Il rischio di gettarsi a capofitto in una condizione di libertà, seppur non completa, maggiore di quanto avuta per più di nove mesi è alto. Per quanto possa rattristare dirlo, ad oggi non siamo abituati ad avere poche restrizioni, a non pensare al coprifuoco, a non guardare il meteo prima di prenotare un ristorante, a non contare i commensali. Ma tutto questo sta finendo, ormai è certo, almeno per questi mesi. Nel frattempo il dibattito tocca due temi di uguale importanza con conseguenze opposte: la necessità di moderazione e la necessità di ripartire.
La sicurezza prima di tutto
Una preoccupazione condivisa in molti ambienti riguarda il ritorno del covid all’inizio dell’autunno, anche in relazione ai comportamenti che si terranno quest’estate. Il mantra, in questa direzione, è di essere attenti, di ripartire ma con cautela e calma, di prediligere la sicurezza rispetto al desiderio di libertà. Si tratta di un meccanismo psicosociale piuttosto comprensibile, legato in particolar modo ad un mix di incertezza riguardo al futuro e stress accumulato. Siamo rimasti scottati già l’anno scorso, anche se non è facilmente individuabile il ruolo dei comportamenti estivi nella ripresa della pandemia a ottobre, e la paura che avvenga di nuovo rischia di prendere il sopravvento su tutto il resto
Libertà e ripartenza
Il mondo, però, non si basa esclusivamente su criteri di salute pubblica o individuale. L’economia, la cultura, il benessere psicologico necessitano di libertà e orizzonti più vasti. La necessità di essere liberi e di guardare avanti fa dimenticare i rischi e aumenta il desiderio di fare esperienze, di entrare in contatto con altri, di ritornare a una condizione senza limitazioni. Questo è anche il desiderio di chi ha sofferto nel proprio lavoro, persone e aziende che sono dovute rimanere ferme o reinventarsi completamente: la ripresa economica non può prescindere dalla volontà di vivere.
La situazione è complessa proprio perché entrambe le posizioni sono vere e legittime. Abbiamo sofferto e siamo giustamente preoccupati, nel contempo non possiamo farci congelare in un limbo infinito. Le preoccupazioni riguardo al ritorno dei contagi hanno senso, nel contempo il rischio di stagnazione è evidente. Purtroppo non esiste una singola ricetta ottimale, ogni soluzione comporta una dose di rischio e probabilmente un costo da pagare. Come possiamo fare il meglio a livello di singoli e di società? Come possiamo trarre il massimo da una situazione oggettivamente difficile?
Una nuova coscienza
Forse questa può essere una condizione che permetta lo sviluppo di una nuova coscienza collettiva. Non diventeremo migliori, come a volte qualcuno ha detto, solo per il fatto di aver subito restrizioni o per aver avuto paura. Forse, però, possiamo diventare migliori se ci rendiamo conto di dover affrontare un problema insieme e di dover individuare delle soluzioni. La coscienza collettiva passa da un dialogo diffuso e basato su argomentazioni profonde, sul rispetto per chi ha studiato gli argomenti di cui parla, sull’ascolto e sulla critica costruttiva. Non passa dall’insulto, dalla negazione dell’altro, dalla deumanizzazione. Un dialogo di questo tipo non può partire da solo, non si genera spontaneamente sui social ma deve essere frutto di un preciso sforzo da parte delle Istituzioni. Se usare ogni energia presente nel paese diventerà una priorità assoluta, allora potremo partecipare tutti alla creazione di un codice di comportamento sostenibile, a partire dall’estate della zona bianca.