In questi giorni di celebrazioni dantesche, vengono alla luce luoghi nascosti toccati dalla presenza di Dante. Andiamo alla riscoperta della piccola chiesa di Sant’Elena a Verona. Si trova all’interno del complesso monumentale del Duomo ed è visitabile salendo una scala lignea dal retro dell’abside. Entrando da un passaggio aperto sotto l’organo di sinistra e attraversando un atrio con colonne antiche diviso in tre piccole navate. Conosciuto come Portico di Santa Maria Matricolare, in cui sono visibili resti di mosaici pavimentali paleocristiani.
Le origini a Verona vicino al Duomo
L’area museale della zona del Duomo comprende una stratificazione di vari edifici di origini molto antiche. A partire da fondazioni di epoca romana e paleocristiana, a cui nel corso dei secoli sono stati sovrapposti il Duomo, il battistero di San Giovanni in Fonte e la chiesa dei Santi Giorgio e Zeno, popolarmente detta di Sant’Elena.
Sant’Elena e Verona
La chiesetta di Sant’Elena risale all’età carolingia, fondata dall’arcidiacono architetto Pacifico verso la fine dell’VIII secolo sulle fondamenta di una precedente chiesa paleocristiana e consacrata nell’anno 813. Della struttura originaria rimangono i muri, ma il resto ha subito vari rimaneggiamenti e restauri soprattutto dopo il terremoto del 1117 (quello a cui seguì la costruzione del Duomo). Le monofore sono del XII secolo e sostituirono le ampie vetrate precedenti. La facciata romanica con i mattoni alternati in cotto e tufo è in parte coperta da una loggia con volte a crociera che risale al XV secolo. Alla facciata con le colonne si accede ormai facendo il giro esterno, dal retro dei cortili fioriti delle case.
L’interno della chiesa ha aspetto romanico, con una sola navata e soffitto con travi di legno a vista. La cappella maggiore e l’altare maggiore con la pala di Felice Brusasorci raffigurante la Madonna in trono con Bambino e Santi Stefano, Zeno, Giorgio ed Elena furono realizzati intorno al 1573 da Bernardino Brugnoli.
Il coro ligneo della Chiesa di Verona
Sempre opera di Bernardino Brugnoli è il coro ligneo, che si trova oltre l’elegante balaustra con stemma dei Fracastoro. A fianco dell’altare c’è un trittico del Trecento. In pietra policroma raffigurante la Madonna con Bambino in trono tra i Santi Giovanni Battista e Evangelista, attribuito a Giovanni Rigino. Le altre pale e gli altri paramenti sono risalenti al XVIII secolo. All’interno della chiesa si trova ancora conservata un’antica campana, realizzata dal magister Jacobus nell’anno 1384.
Verona ospita Dante
Fu proprio qui che Dante lesse in pubblico l’ultima delle sue opere. La «Quaestio de aqua et terra», la sola con una datazione topica e cronica precisa che appare nella lapide in latino posta a destra dell’ingresso. Verona, 20 gennaio 1320. Come pubblico di un Dante ormai non più giovane ma come sempre pungente e contestatore – lui che nella Commedia non ha esitato a scagliarsi contro papi e imperatori – dobbiamo immaginare dei canonici, dei dotti e sicuramente dei funzionari della corte Scaligera di cui era stato ospite negli anni dell’esilio e per i quali aveva mansioni diplomatiche, quasi una sorta di ‘ministro degli esteri’.
Immaginando Dante
Possiamo quasi vedere Dante e sentirlo declamare con la sua forza polemica. «Questa controversia filosofica è stata dibattuta sotto la dominazione dell’invitto signore Cangrande della Scala da me Dante Alighieri, ultimo dei filosofi, nell’inclita città di Verona entro il tempietto della gloriosa Elena, alla presenza di tutto quanto il clero veronese tranne solo certuni che per troppa carità chiudono gli orecchi alle altrui preghiere, e per la troppa umiltà poveri di Spirito Santo, perché non si creda ch’essi rendono omaggio ai meriti altrui, preferiscono astenersi dall’intervenire ai loro discorsi».
Un’opera misconosciuta
L’opera è una dissertazione accademica sul problema dei rapporti tra i quattro elementi: terra acqua aria fuoco. Il dilemma è se «l’acqua, nella sua sfera, sia in qualche parte più alta della terra che emerge dalle acque». Il problema riguardava i rapporti fra la sfera dell’acqua e quella della terra, dal momento che secondo la concezione aristotelico-tolemaica al centro dell’universo si trovava la terra e in successione concentrica, dalla più pesante alla più leggera, la racchiudevano le altre sfere di acqua, aria e fuoco. Bisognava spiegare quindi come mai la terra, in realtà, emergesse dall’acqua. Dante confutò gli argomenti sostenendo che emergesse con una «gibbosità», una gobba, per via della «virtù» del cielo delle stelle fisse (l’ottavo cielo della cosmologia antica) che attira la terra come la calamita attira il ferro.
Verona riscopre Dante
Nel gennaio 2020 questa opera poco conosciuta di Dante ha rivisto la luce proprio nel luogo nel quale era nata. Per l’apertura del convegno internazionale dantesco di due giorni organizzato dall’ateneo veronese (20-21 gennaio 2020) e in vista delle celebrazioni del settimo centenario del 2021, sotto la guida del regista e attore Alessandro Anderloni alcuni studenti e studentesse dell’università e delle scuole superiori veronesi hanno fatto una lettura integrale in traduzione italiana della Quaestio.
«Dante a Sant’Elena», ha spiegato Anderloni, «si trovò un po’ come un baccelliere davanti a dei maestri. Così ho voluto che fossero gli studenti a rileggere quel testo così poco conosciuto e frequentato, eppure così affascinante. Vorrei che i giovani lo riscoprissero, ne sentissero vibrare dentro i sentimenti e perfino le amarezze di un uomo sul limitare della vita, che in questo luogo forse visse il suo definitivo congedo da Verona, la città che per tanti anni ebbe la ventura di averlo concittadino e che oggi ha il dovere di onorarlo».