Non ci vedevamo da tempo, ma sapevo che c’era e che al prossimo incontro lo avrei ritrovato tale e quale, perché i vecchi amici non cambiano mai. Lui poi, in particolare, era fatto di scorza dura come le sue amate montagne e sui sentimenti non scherzava, perché – diceva – sono una cosa seria e vanno tutelati, non sbandierati ai quattro venti. Così, quando alle nove di un lunedì come tanti altri il telefono è squillato non potevo immaginare che invece non c’era più. Sergio, Sergio Sommacal, uno degli ultimi principi del giornalismo che non fa sconti a nessuno, uomo di pochissime parole che considerava la verità come l’unica stella polare accettabile, se n’era andato da solo, in silenzio.
Dandoci ancora una volta una lezione di dignità di cui far tesoro. Così mi diceva una voce di donna addolorata dall’altro capo del filo. Era quella di Maria Pollacci, una “signorina” di 99 anni che lo conosceva da quando s’era sposato con Massimina. Maria, un mito nel suo ambiente, è l’ostetrica che ha fatto nascere in casa i suoi tre figli: Stefania Sara e Silvano. Piccola, minuta, ma forte come il fil di ferro, si considerava la sorella maggiore di quest’uomo all’apparenza burbero, ma dal cuore d’oro. E se ne fidava così tanto tanto da affidargli le sue memorie, la storia di una vita bella e difficile che Sergio riuscì a scrivere in un libro fortunato, diffuso in tutta Italia.
Per capire Sergio


Ha il titolo di un articolo di cronaca, “Mamma 7400 volte” e se uno vuole sapere che tipo di giornalista era Sergio, basta scorrerne due pagine per capirne la personalità. Lo stile è asciutto come era lui quando parlava, le frasi sono brevi, ma tutte con un senso compiuto, dove soggetto, predicato e complemento hanno sempre il posto d’onore. Pochi e sempre motivati gli aggettivi, indispensabili come la pennellata di colore per descrivere un tramonto. Insomma, la scrittura di un giornalista che detestava i luoghi comuni e non avrebbe mai scritto: “Terribile tragedia”. Perché quel terribile sarebbe stato di troppo, visto che ogni tragedia lo è.


E attenzione, questa parola non è stata usata perché sul disastro del Vajont lui aveva scritto come pochi e le immagini di quell’ecatombe se le portava dietro. Gli erano rimaste nell’anima e negli occhi e quando ne parlava si irrigidiva sempre schernendosi e citando Bepi Zanfron, quel grande asso della fotografia che ne ha ripreso immagini passate alla storia. E’ che Sergio Sommacal, giornalista di montagna era fatto così. Non era lui che era aspro, ma le rocce del suo mondo sì e di quello lui parlava. Senza fare sconti a nessuno.
Chi era


Insomma, il suo non era un giornalismo fatto per piacere, ma un mestiere che andava fatto con passione, coscienza e serietà, come testimoniano ancora i suoi articoli sul Gazzettino di Belluno. E la gente proprio per questo aveva imparato ad apprezzarlo, a fidarsi, a leggerlo ogni giorno. Un giornalista non può pretendere di più, ma a ventotto anni spesso c’è anche bisogno di respirare aria nuova. Così, quando nel 1978 nasce a Treviso la Tribuna, un giornale nuovo di zecca, modernissimo come formato, stile, piano editoriale, non esita due volte ad accettarne il ruolo di capocronista.
Lavora a stretto contatto con Pierluigi Tagliaferro, un altro patito della notizia dura e pura e sono anni esaltanti. Duri, ma belli, come sempre succede quando si dà vita ad una nuova testata. Lui ce la mette tutta, da Belluno si è portato dietro la sua roulotte e per perdere meno tempo possibile lì dorme nei primi mesi, ma per la verità ci sta molto poco perché il giornale lo assorbe completamente. Sarà comunque una sfida vincente, “La Tribuna” si impone e conquista il suo spazio vitale soprattutto fra i giovani.
Lui adesso potrebbe rallentare un po’, godersi il successo, ma non ne è il tipo


Chi lo conosce sa che è uomo dalle radici tenaci e la nostalgia del Gazzettino, il sogno della sua giovinezza, in tutto questo periodo è diventata sempre più forte. Nel giornale di Talamini, un altro montanaro dalla testa dura e le idee chiare, vigeva una legge precisa: per chi vuole andar via la porta è aperta, ma una volta chiusa – è bene saperlo – molto raramente potrà riaprirsi. Per lui, comunque, stimatissimo per la sua serietà e le sue capacità professionali, viene fatta un’eccezione. La direzione lo riprende in carico ben volentieri e lo spedisce a Pordenone a dirigere quella redazione, sotto attacco del “Messaggero del Veneto”.
Da quel momento Sergio non abbandonerà più il giornale in cui era nato


Si sposterà ancora a Padova, poi a Venezia dove Giorgio Lago, direttore dal felice intuito, lo vorrà per un decennio al suo fianco nella segreteria di redazione. Infine, vicino alla pensione, come da tanto tempo desiderava, viene finalmente rimandato a Belluno. Tra le sue montagne lascerà un ricordo indelebile. Sarà il capocronista ideale, nemico della bolsa retorica, impegnato ogni giorno nella ricerca della verità e nella difesa dei più deboli. Senza strombazzature, sia chiaro, ma sempre con un sacro rispetto degli eventi.
A chi glielo chiedeva, rispondeva sempre che lui era un semplice cronista e il giornalismo lo sapeva fare solo così. Non era del tutto vero, come dimostrerà in tante occasioni, perché era dotato di una scrittura limpida, capace di disegnare situazioni e sentimenti con grande immediatezza. Ma era il vezzo di chi sente grande la responsabilità di scrivere la storia di ogni giorno. Di chi, magari senza rendersene conto, è stato un esempio per i tanti giornalisti che si sono avvicendati negli anni nella redazione di Belluno e per la città tutta. Anche quella che non è abituata a riconoscersi nel Gazzettino.
Ciao Sergio


Sergio Sommacal, giornalista dalla schiena dritta come è stato scritto da più parti, se n’è andato a 82 anni, nell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, purtroppo lontano dalle sue montagne. Era un tipo che non sprecava le parole, ma che davanti alle ingiustizie e a quelle che definiva “non verità” sapeva diventare tagliente. Scorbutico, eppure capace nell’intimo di grande generosità. Lo hanno conosciuto bene i ragazzi della Comunità Villa San Francesco, a Facen di Pedavena, dove andava appena poteva.
Per tanti anni si era presentato accompagnato dalla moglie a cui era legatissimo. Poi negli ultimi tempi non l’avevano più visto. Ma sapevano che non poteva, perché era troppo occupato a proteggere la sua Massimina, assediata dalla malattia. Ecco, fino all’ultimo Sergio Sommacal è stato un tipo così. Uno da andar fieri ad averlo conosciuto e di fare il suo stesso mestiere. Quello del giornalista, certo, ma lui avrebbe rimbeccato subito “del cronista punto e basta”.