La Procura di Trapani chiede il non luogo a procedere nel corso dell’Udienza Preliminare contro l’equipaggio della Iuventa. La nave che sette anni fa era stata posta sotto sequestro in mare per la violazione del codice delle Ong, ossia il codice di condotta che le organizzazioni umanitarie operanti i soccorsi in mare dovevano adottare per svolgere la loro attività, previsto dal Governo Gentiloni. La mancata sottoscrizione del protocollo avrebbe comportato l’impossibilità di svolgere le operazioni di soccorso. Un divieto che colpì le numerose Ong non firmatarie, tra le quali l’Ong tedesca proprietaria della Iuventa, che venne così sottoposta a sequestro.
Piantedosi chiede la costituzione di parte civile

Nel corso del procedimento giudiziario, che ha visto nel dicembre del 2022, il Ministro Piantedosi chiedere la costituzione di parte civile contro la Iuventa, sono stati sentiti numerosi testimoni. Ed è stata ricostruita la vicenda, che ha portato adesso alla decisione di non procedere allo svolgimento del processo.
Tra gli aspetti messi in luce una delle maggiori e più rilevanti anomalie, è quella prevista dal decreto legge 2 gennaio 2023 n. 1 (convertito con la legge 24 febbraio 2023 n. 15), con il quale è stato disposto che una volta effettuato un soccorso in mare la nave deve immediatamente recarsi nel porto assegnato, spesso molto lontano. Evitando così di compiere altre operazioni di soccorso – anche qualora siano possibili – e prevedendone il fermo amministrativo in caso di nave indisciplinata.
La mancanza di navi di soccorso in mare bloccate da un decreto

Questa previsione ha di fatto impedito i salvataggi multipli ed ha limitato la presenza delle navi di soccorso nelle aree di ricerca e salvataggio. Dal febbraio 2023, nove navi di soccorso delle ONG sono state trattenute dalle autorità italiane in 16 occasioni. Per un totale di oltre 300 giorni di assenza in mare. La sanzione prevista consiste in una multa fino a 10.000 euro. E la possibilità che la nave venga bloccata per almeno 20 giorni con un fermo amministrativo da parte delle autorità.
In mare non tutte le leggi possono essere applicate

L’impatto negativo della legge è stato amplificato dalla prassi d’assegnare alle navi ONG più grandi porti lontani nel nord Italia per lo sbarco delle persone soccorse. Questi porti possono trovarsi fino a 1.600 km e cinque giorni di navigazione dal luogo di soccorso. Ancora una volta questa pratica viola il diritto marittimo internazionale. Che richiede che le persone siano sbarcate in un luogo sicuro non appena sia ragionevolmente possibile.
Nel solo 2023, le navi di soccorso delle ONG hanno percorso più di 150.500 km in più per raggiungere porti lontani. L’equivalente di oltre tre volte e mezzo il giro della terra. Per un totale di 374 giorni di navigazione, impiegati per non sbarcare nei vicini porti siciliani ma indirizzarsi negli scali del centro nord. Porti che spesso non sono risultati preparati a ricevere la massa di persone che arrivavano.
Il caso Italia

Alle navi con bandiera italiana è stato riservato un ulteriore provvedimento. Stabilendo che la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare opera in conformità alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera. Disposizione che, vista l’impossibilità di prevedere la categoria di navi addette al soccorso, se non quelle di Stato, ha portato ad alcune conseguenze paradossali. Come quella di ordinare alla società armatrice […] la rimozione, prima della partenza, delle attrezzature e degli equipaggiamenti per lo svolgimento del servizio di salvataggio.
Come si prevedesse che un’auto girasse senza la ruota di scorta.
Il comandante condannato

Intanto dalla Corte di Cassazione è arrivata la conferma della condanna del comandante del rimorchiatore italiano Asso 28 che, il 30 luglio del 2018, dopo avere soccorso 101 persone nel Mediterraneo centrale li riportò in Libia consegnandoli alle autorità locali. La vicenda, come ricostruita dalla Cassazione, ha riguardato la violazione del codice della navigazione per abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci, e di sbarco e abbandono arbitrario di persone.
Il rimorchiatore, che svolgeva servizio di appoggio ad una piattaforma, aveva soccorso oltre cento migranti a bordo di un barcone salpato dalla Libia. E, nel corso delle operazioni, al comandante sarebbe stata fatta la richiesta di imbarcare un soggetto di nazionalità libica ufficiale di dogana libico. Che avrebbe suggerito al comandante di dirigersi verso le coste di Tripoli e lì sbarcare i migranti soccorsi.
L’accusa della mancata omissione di comunicazione in mare

La responsabilità del comandante, secondo la Cassazione, consiste nell’ avere omesso di comunicare nell’immediatezza, prima di iniziare le attività di soccorso e dopo averle effettuate, ai centri di coordinamento e soccorso di Tripoli e all’Imrcc di Roma (il centro nazionale italiano per il soccorso in mare, ndr), in assenza di risposta dei primi, l’avvistamento e l’avvenuta presa in carico. In tal modo, il comandante è stato ritenuto responsabile di aver violato le procedure previste dalla Convenzione di Solas e dalle direttive dell’Organizzazione marittima Internazionale. Realizzando un respingimento collettivo in un porto considerato non sicuro come quello libico. Compito del comandante sarebbe stato quello di operare accertamenti necessari sui migranti, verificare se volessero o meno chiedere asilo, effettuare accertamenti necessari sui minori, per verificare se fossero accompagnati o meno.
La pronuncia della Cassazione mette in risalto come il comandante debba, in autonomia e con la connessa responsabilità, liberamente determinarsi nel corso delle operazioni di soccorso. Fatte salve le necessità di coordinamento. Sarà inoltre compito del comando nave quello dell’osservanza delle convenzioni internazionali, di qualsiasi natura, sia quelle tecnico nautiche che quelle di salvaguardia dei diritti. Viene ribadito in sostanza come il comandante sia tenuto al rispetto del diritto internazionale, in tutte le sue forme. Un aspetto delle quali è la determinazione del porto sicuro per lo sbarco dei soccorsi.
Il decreto Cutro compie un anno, una delle più grandi tragedie in mare

Intanto compie un anno il decreto Cutro ossia il decreto legge 1/2023 che è stato convertito nella legge 15/23, che è stato realizzato dal Consiglio dei Ministri straordinario che si è riunito a Cutro dopo il tragico naufragio avvenuto il 26 febbraio dello scorso anno. Nel corso del quale persero la vita 94 persone a poche decine di metri dalla costa.
Tra le diverse previsioni del decreto le più rilevanti dovevano essere quelle tese al contrasto degli scafisti. Dai dati disponibili risultano essere stati effettuati 177 arresti negli ultimi 12 mesi, rispetto ai 171 arresti nel 2021 e ai 261 arresti nel 2022.
Parametrando il numero degli arresti a quello degli arrivi, ossia 177 su circa 157.000 persone arrivate in Italia in mare, si deduce che sono state arrestate circa tre persone ogni 2.000 arrivi.
Un numero di scafisti probabilmente inferiore a quello necessario a condurre le imbarcazioni arrivate sulle nostre coste.
Articolo interessantissimo , sintesi chiara di un argomento complesso e poco conosciuto ed approfondito onestamente dai media nazionali …