Ci sono rimasto male, come la volta che da bambino vidi l’Italia esclusa dai mondiali di Svezia, quelli che avrebbero consacrato “O rey” Pele, che allora aveva appena 17 anni. In Svezia l’Italia non andò perché l’Irlanda del Nord a metà gennaio del 1958, su un campo gelido e fangoso, la fece brutalmente fuori. I giornali parlarono di “Disastro di Belfast”, per qualcuno suonò come una Caporetto del pallone, la disfatta di una Nazionale che aveva vinto due titoli mondiali e che adesso non lo disputava nemmeno. I tifosi non sapevano che otto anni dopo quel disastro sarebbe stato cancellato e ridicolizzato dalla Corea, ai mondiali inglesi del 1966.
Il mio ricordo

Era una delle prime partite che guardavamo in televisione in casa, finora per vedere il calcio si andava nei bar o nelle parrocchie. Non c’erano molti televisori in circolazione, costavano un occhio della testa e il boom era appena iniziato per pensare di essere già se non ricchi almeno in grado di firmare cambiali.
Quella volta che bastava un pareggio
Per andare in Svezia all’Italia bastava un pareggio e l’Irlanda del Nord non era squadra in grado di impensierire più di tanto. Ci si mise di mezzo il solito destino. Gli azzurri erano già a Belfast per giocare il 4 dicembre, ma la nebbia a Londra bloccò l’aereo dell’arbitro ungherese Zsolt. C’era lo stadio pieno, per evitare disordini fu proposto di giocare ugualmente e con un arbitro inglese. l’Italia declassò il tutto a incontro amichevole. Più che un campo di calcio fu un ring, una specie di trappola per saggiare i nervi degli italiani e farli saltare.

Nicolò Carosio nella radiocronaca gridava: “Picchiano i nostri giocatori”. Perfino Ferrario, centromediano della Juventus, detto “Mobilia” per la stazza, fu costretto a difendersi, come Chiappella che fu espulso per fallo di reazione. Ferrario fu chiamato “il leone di Belfast” e diede più di qualche pugno. Finì 2-2, reti di Ghiggia e Montuori, due oriundi, con quel risultato l’Italia sarebbe passata.
La ripetizione. Sconfitta meritata
Nella ripetizione il 15 gennaio le cose non andarono meglio. Bastava pareggiare, proteggere la difesa con un buon centrocampo, ma il tecnico Alfredo Foni rivoluzionò la squadra, schierò una difesa che non aveva mai giocato assieme e anziché infoltire il centrocampo mise insieme tre punte e due mezze punte non portate a difendere. Bastava proteggersi appena con ordine, invece l’Italia prese subito due gol e reagì a fatica con una rete di Da Costa. Nella prima linea su cinque attaccanti, quattro erano oriundi: gli uruguagi Ghiggia e Schiaffino, il brasiliano Da Costa e il cileno Montuori.

Tutti giocatori di talento, i primi due ex campioni del mondo, però poco propensi a marcare e correre. Quelli come loro pochi anni dopo Gianni Brera li avrebbe chiamati “abatini”. Ghiggia fu provocato e reagì platealmente, l’arbitro ungherese palesemente non imparziale lo cacciò in tutta fretta. All’Italia non fu concessa una punizione, di rigori che pure potevano esserci neppure a parlarne. Ma non fu una sconfitta immeritata, fu proprio meritata perché era tutto sbagliato. Chiaramente noi bambini lo abbiamo capito dopo, non era ancora il tempo in cui avevamo la presunzione di discutere sulla protezione della difesa e la tenuta del centrocampo. Nemmeno in tv c’erano trasmissioni simili a quelle di oggi, Biscardi col suo “Processo” non era stato ancora inventato.
Quando i giocatori erano le figurine
Noi quei campioni li conoscevamo dalle figurine, anche se l’album Panini non era ancora arrivato, e dalle pagine di “Calcio e ciclismo illustrato” che era una specie di bibbia del pallone, compresi i disegni di Silva che spiegavano i gol.
La finale a casa del parroco
Per essere la prima volta che guardavamo tutti assieme una partita in tv fu davvero una delusione. In genere guardavamo la partita indossando tutti le magliette della squadra della nostra via, erano a strisce rosse e nere e i numeri cuciti a mano dalle mamme, e dopo la gara andavamo a giocare per strada, sulla scia dell’entusiasmo. Quella volta tutti zitti, tutti mogi. La finale Svezia-Brasile con i due gol di Pelè l’abbiamo vista in casa del parroco e la perpetua offrì i biscottini.
Alla caccia del colpevole

La sera di Belfast all’aeroporto di Linate a ricevere la squadra non c’era nessuno, i giornali criticarono ma con moderazione. Ci fu chi che se la prese con gli oriundi, troppi e poco legati alla maglia scrisse qualcuno: non era vero, ma un nemico bisogna sempre individuarlo per scaricare le colpe. Di oriundi ce n’erano forse troppi, ne sarebbero arrivati subito altri e tutti davvero campioni: Sivori, Altafini, Angelillo, Maschio…L’Italia fa spesso così, allora erano oriundi, poi sarebbero stati gli stranieri e sarebbero state chiuse le frontiere. Ogni volta che facciamo brutte figure le colpe sono degli altri, oriundi o stranieri. Mai le nostre, di italiani.
Lunedì…che delusione

Ci sono rimasto male l’altra sera quando l’Italia di Mancini contro l’Irlanda del Nord si è giocata il passaggio diretto ai Mondiali e sarà costretta a spareggi secchi per andare in Qatar. Sembrava fatta, qualcosa è andato storto con la Svizzera, si potevano vincere le due gare, sono state pareggiate, l’ultima anche con un rigore sbagliato al 90°. C’è sempre lo zampino del destino. Anche questa volta rimaneva l’Irlanda del Nord, bastava vincere facendo qualche gol, niente di più. Cosa non impossibile, visto che da una parte c’erano i freschi campioni d’Europa e dall’altra la squadra al posto 58 del ranking Fifa. Squadra modesta con molti provenienti da serie inferiori inglesi e pochissimi della Premier League. Di assi veri da quella parte dell’Irlanda nella storia se n’è visto uno soltanto, George Best, immenso nel calcio e nel giocarsi la vita tra alcol, donne e auto.
Da troppi attaccanti a zero attaccanti
Con lo stipendio di un italiano della Nazionale di Mancini si pagano tutti quelli dei verdi irlandesi, comprese le birre. Nel ’58 bastava un pareggio e il ct di allora schierò solo attaccanti; l’altro giorno bastava vincere con due gol di scarto e il ct non ha schierato attaccanti!
La mia speranza

La storia ci ritorna sempre indietro e ci insegna poco. Tutto da rifare. Non credo che questa Italia resterà fuori dai Mondiali, ha tutto per passare, giocatori e talento. Ma certo si è complicata la vita. Mancini è bravo, ma da tempo manca qualcosa, forse la consapevolezza dei propri limiti. E’ come se il giocattolo si fosse inceppato e nessuno riuscisse a rimetterlo insieme. Più come sentimento che come gioco. I piedi ci sono, manca il cuore.
Ma se manca il cuore…

E questa volta nemmeno ci si può lamentare che gli azzurri siano stati picchiati. Non è stato necessario schierare il “Mobilia” di turno. Hanno solo giocato proprio male. Sentire la maglia non è un fatto di oriundi o di integrati o di stranieri. E’ un fatto di sentimento, anche. Ed è mancato questo l’altra sera a Belfast.