania;
zona bianca: Veneto, Piemonte, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Liguria, Umbria e Valle d’Aosta.
Dalla zona rossa alla zona bianca
Il 2022 si apre con un tragico bilancio per le morti sul lavoro. Sono già 46 le vittime. Cinque decessi in più rispetto a gennaio 2021, in una situazione in cui la pandemia da COVID19 influisce sempre meno sugli infortuni sul lavoro. Numeri drammatici che raccontano il dolore di altrettante famiglie. E sono in crescita del 47% le denunce totali di infortunio. Così, l’Italia raccontata dai numeri appare sempre più insicura. Ma, in realtà, è l’indice di incidenza della mortalità – cioè il rapporto degli infortuni mortali rispetto alla popolazione lavorativa – a descrivere correttamente e obiettivamente l’emergenza, regione per regione.
In zona rossa al termine del primo mese del 2022 con un’incidenza maggiore del 25% rispetto alla media nazionale (Im=Indice incidenza medio, pari a 1,4 morti ogni milione di lavoratori) troviamo: Puglia, Molise, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia.
In Zona Arancione: Sardegna, Marche e Lombardia
Zona Gialla: Toscana, Lazio e Campania
In Zona Bianca: Veneto, Piemonte, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Liguria, Umbria e Valle D’Aosta
Morti al lavoro in Italia a gennaio 2022: i numeri assoluti
A guidare la classifica del maggior numero di vittime in occasione di lavoro è la Lombardia (7), in quanto regione con la maggior popolazione lavorativa.
Seguono: Sicilia ed Emilia-Romagna (4), Puglia e Lazio (3), Toscana, Campania, Veneto (2), Molise, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Marche e Piemonte (1).
È il settore delle Costruzioni quello più a rischio di infortunio mortale che, lo scorso Gennaio, ha fatto più vittime, registrandone 4.
Gli atri casi di morti al lavoro
Seguono: Trasporto e Magazzinaggio (3), Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (2), Attività Manifatturiere (1), Commercio, Riparazione di autoveicoli e motocicli (1).
Le donne che hanno perso la vita sul lavoro sono 2, mentre 4 l’hanno persa in itinere. Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro sono 2, ed è singolare come il Lunedì e il Martedì siano i giorni della settimana nei quali si è verificato il maggior numero di infortuni mortali.
Un’ultima considerazione; i numeri sopra espressi, dimostrano come non siano certo l’età o l’esperienza lavorativa, il discrimine principale tra la vita e la morte sul lavoro.
Purtroppo, a mio parere, sono altre le cause
Principalmente la troppa sicurezza di chi lavora già da tempo; poi, i sempre maggiori costi dei presidi di salvaguardia, soprattutto nell’edilizia e nell’industria, settori già duramente colpiti dalla crisi e, di conseguenza, alla ricerca spasmodica di risparmio in tutti gli ambiti del loro lavoro, compresa la sicurezza; inoltre, anche l’affidare i lavori soprattutto nell’edilizia a soggetti che operano senza essere strutturati (leggi: in nero!), porta a risparmiare il cliente/consumatore ma aumenta in maniera esponenziale i rischi a carico del lavoratore; ultimo, ma non per ultimo, la scarsa disponibilità di uomini e mezzi da parte degli organi preposti ai controlli, SPISAL su tutti.
Certo è che la situazione è inaccettabile e bisogna che vi si ponga rimedio al più presto!