La differenza tra una fotografia e un quadro è semplice: nella fotografia c’è la stampa, nel quadro l’anima. Questa semplice riflessione mi agita nella mostra allestita a Palazzo Loredan dall’Istituto Veneto lettere scienze ed arti, sul pittore Italico Brass (1870-1943). È una mostra bellissima, curata da Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin, che riconosce oggi la grandezza di un pittore nato a Gorizia ma profondamente veneziano. Un continuatore ideale tra Guardi e Canaletto, tanto per citare il solito Settecento, Giacomo Favretto, Guglielmo Ciardi, Ippolito Caffi, Ettore Tito tra ‘800 e ‘900. Anche se fu un artista “senza maestri e senza seguaci”. L’arte fotografia avrebbe rivoluzionato anche la pittura in quel tempo. Ma per Brass tela e pennello non avevano ancora rivali.
A parte una esibizione alla Biennale nel 1948, Italico Brass fu abbastanza trascurato
Vuoi per colpa di suo figlio Alessandro, potente gerarca fascista, vuoi per la lunga vertenza giudiziaria finita in Cassazione tra i numerosi eredi, per la sorte delle sue tele, Italico Brass non fu considerato come un grande nel complicato agone veneziano novecentesco.
“E’ molto bello il ricordo – sottolinea il prof. Giandomenico Romanelli – del giovanissimo Italico, in cima alla torre di Gorizia. Il padre fa vedere al fanciullo le luci distanti della laguna. Quelle luci sono Venezia…In pratica il suo destino d’artista”.
Il padre Michele, commerciante goriziano di vini, spirito irredentista, aveva avuto non pochi problemi con le autorità austriache, durante il battesimo, a chiamare il figlio Italico.
Ma Italico Brass non era proprio un provinciale, studi a Monaco, vita d’artista e permanenza a Parigi
Oggi i suoi quadri fanno tristemente riflettere sulla condizione della Venezia odierna, città in comatosa locazione turistica. I dipinti di Brass fanno vedere una realtà dinamica, piena di bella gente, regate, feste, tavoli banditi. Una città viva e vivace, colorata, piena di gente non pendolare.
Mi sono concentrato sul popolo delle “barchette” tanto per usare una definizione dispregiativa in uso politico oggi
Si vede una imbarcazione a due remi della Reale Società Canottieri Querini, già declassata a remiera, in attesa della Regata storica del 1923, giusto un secolo fa. Le “istantanee” delle regate sono per me il pezzo forte di Italico Brass, coglie lo sforzo dei regatanti, la dinamica delle gondole in gara, il pubblico assiepato. Eppoi i burci allineati in Bacino, i bragozzi a vele spiegate, le batele e le caorline fedelmente riprodotte nei rii. Quello che mi ha impressionato di più sono i quadri della regata di Murano, la classica su gondole ad un remo. Brass si posiziona artisticamente a poppa della gondola rosa n.8 per descrivere lo sforzo dei regatanti. È più dinamica del “cane dalle mille marce” di Giacomo Balla. Siamo nel 1928. Per la cronaca, vinse il giudecchino Luigi Scarpa detto Paneti, gondola verde n.6, davanti a Piero Penso detto Scuciareto, anche lui figlio della Giudecca, gondola “canarin” n.2. Molti anni fa parlai con entrambi i campioni, tutti e due ultra-ottuagenari, e mi descrissero come fosse successa ieri, la gara corretta e combattuta dei due.
La tela di Brass me li ha fatti rivivere nel ricordo
Altro quadro che merita riflessioni “il pergolato della Locanda Montin”. Il pittore ritrae un dinamico cameriere elegante e due-tre avventori. Quel posto di Dorsoduro lo conosceva bene. Gabriele d’Annunzio prima ed Ezra Pound dopo erano suoi amici fissi al ristorante. Ancora oggi nella Locanda Montin c’è un tavolo con nome. Si chiama tavolo Brass.
Grazie Maurizio! Molto originale e sentita la tua testimonianza, a partire da non/pendolari, che spiega molte cose (ai veneziani). Bravo