Il primo lockdown, quello di un anno fa, è stato il vero shock. Adesso stiamo vivendo il secondo ed è già diverso, subentra l’assuefazione, osiamo di più, il deserto è meno deserto. Ma un anno fa ci siamo trovati di fronte al mai successo prima, ad una novità mai vissuta, straniante per ciò stesso e contemporaneamente veicolo di fascini inediti: il vuoto, il silenzio, il senso dell’immoto. Un’occasione unica – almeno speravamo – per registrare sensazioni nuove, avere visioni mai sperimentate con una tale assolutezza, in fondo il lato positivo di una tragedia improvvisa e strisciante. Da una parte la paura, dall’altra la scoperta. Poteva Massimo Saretta, fotografo di lungo corso, cacciatore sperimentato di bellezza, non ricevere uno stimolo fortissimo? Il mondo è stato riempito in men che non si dica di immagini di vuoto: spazi prima affollati, magari all’inverosimile, ora svuotati e improvvisamente ”più grandi”, artificiosamente dilatati dall’assenza.
Vuoto e silenzio
Il vuoto è diventato la vera presenza, il protagonista inaspettato di un palcoscenico lasciato libero dagli attori quotidiani. E il fotografo Saretta, con la sua Leica, è andato giro per catturare quest’aria in più, vuota, che ha dato un respiro diverso ai luoghi dell’abitare e del vivere. Molte delle sue centinaia di foto precedenti, raccolte in vari libri, raccontano di una totale immedesimazione nella vita e nei colori ai quattro angoli del mondo, soprattutto in Oriente. E quanto diverso allora il viaggio sotto casa, lungo strade conosciute, nelle nostre città del Veneto, di colpo senza quasi movimento, svestite dei colori della presenza umana, e per contrappunto esaltando i propri, quelli della loro essenza, senza distrazioni altre.
Il viaggio di Saretta nel silenzio
Saretta ha fatto il viaggio più stupefacente della sua vita fotografica, in una dimensione quasi aliena soprattutto per chi cerca di documentare la vita. Avete presente l’espressione «fissare il vuoto» e tutto quello che significa? Sostanzialmente vuol dire essere imbambolati, e allora immaginate la condizione del fotografo che «fissa il vuoto», ma è tutt’altro che imbambolato, anzi. Il vuoto per lui non è incantesimo che lo distoglie dalla realtà, diventa il vero soggetto, quello da catturare. Che poi il vuoto non lo è solo perché mancano le persone: resta il mondo di sempre, con le sue presenze statiche ma vivissime. Per gli orientali anche un sasso è un essere che fa parte del mondo. Figurarsi i nostri sassi, che sono pietre lavorate, colonne, facciate, ricami e corpi di pietra. Case e palazzi si chiamano immobili, perché lo sono: ma appunto, lo «sono». E’ l’altra metà della vita di noi semoventi, quella che ci attornia, ci completa e ci sopravvive: sono il nostro presente, la nostra storia, e se li rispettiamo il futuro per chi verrà.
Abbiamo scoperto che c’è una vita immobile, abbiamo percepito il «fuori» come nemmeno gli urbanisti, e il senso di desolazione s’è trasformato in respiro, e gli spazi liberati hanno gareggiato con il cielo.
La mia opinione sul vuoto che traspare dalle foto
Sono certo che per Massimo Saretta fotografare questo vuoto sia stato esaltante: un vuoto creatosi di colpo, non quello che c’è sempre stato (il deserto, i luoghi isolati, eccetera) ma un vuoto che eravamo abituati a vedere pieno, cioè a non vedere come vuoto. E queste foto non potevano non diventare un libro, cioè un documento. Si intitola «Veneto venti venti. Il silenzio nel vuoto», e sembrano numeri ma dentro c’è il soffio della bellezza. Scorrendo più di cento immagini, si percepisce una realtà che credevamo di conoscere a memoria e che invece ci appare come mai vista. Non più sfondo, ma protagonista. Una foto – per forza – è sempre muta: ma queste hanno di più, trasmettono il silenzio. E capiterà naturalmente anche al lettore di guardarle solo con gli occhi, senza accompagnamento di voce, di suoni. Sono proprio visioni, forse irripetibili.
Il volume, edito da Esedra, sarà accompagnato nel suo percorso da una mostra in ciascuna città fotografata, i sette capoluoghi veneti. A Treviso è già stata aperta al Museo di Santa Caterina, sarà di nuovo visitabile appena si potrà, poi sarà itinerante, la seconda tappa è Vicenza, nel mese di giugno. Il libro, molto curato, con testi di Paolo Coltro, dovrebbe trovar posto nelle case dei veneti: che sappiano che mondo sono riusciti a costruirsi attorno prima di certe scelleratezze degli ultimi decenni.
Foto di Massimo Saretta in esclusiva per www.enordest.it