Quante volte abbiamo sentito, o letto, l’espressione “C’è della ruggine fra quei due”, oppure “Un’antica ruggine li separa…” Modi di dire in uso da sempre. Ma c’è altro: il fatto è che ho trovato questa parola “ruggine” in un contesto narrativo che parla della mia terra, il Polesine, e di quella sua porzione che confina con il mare, il Delta del Po. Viene da un deposito di “cose vecchie”, e l’ho raccolta: oggi la offro ai lettori nel suo contesto, scritto da un musicista, già citato in questa rubrica, Vasco Brondi.
Ecco il brano… rugginoso: “Qui attorno è pieno di cose arrugginite. Navi, pontili, barili, trattori, ringhiere, tutto è arrugginito. E mi torna in mente L’estate addosso, una canzone che Lorenzo Jovanotti mi ha chiesto di scrivere con lui. Il ritornello, prima della versione definitiva, era prima che il vento si porti via tutto / e che la ruggine faccia il lavoro che fa / sulle cose cromate / le vite vissute. E Lorenzo diceva che non andava bene perché la ruggine è una cosa fuori tempo, che i ragazzi adesso non sanno neanche cosa sia la ruggine. Le cose vengono cambiate e buttate prima di arrugginirsi, oppure sono fatte di plastica. Capisco che questo è un posto di un’altra era, di altri materiali” (2016).
A parte la bellezza e la verità sparse nei versi della canzone, quello che ci attrae è il fatto inquietante che anche noi umani siamo attaccati da una forma di ossidazione che ci avvolge come un velo aggressivo e invisibile: la nostra è una ruggine senza nome, – o forse ne ha troppi, – che portiamo con noi a fior di pelle ed è fatta di sentimenti primitivi, di umori grevi e corrosivi, di vizi, di incrostazioni stratificate dal tempo, con il loro peso a volte doloroso. E non abbiamo la resistenza dei metalli.
Il sorriso del Satiro
Vive ancora nelle sue opere pittoriche, sua eredità culturale e di sentimenti, e proprio in questi giorni è stato onorato in pubblico: è Corrado Balest, al quale il Premio Mestre di pittura ha dedicato un “medaglione” alla memoria, coincidente con il centenario della nascita dell’artista (Sospirolo, Belluno 1923). L’occasione ha acceso in me – ma credo in molti altri – i ricordi di una lunga amicizia con Lui, condivisa dal sottoscritto con poeti fra i quali Andrea Zanzotto, Tiziano Rizzo, Giuseppe Surian, il gallerista Mario Lucchesi, e collezionisti come Franco Zoppas e gli amici del Clan Verdurin sui Colli del Prosecco.
Le immagini pittoriche non sono state l’unico suo linguaggio, io ne ho conservato anche le parole. Per inciso, Balest scrisse un libretto a tiratura limitata, caro agli amici e intitolato Manuale, ispirato a Epitteto: quelle parole sono percorse dal vento leggero dell’ironia e della saggezza.
Le sue parole, dunque. Eccone alcuni esempi
Diceva: “Io sono un razionale che usa la ragione per governare la follia”. Ma quale follia?, una malattia del tutto particolare, che va spiegata: infatti, Corrado Balest la percepiva come un dono di natura che ciascuno porta in sé e che lui coltivava “tenacemente”.
Diceva: “L’artista viene sempre da molto lontano” e questo lasciava intravvedere l’immenso deposito di rovine che è il passato, ma le rovine classiche erano per lui vive e parlanti, e le rievocò con sensualità pagana nel ciclo di incisioni de Gli dèi in campagna. A questo proposito, va detto che tutte le sue opere sono imbevute di solarità mediterranea e ricordo le sue “fughe” nel paesaggio e nella mitologia, lui stesso identificabile simpaticamente con un Satiro sorridente.
Diceva: “La pittura è una Sirena potente e immortale, o rinascente come l’Araba Fenice dalle sue ceneri, costretta oggi a spuntare e crescere nella vigna di Renzo” che, come leggiamo nei Promessi sposi, non era propriamente un esempio di buon ordine.
Ho scritto di lui, in un libro, coautore Renzo Gambato: “La sua ironia è il sintomo di un disincanto raggiunto dopo aver attraversato la vasta palude italica con le insidie, le malizie, le violenze e cento altre sirene fameliche da lui sconfitte durante il suo apprendistato d’artista e di uomo. La sua pietas, così luminosa e convincente, si può leggere nei dipinti come un fresco tocco di sereno” (10 ritratti d’artista, Galigani editore 1995).
Ritratto d’ignoto
(poesia)
Ma tu, come artista,
mi dici dove nasci?
“Nasco dall’atmosfera
come gli arcobaleni.
Rinasco ogni notte
come fiamma solare.
Nasco da fibre infinite
che tessono la Memoria
anche la più remota:
lontano più di domani.”
Forse le anime d’artista
si formano nel Caos
della creazione, prima
che inizi la Storia?
Anonimo 2023
Chi avrebbe mai fatto un articolo sulla ruggine, parola attuale sì, ma certo non poetica – ma Ivo riesce a farne pittura, musica, filosofia. Sei unico! Io sono una veneta a metà, importata per amore, e purtroppo non conosco i nomi e nemmeno le opere degli artisti nominati. Ma sono felice e grata per aver l’opportunità e la fortuna di conoscere un rappresentante eccelso di un ricco periodo di valori. Grazie ancora, Ivo, e anche un affettuoso saluto a Nadia – un’amica che è come l’avessi sempre conosciuta.
Hai ricordato Epitteto ! Epitteto diceva che , per raggiungere la felicità , devi prima essere libero .
Ma la libertà non ti viene regalata .
Te la devi conquistare.
E costa caro .
Ricordi Dante ?
Libertà vo’ cercando ch’è si’ cara …..
Quanto ci fai riflettere , Ivo caro !
GRAZIE .