Ho rivisto in un documentario della Rai una frazione del Grande tratturo, cioè il sentiero della transumanza secolare delle greggi dall’Abruzzo alla Puglia. Lo avevo visto di persona, tanto tempo fa durante un viaggio, in una località al confine tra l’Abruzzo e il Molise: è una traccia nel terreno erboso larga quasi cento metri che si perde in lontananza fra le ultime colline prima del mare, “l’Adriatico selvaggio” evocato dall’abruzzese D’Annunzio in una famosa poesia dedicata ai “suoi” pastori. “Settembre, andiamo…”

Il tratturo, autentica cicatrice verde impressa nel suolo collinare, mi ha fatto ricordare che l’uomo migrante si muove non solo e non sempre su scala planetaria ma anche entro geografie più limitate, e direi domestiche: quelle, per esempio, fra regioni lontane o confinanti con la nostra.
Come quel sentiero antico, infatti, altre vie di terra e d’’acqua ci hanno visto e ci vedono “migrar” in patria. Molti veneti hanno parenti dall’altra parte del mondo, quello stesso spazio per loro ignoto attraversato dagli antenati, ma anche noi contemporanei abbiamo percorso e percorriamo un invisibile tratturo fra nord e sud, fra una provincia e l’altra, perché siamo tutti instabili, da sempre e ovunque transumanti, sospinti dal vento del fato o dalla sete di conoscenza (che è più della curiosità), e naturalmente dal bisogno.

Discendiamo da una specie in perenne movimento, e pensiamo che la stessa vita è “una fuga continua”. O, vista dal versante religioso, è sempre “in cammino”.
Oggi, come spettatori davanti al balenante schermo del presente, vediamo arrivarci addosso l’onda disperata dei migranti di questo secolo: tribù, famiglie, bambini senza genitori, etnie, solitudini sanguinanti… E spesso la paura dell’invasione cancella la memoria del nostro migrare, quel partire senza ritorno che ha portato alla formazione di una Italia esterna, diffusa sul pianeta e grande il doppio della nostra terra storica.
Le idee che vivono, e le altre

Ho letto che, secondo un personaggio famoso, l’economista Paul Krugman, ci sono in circolazione “idee zombie”. Proprio così: idee semivive, brutte e aggressive come i mostri dei film horror, nascono e si riproducono in menti disturbate e incolte, non sono morte ma nemmeno vive: come i virus, infettano la realtà, vagano in mezzo a noi, sono velenose ma rivestite di veli zuccherini, frutti senza polpa, come noci vuote. Le porta il vento della disinformazione, della credulità spacciata per conoscenza, fenomeno pandemico esaltato dall’Infodemia, cioè la bolla dell’iper informazione da cui siamo avvolti e, direi, perseguitati quotidianamente.

Dobbiamo riconoscerle e espellerle da noi come si fa con gli elementi tossici. Non si può pensarle come quelle della scienziata Rita Levi Montalcini che sollecitava: “Far nascere le idee, e covarle”. Idee che creano vita, dunque, e le pensiamo come semi del futuro in contrapposizione a “il vaccino provoca l’autismo”, oppure a questa: “terremoti, inondazioni, pandemie e incendi sono una punizione che vien dal cielo, castighi divini per la nostra umanità peccatrice”: anche se fossero solo provocazioni, è evidente che per qualcuno – o molti – producono contraccolpi emotivi, disagio e preoccupazione.
Conviviamo con idee marce, come la cancel culture di persone del ventunesimo secolo, dunque evolute, che usano il cancellino dell’ignoranza per affermarsi: l’ignoranza come violenza. E vola nel cielo cupo del presente l’idea zombie più disastrosa, e che riassume tutte le altre, ahimè, è la guerra.
Le prede della notte

Le “culle vuote” sono diventate un’emergenza, come la siccità: gli italiani rinunciano a fare figli mentre i vecchi scompaiono lasciando una società squilibrata e chiusa al futuro. Lo scenario è drammatico, basta leggere i giornali per sentire la voce delle istituzioni di base sollecitate dai demografi e dagli statistici. E finalmente l’onda sismica dell’allarme sociale ha scosso anche il Palazzo. Un’Italia più povera di cittadini deve preoccupare, deve anzi preoccuparci tutti.
Pensiero triste: la popolazione cala perché le nascite non bilanciano le morti. Ma non c’è solo la morte che viene secondo natura, ciclicamente. C’è lo stillicidio dei giovani che muoiono sulle strade, vera strage quotidiana. Siamo noi che andiamo incontro alla morte, questa predatrice notturna che falcia i nostri ragazzi lasciando dolorosi vuoti nelle famiglie e nella società, profonde cicatrici nelle nostre comunità.

E così vediamo nuovi altarini ai bordi di “strade killer”, fiori sparsi, una fotografia: così la pietà popolare, presente e anonima, trasforma in ricordo il sangue versato, le giovani vite spezzate, ogni ragazzo una luce spenta sul nostro domani.
L’Italia non ha solo un problema di natalità.
L’ombra

(poesia)
Domenica mattina
mi risveglia la voce
di mia figlia che gridando
dalla cucina chiede
a suo fratello
se davvero la Bomba,
quando scoppia,
lascia l’ombra
dell’uomo sopra il muro.
(Non di “un uomo”:
“dell’uomo”, dice). Lui
annuisce,
io mi giro dentro il letto.
Valerio Magrelli
Da Disturbi del sistema binario, Einaudi 2006
Eccellente .
Per non parlare poi di chi si inoltra sulle montagne che a causa del cambio climatico sono sempre a rischio
Valanga, ecco io questi proprio non li capisco come del resto non capisco tante cose mi sembra un mondo impazzito la gente ti aggredisce anche sul luogo di lavoro non esiste più un sano scambio su qualsiasi argomento con le personel i Valori questi sconosciuti il rispetto per tutti e per tutto religioni comprese
L’ umanità l’ aiutare chi ne ha bisogno
La dignità è la lista sarebbe troppo lunga.
Ed io mi sento sempre di più un pesce fuori dall’ acqua anche se ovviamente continuo ad essere me stessa
Ma spesso la tristezza mi assale
Che fine faremo che mondo lasceremo ai nostri figli ai nostri nipoti?
.
Molto interessante. Io ho tanti parenti emigrati in Brasile ed in Argentina verso il 1886. Ora vengono sempre a trovarmi