Un dialogo europeo aperto sul filo di una storia condivisa: è questa, in sintesi, la trama culturale che sostiene la singolare mostra “Arte salvata” realizzata dal museo M9 di Mestre con dipinti provenienti dal museo MuMa di Le Havre sfuggiti ai bombardamenti della seconda Guerra mondiale e perciò chiamati “capolavori oltre la guerra”, un tesoro che dal passato ci accompagna in un itinerario di cultura e bellezza, diciamo pure che sono reperti di una civiltà sottratta alla barbarie. Dalla Normandia con amore, verrebbe da dire, perché i capolavori esposti (fino ad agosto) sono portatori di un messaggio straordinario: la cultura, hanno detto le curatrici francesi della mostra, è un “collante straordinario” che le due città coinvolte nel dialogo, Le Havre e Venezia, testimoniano fin dalla loro originale forma urbis: entrambe sono realtà a vocazione marittima, entrambe patrimonio dell’umanità Unesco, storicamente simili sotto la tempesta di bombe della guerra totale che stava per cancellare la loro eredità culturale.
Le opere di Le Havre

Le opere prestate all’M9 appartengono al periodo impressionista – il più importante dopo Parigi – accompagnate da altre di stile diverso. Buona parte della collezione di arte moderna del museo francese – è stato detto con una punta di orgoglio – è frutto di donazioni, e si ricorda a proposito il gesto generoso di Claude Monet che già nel 1910 donò tre suoi quadri al Museo della città della sua infanzia, e questo particolare dice quanto il senso civico possa accompagnare la crescita di un “motore cultuale”.
La mostra, fortemente voluta dalla direttrice dell’M9, Serena Bertolucci, sorprenderà il visitatore perché molti degli autori non hanno una circolazione a livello popolare: ora la qualità superba dei loro dipinti li farà amare come avviene per i più noti in Italia: ci sono Monet e Dufy, Renoir e Gauguin, Bonnard, Braque e Sisley. In particolare si può prevedere una riscoperta di Dufy, presente con undici dipinti in cui il disegno si fa poesia.

C’è qualcosa di simbolico in questa mostra: le opere che vediamo sono creature dell’Arte sopravvissute a un diluvio di ferro e fuoco sono state presentate alla stampa sulla soglia della primavera cioè nella stagione che rigenera la natura e cioè fa rinascere la vita in cui si specchiano i colori dell’arte.
E c’è, in parallelo, l’urto della Storia: una mostra di gigantografie al secondo piano dell’M9, intitolata “Urbicidio, cioè assassinio di città che furono vittime di spaventosi bombardamenti aerei: e ci furono, con Le Havre, Porto Marghera e Mestre.
I cuori disarmati

Era dal tempo della guerra fredda che quella parola sembrava uscita dal nostro vocabolario: disarmo. Bilaterale o unilaterale, ma disarmo cioè chiusura degli arsenali militari e soprattutto delle postazioni missilistiche a largo raggio, pronte anche in Italia. I pensieri dell’uomo comune erano occupati dal fantasma della Bomba, così come, oggi, i nostri cervelli rintronano della parola riarmo. Fino all’altro ieri circolavano solamente inviti perentori come “Riarmiamo l’Europa” che significavano “riarmiamoci tutti…”
I saggi mandavano altri messaggi, e miravano al “disarmo dei cuori, infetti da odi, piani di espansione in terre d’altri, passioni fratricide” ecc. Parole al vento? No, e per fortuna. Da un luogo di dolore, il Papa ha ritrovato quella parola che sembrava dispersa nel bla bla universale, ha gridato: “Disarmiamo il mondo” chiamandolo con il suo nome Terra, che tutti ci unisce in un unico destino.
Diranno i soliti: “Questa è pura utopia pacifista”, oppure “è la solita predica del buon pastore”, senza capire che forse è una estrema preghiera.
Dice il mio amico saggio: “Riarmiamo piuttosto i nostri cuori”.
Canzone

(poesia)
Hai le stelle nel cuore
e dai luce all’amore,
ogni fibra è un colore.
Hai la voce del vento
che allerta i colombi
ai confini del giorno.
Hai l’odore del cielo
che freme nostalgico
nella notte che viene.
Hai le stelle nel cuore.
Anonimo ‘25