Tra poco si parlerà quasi soltanto di calcio. E’ tempo di Europei, partite in diretta tv, Nazionale da tifare, forse gli azzurri potrebbero perfino vincere e sarebbe un’impresa, non accade dal 1968. Il pallone ritorna davanti al pubblico dopo i lunghi mesi della pandemia. Tutto bello. Forse. Ci sarà un ragazzo che non vedrà quell’Italia giocare, Seid Visin, 20 anni, promessa del Milan, giocava nelle Giovanili rossonere, dotato di talento e di sensibilità non comune nel vedere il gioco. Era compagno di stanza del portiere Gigio Donnarumma che ha fatto carriera e difenderà la porta dell’Italia.
Seid e un sogno infranto
Seid aveva un “problema”, quello che lo ha portato a togliersi la vita: era di colore, era un italiano di colore. Sì italiano a tutti gli effetti, adottato da una famiglia campana, ma si sa che c’è chi pensa che non esistono italiani di colore. C’è pure chi lo ha gridato pubblicamente, chi ha usato la frase come slogan elettorale. Perfino chi lo ha urlato negli stadi e nessuno ha trovato troppo da ridire; è accaduto per Balotelli che giocava con la maglia azzurra e ha portato l’Italia alla finale europea di qualche anno fa; è accaduto purtroppo per tanti altri giocatori di colore. Il calcio avrebbe dovuto fermarsi, ma c’è sempre un buon motivo per continuare.
Il razzismo
Da tempo il razzismo ha trovato spazi, connivenze, indifferenza. Tutti elementi che lo fanno crescere, diffondere; che aiutano chi vuole voltarsi dall’altra parte, chi minimizza, chi dice che in fondo non è così, che noi italiani siamo brava gente e mai razzisti. La pandemia con le sue chiusure e le sue paure ha finito anche per agevolare la parte oscura di tanti, ne ha aumentato le paure, quasi giustificato i pregiudizi. Non più solo contro chi arriva da fuori, contro i clandestini; anche contro quelli che sono italiani a tutti gli effetti ma non hanno lo stesso colore della pelle. C’è un’eco terribile che sommerge chi vorrebbe riconoscere la cittadinanza a coloro che sono nati e cresciuti in Italia, ci hanno studiato, parlano la nostra lingua, spesso il nostro dialetto, sono integrati ma allo stesso tempo emarginati.
Per Seid il mondo si rovescia
Seid era italiano ma gli altri facevano di tutto perché si sentisse uno straniero. E’ stato talmente messo in un angolo, rifiutato, respinto che a 20 si è sentito schiacciato al punto da togliersi la vita. Ha lasciato una lettera-testamento: “Ovunque io vado, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati per il colore della mia pelle e impauriti delle persone…”. Eppure Visin ha conosciuto un’altra Italia che gli voleva bene, che lo applaudiva quando giocava nella grande squadra, che badava molto al suo talento e poco al colore della pelle. Ma ha conosciuto anche il capovolgimento di quel mondo e non lo ha compreso, anzi quel mondo improvvisamente mutato lo ha travolto. E non gli è bastato poter gridare: “ Io non sono un immigrato, sono stato adottato da piccolo. Ricordo che tutti mi amavano… Adesso sembra che si sia capovolto tutto”.
Non solo nel calcio. Quando la discriminazione è ignoranza
E’ vero si è capovolto tutto e non ce ne siamo accorti o, forse, abbiamo fatto finta di non accorgercene. Non che siano mancati i segnali, che la società non abbia lanciato avvertimenti; ma c’è sempre una scusa buona per indicare un nemico da combattere, per trovare uno slogan elettorale che accarezzi la pancia della gente e talvolta anche qualcosa più in basso. C’è sempre una scusa per sghignazzare per le sventure dei più deboli. L’altro giorno a Chioggia un medico dell’Inps, inviato per la visita fiscale, è stato insultato e aggredito, cacciato in malo modo soltanto perché era di colore. Non importa se anche quel medico, laureato a Padova dove ha studiato, sposato con un’italiana, è un cittadino italiano a tutti gli effetti. Il dottore ha per qualcuno un “difetto”: la sua pelle somiglia a quella di Seid. E tanto basta perché per qualcuno vada respinto, rifiutato. Il medico ha reagito, è un uomo maturo, ha forse spalle più larghe di quelle di Seid che restava un ragazzino che aveva dovuto abbandonare un lavoro ”perché la gente rifiutava di farsi servire da me”. E non sentendosi amato, come gli era accaduto da bambino, aveva anche abbandonato il calcio e la grande città per tornare a casa dove si sentiva almeno protetto.
Esiste un’Italia miliore ma Seid non l’ha conosciuta
Non hanno fatto in tempo a spiegargli che esiste anche un’altra Italia, migliore di quella che sbraita, nella quale è possibile anche vivere da uguali. Esiste, certo, ma Seid ha vissuto in quella che ha capovolto i suoi sogni. Spetta a noi restituire i sogni ai tanti Seid che abitano e vivono accanto a noi. Diceva Leonardo Sciascia che c’è sempre un sud più al sud del sud. Non c’è un limite all’odio. Non c’è latitudine all’idiozia. Le storie di Seid non hanno sempre la pelle nera.
Gran bell’articolo…complimenti sinceri, Valter!