“Dio è morto”. Questo è il titolo utilizzato dall’Equipe, il più antico e autorevole quotidiano sportivo francese ed anche del mondo, per annunciare la morte di Diego Armando Maradona. A qualcuno potrà sembrare un’affermazione esagerata, quasi blasfema. In realtà, è assai veritiera perché Maradona, nel corso della sua breve e tormentata vita, ha compiuto dei miracoli, come regalare la felicità a milioni di persone. Non parliamo di una cosa da poco, la felicità è una questione seria, perché è ciò che tutti noi cerchiamo e non troviamo quasi mai. Per questo motivo assistiamo a scene di disperazione generale in tutta l’Argentina, un popolo intero, e a Napoli. Sono lacrime, lacrime vere, pianti disperati, come quelli di chi ha perso un proprio caro o la persona amata.
Il “Dio” del calcio

E proprio per questo, per aver regalato la felicità e per aver realizzato dei sogni irrealizzabili, Maradona è stato così amato. E non sarà mai dimenticato. Ma, attenzione, d’ora in poi, dopo la morte sarà ancora più amato. Per assurdo, la morte lo libererà dai suoi noti problemi e dalle dipendenze terrene. Che così spesso hanno usato i suoi denigratori come pretesto per demolirlo. Con la morte Diego diventerà realmente una divinità. E verrà ricordato per quello che è stato: un condottiero e l’eroe che ha permesso agli ultimi e ai più poveri di vincere contro i ricchi. Questa era la sua missione, portata a termine con successo, di novello Davide contro Golia.
Un “Dio” nato nella povertà
Maradona non ha mai scelto la via più rapida e comoda per vincere, cercando maglie di squadre di vertice (il suo Barcellona, pur se forte, era lontano anni luce da quelli fantastici e vincenti di Messi). A Diego è sempre piaciuto sfidare i potenti, caricando sulle sue spalle tutto il peso delle responsabilità. E’ stato questo aspetto, unito all’infinita generosità, a farlo amare dai compagni. Maradona era il vero capitano, quello che ci metteva sempre la faccia, con la stampa, con la dirigenza per aumentare i premi partita a tutti, dai ragazzi aggregati dalla primavera ai magazzinieri, quello che giocava in qualsiasi condizione fisica, anche la più precaria, quello a cui consegnare il pallone anche quando era attorniato da quattro avversari.
Dalle baraccopoli alla ricchezza
Però, questo suo caricarsi tutto sulle spalle, questo suo donarsi completamente alla causa ha avuto un effetto collaterale terribile, stritolando Diego e facendolo risucchiare dalle sue troppe debolezze. Provate, voi, a nascere e crescere in una baraccopoli di Lanus, cittadina a sud di Buenos Aires, insieme a 7 tra fratelli e sorelle, dormendo tutti in una stanzetta, e a ritrovarsi, pochi anni dopo, sul tetto del più popolare sport del mondo. Cambiare status, trasformandosi da poverissimo a ricchissimo.

Il “Dio” arriva a Napoli
Subito idolatrato e con la responsabilità di diventare il più grande di sempre, Diego accettò la sfida (adorava le sfide) e iniziò la sua battaglia. Aveva bisogno di grandi nemici per rendere al meglio e più erano grossi più si divertiva e più scaldava gli animi dei suoi tifosi. Quando arrivò a Napoli nell’estate del 1984 non era ancora il miglior giocatore del mondo, era uno dei migliori con l’aspettativa di poter diventare il migliore di sempre. Ai mondiali spagnoli del 1982, poi, non aveva brillato, macchiando la sua partecipazione con una brutta espulsione contro il Brasile. I partenopei l’acquistarono per 14 miliardi dal Barcellona e lo presentarono in un giornata che i loro tifosi non dimenticheranno mai: il 5 luglio del 1984, quando almeno 70.000 napoletani si ritrovarono allo Stadio San Paolo per dargli il benvenuto. Quello stadio diventerà il suo teatro preferito e prenderà, giustamente, ora il suo nome.
Nasce la leggenda
A Napoli Maradona troverà l’habitat ideale per diventare il migliore di sempre: tifosi e una città intera che l’adorava, con una dirigenza pronta a soddisfare qualunque sua richiesta. Ma a Napoli troverà anche ciò che poi lo distruggerà: le amicizie sbagliate e la cocaina. Saranno otto stagioni meravigliose e drammatiche. Maradona, nel corso della sua vita, alternerà momenti esaltanti ad altri deprimenti, una vita vissuta come sui binari delle montagne russe, non poteva essere altrimenti perché le cose normali a Diego non sono mai piaciute. Nei suoi anni napoletani, Diego regalerà due scudetti ai campani, il primo storico, nel 1986, ed il secondo nel 1990 in un’emozionante testa a testa col Milan di Sacchi, che pochi anni prima gli aveva sfilato un titolo già vinto. Queste perle, unite ad una Coppa UEFA e due Coppa Italia, faranno entrare Maradona nel cuore dei napoletani per non farlo uscire mai più.

Il “Dio” tocca la Coppa
A Napoli, Diego troverà l’ispirazione per prepararsi al meglio per il mondiale del 1986 in Messico, dove dimostrerà, prima e unica volta nella storia del calcio, che un uomo solo può far vincere una squadra. Proprio il mondiale messicano farà pendere la bilancia dalla parte di Diego nell’eterno dilemma su chi sia il più forte giocatore di tutti i tempi tra lui e Pelé. Quell’Argentina era tutto fuorché una squadra irresistibile. Sì, c’erano Valdano e Burruchaga, il primo stella del Real Madrid ed il secondo reduce da un brillante campionato in Francia col Nantes, ma intorno a loro c’era il vuoto, composto da onesti faticatori e comprimari, ai quali, però, si aggiungeva Maradona.
Astuzia e genio
El Pibe de oro prenderà per mano la squadra, imporrà le scelte all’allenatore Bilardo: Daniel Passarella, suo acerrimo nemico, convocato ma spedito in tribuna, Ricardo Bochini, in là con gli anni e lontano dalla sua forma migliore, chiamato per accontentare Diego. In Messico si vedrà il miglior Maradona di sempre che regalerà all’umanità due dei gol più belli della storia del calcio: il secondo contro l’Inghilterra, nei quarti di finali, e sempre il secondo questa volta però contro il Belgio in semifinale. A questi gol andrebbe aggiunto il primo contro gli inglesi, la celeberrima “mano de dios”, a modo suo un colpo di genio.
Il “Dio” ci provò da solo
Nei mondiali del 1990, ospitati dall’Italia, Diego avrebbe potuto vincere sempre da solo, questa volta addirittura accompagnato da una squadra più modesta, il secondo titolo, ma, in finale, un arbitraggio scandaloso favorì spudoratamente la Germania. Maradona iniziava ormai ad avere troppi nemici. I suoi continui attacchi ai vertici del calcio non potevano passare inosservati ad un sistema che la giustizia avrebbe poi dimostrato essere corrotto come urlato da Diego in tempi non sospetti.
Italia addio
I problemi con la droga e il fisco porteranno Maradona fuori dall’Italia. Nel 1994 si prospetta per lui l’occasione di giocare l’ultimo mondiale, il quarto. I vertici della FIFA ingannarono Diego, la cui presenza era fondamentale per ingrassare il treno degli sponsor. Maradona venne convinto a partecipare, per farlo doveva dimagrire e prendere dei farmaci che rischiavano di dare la positività al controllo antidoping. Sembra che a Diego venne garantita una sorta d’impunità. Contro ogni previsione, Maradona si rimise in forma e si presentò al mondiale americano tirato a lucido. Per di più, in questa occasione l’Argentina era più forte di altre occasioni, grazie anche alla presenza di una dei migliori centravanti di sempre: Gabriel Omar Batistuta. Dopo la partita con la Grecia, ultima del girone eliminatorio, Maradona venne sorteggiato all’antidoping e trovato positivo. La FIFA l’espulse dal mondiale.
La discesa del “Dio”
Sarà l’inizio della fine perché l’unico salvagente di Diego era il pallone, senza il quale era un uomo solo. Dopo la fine dell’attività agonistica nel 1997 in Argentina iniziarono per Diego una serie interminabili di problemi di salute che ogni giorno gli ruberanno qualcosa. Nell’arco di un ventennio rischierà la vita in almeno tre d’occasioni e cercherà rifugio come sempre nel pallone, provando la carriera da allenatore. I risultati saranno deludenti, troppo grande il calciatore per provare ad emularlo dalla panchina. Non riuscirà a sfruttare nemmeno l’occasione più desiderata: la direzione della nazionale Argentina ai mondiali del 2008 in Sudafrica. Diego, però, pur avendo a disposizione fior di campioni, tra cui Messi, non riuscirà ad andare oltre il girone eliminatorio.

Ad “Dio” Diego. Il silenzio ti saluta
Il finale drammatico è la triste cronaca di questi ultimi giorni che ci ha tolto l’uomo ma ha consegnato alla storia la divinità. E’ emblematico come l’addio alla vita di Maradona avvenga con tutti gli stadi vuoti a causa dell’emergenza COVID. Sembra quasi che Eupalla (la divinità che protegge e ispira il gioco del calcio) di breriana memoria abbia deciso di creare un silenzio totale per salutare il più grande.