“Andare in giro per calli e campi, senza un itinerario stabilito, è forse il più bel piacere che a Venezia uno possa prendersi. Beati i poveri in topografia, beati quelli che non sanno quel che fanno, ossia dove vanno, perché a loro è serbato il regno di tutte le sorprese…”. E, una bella sorpresa, grazie al grande poeta Diego Valeri nella sua “Guida sentimentale di Venezia”, si trova imbattendosi per caso in calle del Forno a Cannaregio, giusto a fianco della storica Osteria dalla Vedova. Sulla porta d’ingresso c’è scritto: “La fabbrica del vedere dell’archivio Carlo Montanaro”. Di sicuro Diego Valeri, nella guida del 1942, non immaginava un ingresso del genere. È una casa a tre piani con altana e terrazza. Praticamente un museo “compresso”, con migliaia di curiosità.
Nella Fabbrica del vedere



Ci accoglie con un sorriso fanciullesco, Carlo Montanaro, 77 anni, già docente all’Accademia di Belle Arti di Venezia, con cattedra trentennale di Teoria e tecnica dei mass media”. Nato a Burano, fin da bambino aveva il “vizio” del collezionismo. Cominciò con i francobolli, poi con i pacchetti di sigarette, quindi figurine e giornaletti illustrati. Oggi, che più bambino non è, possiede una delle più originali e approfondite collezioni di antiche macchine per il cinematografo, diorami, anamorfosi, ovvero oggetti settecenteschi di fenomeni ottici, che fanno riferimento alla celebre macchina ottica di Canaletto, cioè una scatola in legno con lenti di ingrandimento. Lanterne magiche, con la visione del Mondo Novo”.
“Partendo dall’oggetto “meraviglioso” – scrive difficile il prof. Montanaro – si arriva nel tempo all’oggetto “mediatore” che, quasi timido, di nascosto produce la meraviglia e lo stupore. Il cinematografo come tappa finale nel buio della materializzazione sfuggente del sogno, di un qualsiasi sogno….”.
Se avete in mente il film di Giuseppe Tornatore “Nuovo Cinema Paradiso” del 1988, lo sguardo del piccolo Salvatore verso la magia del cinema. E infatti vinse l’Oscar.
Un museo del vedere





Ora visitando “La fabbrica del vedere”, banalizzo con una piccola osservazione, spero pertinente, Montanaro mi scusi. Questo singolare museo è un antesignano dell’intelligenza artificiale, termine oggi di moda.
Uno degli oggetti “cult” è il cinetoscopio del cav.Luigi Roatto, ai primi del Novecento, proprietario del cinema a S.Zulian a Venezia. Roatto, giostraio veronese con madre veneziana, è uno dei più intraprendenti pionieri del cinema a Venezia.
Poi altri oggetti incuriosiscono nel museo “compresso” in tre piani.
L’anamorfosi del ‘600. Ovvero un cilindro di vetro soffiato che riflette, deformandole, immagini colorate. Oppure il myriorama, un pannello francese dell’800 che intercambia, sovrapponendoli, centinaia di paesaggi.
Cosa si scopre







Ecco la trisceniorama, immagine lamellare composta da tre litografie. Guardando da destra e sinistra, cambia il soggetto. Senza escludere il kinora. Visore singolo brevettato da Lumière e Casier nel 1896 a Parigi. Una vera chicca. Circa 600 fotogrammi cinematografici stampati su carta con carica ad orologeria.
Dalla “Fabbrica del Vedere” si esce un po’ storditi. Per fortuna a pochi metri c’è lo storico bacaro dalla Vedova. Le “ombre” sono quelle secolari veneziane. Vere. Ovvero un goto de vin.