Intervistare Ivo Prandin è come fare una perlustrazione dell’universo grazie alla poetica della sua narrazione. Una firma storica delle pagine culturali de Il Gazzettino, autore di indimenticabili elzeviri, numerosi libri e monografie di artisti. Giornalista e scrittore originale, libero come i suoi “pensieri virali” che da tempo leggiamo su www.enordest.it un suggestivo invito a riflettere su pandemia, lockdown, futuro. Una rubrica che è diventata una piacevole tradizione che con questo numero compie quota 100!
Siamo a 100. Come è nata questa idea che non è solo un resoconto degli avvenimenti, ma un mosaico di storie, citazioni, poesie.


È nata un po’ confusamente durante le restrizioni del lockdown. Stavano accadendo tante cose nuove, il coinvolgimento emotivo era forte e quasi mi prudevano le mani perché sentivo di poterne scrivere. Non avevo però un giornale su cui esprimere le mie emozioni e, appunto, i miei pensieri relativi alla Grande Infezione che ci stava invadendo. Direi che mi sentivo provocato dall’aggressività degli eventi e così sono nati i primi pensieri: erano praticamente brevi appunti che potevano andare sulle pagine di un possibile diario… È durata poco. Ecco, infatti, l’editore che arriva a risolvere la situazione: Edoardo Pittalis mi offriva uno spazio tutto mio nel suo nuovo giornale. E il vecchio cronista ha accettato, entrando da esordiente nel giornalismo on line.
Esordio perfetto, le sue cronache hanno la capacità di stimolare il lettore anche on line. Per l’occasione sono andata a rileggere i primi “pensieri virali”, scoprendo emozioni che avevo dimenticato, come il dolore che provai per la scomparsa di Luis Sepúlveda, una delle vittime illustri del coronavirus. Lei ne parla in modo splendido raccontando un incontro con lo scrittore in terra veneta


I pensieri si accumulavano senza un ordine preciso, un po’ simili ai fiori di campo: spontanei, con forme diverse e diversi colori (il grado di coinvolgimento) e lentamente uscivano alla luce. Erano sguardi dalla finestra mediatica (i giornali, le cronache televisive) rivolti al mondo e ne registravano la febbre e l’inquietudine; erano anche frutto di incontri imprevisti come, appunto, quello con il grande Luis Sepúlveda a Mestre, quando abbiamo chiacchierato guardando verso la grande luce riflessa dalle acque di Venezia captata dall’alto della terrazza Coin alle Barche.
Tra le sue 100 cronache c’è anche un “pensiero virale” dedicato all’indagine demoscopica svoltasi nel 2020 sugli effetti sociali della pandemia che sembrava avesse fatto migliorare i rapporti tra le persone. Alla luce di questi due anni trascorsi è ancora così, o siamo tornati “cattivi” come prima?


Vorrei essere positivo (non in senso medico) ma la natura umana, nella sua complessità, mi sembra dispersiva, non fortemente concentrata sulla lotta a un nemico epocale e micidiale. La gente sembra avvolta in un bozzolo di egoismo, di sicurezza spavalda… Come sono lontani i giorni delle apparizioni alle finestre e ai terrazzini dei condomini, con gli arcobaleni disegnati sui lenzuoli… Ma la realtà è “cattiva”: non siamo ancora fuori dal guado.
Infatti. La paura dell’alieno e dell’invisibile, un’emozione forte che appartiene in genere ai romanzi e i film di fantascienza, noi l’abbiamo vissuta e non è ancora terminata. Come la stiamo affrontando secondo lei?


Sono diventato scrittore vivendo anzitutto una lunga stagione di narratore di fantascienza (gli anni della rivista Oltre il Cielo) e gli alieni di cui parliamo in questi anni di pandemia sono creature vere, che ci aggrediscono oggi, in questo nostro presente, che attaccano l’umano e terrestre Homo sapiens. Ma, ahimè, non ci fanno abbastanza paura… Per fortuna, ci sono gli alieni amichevoli come il saggio Yoda le cui apparizioni nella rubrica non sono occasionali.
100 pensieri sull’animo umano. Durante la lunga pandemia lei ha analizzato anche i nostri comportamenti parlando di malattia dell’anima, di tensione per il futuro, di uno spazio psichico in continuo stato d’allerta. Emotività simile agli animali da preda. Un comportamento in antitesi con il nostro essere ipertecnologici.


Il lungo periodo del lockdown ci ha costretti entro “orizzonti ristretti”, abbiamo vissuto una libertà limitata quasi come i carcerati. Siamo stati costretti a guardarci dentro, non allo specchio ma giù e dentro, nell’anima e dintorni. Una discesa – direi quasi necessaria se posso filosofeggiare un pochino – nelle profondità buie che sono le radici personali e delle civiltà. La mia idea è che la Tecnologia è una stampella dell’Uomo, sicuramente. Ma non è noi.
Nel 2017 ero alla Querini Stampalia alla presentazione del suo libro “39 Venezie” stupendo affresco letterario sui grandi del Novecento che raccontano la loro Venezia, tra sogni, meraviglie e inquietudini come quelle di Giorgio De Chirico, Dino Buzzati, Diego Valeri, Alberto Moravia, Italo Calvino.


Sono convinto che 39 Venezie sia stata, nella sua doppia vita editoriale, una narrazione che, avendo al centro la città e la civiltà millenaria di Venezia, ci parla in suo nome di tutti i capolavori che il genio umano ha realizzato nel tempo e oltre il tempo. L’attualità del pensiero degli intervistati sulla città che io chiamerei calviniana, è all’origine del suo recupero da parte dell’editrice Lineadacqua, a cinquant’anni dalla sua prima edizione.
Prosa, poesia, citazioni, storie di donne e uomini, “pensieri virali” che sono blasonati in questi giorni dal numero 100. Sarebbe bello raccoglierli in un libro, ci ha pensato?


L’idea è già fiorita in occasione di una ricorrenza famigliare nel pieno dell’epidemia: 39 rubriche in edizione fuori commercio con il titolo di Riflessi virali (2021). Un assaggio delle centinaia di pensieri che sono, in realtà, pallidi echi e, appunto, riflessi della nostra vita. Li ha proposti e li propone un giornalista meditativo sganciato dalla cronaca ma sicuramente non dalla storia, nella quale abitiamo.


Vi invito ad entrare in questo mosaico di storie rileggendo su www.enordest.it, il prezioso frammento del 13 dicembre 2020. Così Ivo Prandin racconta l’incontro con Sepúlveda in quella terrazza a Mestre: “Da lassù, guardava a est, a Venezia annidata nella luce della Laguna. Gli ho chiesto qualcosa sul mito della città. Mi ha rivelato che sognavano Venezia, a loro modo, anche gli indios della sua Patagonia”. Pura poesia.
Dott.ssa Elisabetta che bella intervista che celebra un suo illustre collega Ivo Prandin. E’ collega non solo perchè fa interviste come Lei, non solo perchè scrive articoli, ma perchè ama la splendida Venezia, ricca di personaggi veneti oppure internazionali attratti come le falene da questa luce che la Serenissima emana da oltre mille anni. Complimenti.
Un mèmore abbraccio al “vecchio cronista” : da un affezionato Suo… “virale” lettore (quasi) di famiglia : per Suo merito ricondotto ad amare una Venezia vissuta, un tempo, tanto intimamente propria…
Condivido con Ivo Prandin l’idea di questa umanità purtroppo non redenta dopo la pandemia, anzi. Gli anni passati in cattività evidentemente non sono serviti a fare tesoro di ciò che abbiamo e possiamo perdere.
Che colpo ivo leggere 100… mi sono detta vuoi vedere cge stanotte sono trascorsi dieci anni e Ivo e io oggi ne compiamo cento? No era solo un fraintendimento giornalistico…ti abbeaccio mio giovane amico…vittoria!