Nella luce del mattino cerco di guardare le Pale di San Martino con gli occhi di Dino Buzzati, un grande scrittore che ho amato e oggi sono cinquant’anni dalla scomparsa: un autore da ricordare leggendolo. Qui a Fiera di Primiero, dove mi trovo, Buzzati veniva a incontrare il suo amico e guida nelle scalate, il feltrino Gabriele Franceschini (autore di Nel silenzio dei monti, 1953) con il quale partiva per San Martino di Castrozza dove avrebbe vissuto una giornata lassù in vetta fra i giganti di dolomia che lo aspettavano. E lo chiamavano “con quella loro silenziosa voce che entrava nelle viscere” (citazione buzzatiana). Voci, direi, di sterminati silenzi e interminati spazi…
“Sono pietre o sono nuvole?” ha scritto una volta Buzzati delle sue montagne materne. “Sono vere o sono un sogno?”. Lo vedo mentre “assorto in un pensiero lontano” aspettava qui nella valle del Primiero di vivere con loro, nello spazio metafisico dominato da queste rocce-idoli di una religione o filosofia che si chiama alpinismo e di cui Lui era convinto adepto. Aspettava, come io aspetto di entrare nella sua mente, di toccare col pensiero le grandi torri, di replicare l’emozione che cancellava la fatica e i rischi della scalata e manteneva solo l’esultanza per l’impresa.
Ascolto le sue parole, di quando arrivava da Milano sulla riva del Cismon e sentiva “sempre quel totale appagamento dell’animo che si ha tornando nella patria da cui si vive lontano. Un’emozione quasi fisica e sensuale, sempre quello stupore e quella esaltazione che danno la prima volta che si incontrano le cose tanto belle da risultare inverosimili”.
Le Dolomiti come patria: bel pensiero poetico, che per me è come l’eco delle creature fantastiche dei miti e del folclore di queste montagne patrimonio dell’umanità.
Devozione & Soggezione
La Storia ci sorprende, a volte, con piccoli segni, come se si nascondesse nei particolari, oggetti o parole, il nome di una via o un libro. Per l’appunto è di un libro speciale che sto pensando, una Filotea appartenuta a una signora della media borghesia veneta trovata malconcia in una soffitta infiltrata dalla pioggia. Libro di devozione, vecchio di molti decenni, quella Filotea ci porta l’eco di un’Italia soggetta a un doppio regime gerarchico: la maestà del Papa in Vaticano e la maestà del Re al Quirinale: l’Italia obbediva a entrambe, non c‘erano cittadini ma sudditi, e il popolo dava del voi a Dio e a Gesù.
Curiosando fra le pagine si scopre che la Chiesa aveva predisposto un corposo “apparecchio” di preghiere e prescrizioni che “coprivano” ogni fase della vita, dal suo inizio alla fine. C’erano “giaculatorie per ogni circostanza”. Per esempio: Nel lavarsi al mattino si doveva recitare: “Signor, lavate e fate ognor che sia sempre scevra d’error l’anima mia”.
Sulle autorità civile, o meglio secolare, l’ordine era il seguente: i Re, i Magistrati, i Tutori, i Padroni (!), i Mariti (!), i Maestri “e tutti i superiori per età e dignità”.
Quel libro suggeriva, consigliava, prescriveva: il gregge era sottoposto a un martellante sussurro che costruiva il comportamento con la forza degli esempi. Il messaggio era esplicito: nella vita c’era un ordine costituito: tutto discendeva dal Re (dal Papa). Inaccettabile dalla nostra sensibilità, ma tali erano i tempi in cui, per fare un esempio, “cortigiani e paggi” godevano della protezione speciale di santi dedicati. Categorie per altro ancor oggi sull’onda: se ci fate caso, li potete incontrare in piazza o in televisione. E questi sono i nostri tempi.
Il “colore” della cronaca
La presentazione del libro di Gian Piero Brunetta La Mostra d’arte cinematografica di Venezia (Marsilio) ha smosso nell’Anonimo un ricordo “faticoso”. In breve: i giornalisti che andavano al Lido per la Mostra erano il critico cinematografico e un cronista per il “colore” cioè per descrivere l’atmosfera mondana. Facile a dirsi, meno a farsi, se non hai il carattere quantomeno disinvolto: ecco, io ero disarmato di fronte al frizzante mondo del Palazzo del Cinema e dell’Excelsior.
Le frivolezze non erano per me. Però… però dovevo scriver qualcosa e faticosamente l’ho fatto, stretto fra timidezza e gravitas. Un giorno, poiché l’indomani era in programma il film Profondo rosso di Dario Argento, mi è venuta l’idea “spiritosa” di suggerire un coupe de théatre alla Produzione del film: avrebbe potuto – nottetempo – spruzzare di color rosso sangue gli alberi più vicini al Palazzo con effetti scenografici garantiti…
Si dirà: fantasie di cronista (regolarmente pubblicate) ed è vero, ma la Realtà, fantasticamente, ha realizzato la mia idea in altro contesto. Sì, perché anni dopo, un artista un po’ matto ha gettato nel Canal Grande, dal Ponte di Rialto, una sostanza colorante di un vivido rosso che la marea e i vaporetti hanno sparso trasformando le nobili acque del Canalazzo in un fiume insanguinato. Gran teatro, e discreto scalpore!
Il prato in fondo al cielo
(poesia per N.)
Nelle nostre giovani notti
c’era una volta
il cielo stellato
come un prato
di margherite.
“In fondo al cielo”, tu dicevi,
“ci sono tutti i desideri
della nostra umanità”.
Di quello sciame di fiori
palpitanti
ai bordi dell’infinito
solo ci resta
il ricordo.
Forse ha vinto la fosca
nube della civiltà,
lo smog cancellatore.
Forse no. Intanto tu, amore
cercatrice di stelle,
hai trovato, infine,
il prato infiorato
in fondo all’abisso del cuore.
Anonimo 22