Il geometra Giuseppe Bassi, detto Bepi, classe 1919, ci riceve nel suo luminoso salotto, della sua casa a Villanova di Camposampiero in provincia di Padova, una villa che lui stesso da geometra comunale per molti anni, ha disegnato, e come la sua quella di molti altri concittadini. Ed è proprio lui ad accoglierci pimpante ed in piena forma sulla soglia di casa.
Come ogni giorno si siede comodamente sul divano e legge con attenzione il suo quotidiano preferito, sempre lo stesso, sin dal primo numero. Lo legge dalla prima riga all’ultima e se per qualche motivo non lo termina, prosegue il giorno successivo. Circondato dai giochi della sua nipotina Benedetta che di anni ne ha esattamente 100 di meno.
Giuseppe Bassi, sottotenente di complemento del 120° reggimento Artiglieria Motorizzata della divisione Celere, partì come volontario per il fronte orientale contro l’Unione Sovietica, quando al tempo stava studiando, dopo aver terminato il diploma di geometra, Economia e Commercio all’Università di Padova.
Lui stesso ribadisce di aver fatto questa scelta in piena libertà, con la consapevolezza che i giovani in buona salute come lui avrebbero potuto partecipare da volontari alle azioni di Guerra per amore della Patria.
Bassi è uno dei sopravvissuti alla Campagna di Russia e ai suoi campi di concentramento, campi dai quali tornò appena il 14% dei soldati italiani

«In prigionia ci sono rimasto dal 24 dicembre 1942 al 7 luglio 1946: 42 mesi nei lager di Tambov, Oranki e Suzdal tornando in Italia un anno e mezzo dopo la fine della guerra. Colpa dei comunisti italiani: Robotti, che faceva propaganda comunista mascherata da “antifascista” nei lager, e Togliatti, al quale conveniva ritardare il nostro rientro in Italia. Saremmo state tutte voci contrarie, 700 sottoufficiali che avrebbero raccontato le tragedie e la disperazione della detenzione». I morti nei campi di concentramento erano così tanti che nel maggio del ’43 arrivò l’ordine di «non morire».
Bassi com’era la situazione? Il numero di cadaveri era enorme e giustificarlo era diventato un problema. Molte morti erano causate da epidemie di tifo petecchiale, pellagra, polmoniti, cancrene da congelamento…

«La mattina ti svegliavi e non sapevi chi era rimasto vivo. Io, però, non mi sono mai ammalato, il medico Dott. Reginato mi contava tra i 7 che erano sani e potevano sempre essere d’aiuto ai compagni, che in tante occasioni, si rannicchiavano nei giacigli dei letti a castello e si lasciavano morire — continua Bassi —. Il mio segreto? Muovermi sempre, mi ero offerto volontario per andare a prendere il pane e il chai, il tè russo, da distribuire ai compagni.”
Più di ottantamila soldati mandati in Russia in due ondate non tornarono




“Fermarsi era uguale a morire, ammazzato dai russi o dal freddo. No, io dovevo vivere per tornare e raccontare”. In fondo lo aveva promesso anche al padre anziano che non era d’accordo per questa sua scelta, ma gli promise di ritornare, resistendo e muovendosi sempre mantenendo il suo metabolismo attivo e la mente lucida; tutto questo gli permise di poter annotare sulle cartine delle sigarette, molte immagini, che da bravo geometra poté riprodurre fedelmente.
La storia di Bassi

Bassi sembra non stancarsi mai di raccontare, con lucidità e dovizia di particolari, mai una esitazione nei ricordi, il tutto riportato con estrema fermezza, mai un cedimento emotivo, sempre sicuro di sé, anche quando, partito per il fronte, muore, accanto a lui, il suo artigliere con la gola trafitta da una pallottola. «Uno shock. Quella era la morte vera…». O di come, catturato ad Arbusowka, affronta la «valle della morte».
Bassi e la ritirata al grido di “avanti, avanti”!

«Trecento chilometri a piedi, avvolti dalla neve, segnati dalla fame, dal freddo fino a meno trenta gradi e l’urlo delle truppe russe “Davai, davai, bistrej! Avanti, avanti, presto!» — ricorda — Neve, neve e solo neve, da mangiare e calpestare, tranne quando riuscì a riempirsi di mais le tasche una volta penetrato in un granaio». Una volta accerchiati ed arresisi Italiani, tedeschi e rumeni vengono ammassati nel Campo n. 188 di Tambov, una tappa intermedia, dove furono lavati, visto anche il problema dei pidocchi per poi essere trasferiti ad Oranki, ove rimase per un anno e mezzo e poi a Suzdal dove restò fino alla fine della guerra. Bassi ricorda che comunque l’esercito italiano li aveva mandati attrezzati tutti al fronte con un cappotto di pelliccia e scarpe solide che gli bastarono per tutta la prigionia.
Bassi non scorda il suo passato




Velocemente si alza e scatta dal divano e comincia a frugare nella vetrina dove conserva i suoi ricordi, oggetti di vita quotidiana, che rianima attraverso una memoria eccezionale: la stessa che tornato dai lager, gli ha permesso di ricostruire in disegni straordinari per tratto e precisione i luoghi di prigionia schizzati su cartine di sigarette, sottrattegli ogni volta che veniva eseguita una perquisizione e puntualmente rieseguiti. I suoi disegni, costuditi oggi al piccolo museo dedicato ai prigionieri italiani a Suzdal, hanno permesso di ritrovare alcune fosse comuni nelle quali erano stati sepolti i prigionieri dell’Armir. «Sono geometra, il disegno è la mia passione”..
La “leggenda” Bassi l’ora

Come gli orologi, del resto, anche ai russi piacevano, ma facevano fatica a reperirli, il suo lo nascose dentro una scarpa e quando gli imposero la consegna mostrò il polso vuoto confermando un secco niet . Nei lager per tutti era “Bassi l’ora” perché era il solo a essere riuscito a tenere l’orologio e i compagni gli chiedevano sempre l’ora. Dalla sua storia, qualche anno fa è nato il film documentario Bassi l’ora, di Rebecca Basso, da lui stesso interpretato. Eccolo, l’orologio, appeso al muro dello stanzone «Dopo aver segnato 30.996 ore di fame, di freddo, di morte e di abbandono si è fermato», recita la scritta apposta da Bassi nella cornice. Lui la legge, senza occhiali.
A 103 anni, portati magnificamente

Ci porta poi una spazzola fatta con i crini dei cavalli, che a fine detenzione erano rimasti senza coda, oppure lo spazzolino, realizzato, come la tabacchiera da un gruppo di prigionieri romeni abilissimi artigiani, che intagliavano, con chiodi e coltellini improvvisati, un frammento di specchio regalo dei compagni in occasione del suo onomastico. Ci fa capire quale abilità e quale creatività ci fossero dietro quegli oggetti, fatti da persone, tutte parte dei suoi ricordi e che lui non ha mia dimenticato.
Tornare per raccontare
Lui non dimenticò mai nulla, resistette per poter raccontare la tragedia, tanti reduci non lo fecero, rimasero in silenzio per tanto tempo, la questione guerra una volta ritornati era un tabù che non lo volevano affrontare. Bassi invece raccontò sin da subito e subito riprodusse nel suo quaderno dei disegni le immagini affinché non svanissero, affinché fossero dettagliate, affinché rimanessero per sempre, perché raccontare e testimoniare era per lui una missione.

Poco dopo infatti la fine del conflitto tornò in Russia per celebrare una messa con l’amico Don Franzoni, prigioniero con lui a ricordo dei morti rimasti dispersi e quelli raccolti nei campi, nei vari cimiteri o fosse. Racconta poi che non si può accettare la voce dei negazionisti in quanto nel viaggio di ritorno, ebbe modo di vedere con i propri occhi anche i campi nazisti, dove fecero tappa, come vanno ricordati i casi di cannibalismo ad Arbusowka, dove la fame spingeva anche a questa pratica. Questo l’orrore della guerra e non dimentica la situazione attuale tra Russia e Ucraina. Nel suo libro Bassi racconta tutto. Si intitola “Dal fronte del Don ai lager sovietici” scritto con la collaborazione con il prof. Luciano Biasiolo
Un riconoscimento atteso: Cavaliere della Repubblica



Ci saluta con una notizia che lo riguarderà a breve, il conferimento del titolo di Cavaliere della Repubblica. Con questo auguriamo a Giuseppe Bepi Bassi di continuare sempre con questa energia e dinamismo a raccontare a ad incantare, le due ore trascorse assieme ci hanno rapito e ci lascia il segreto della sua longevità: muoversi sempre, il movimento è vita, serve per superare le difficoltà, ricorda sempre con dispiacere chi si stendeva sui giacigli lasciandosi andare, e lui li incalzava a reagire. Reagire e vivere il suo motto, per resistere e testimoniare, perché la gente ascolta; soprattutto lui si rivolge sempre ai giovani nella speranza che imparino dalla sua terribile esperienza e di quanto orrore porti con sé la guerra, monito a guardare quanto succede poco lontano da noi.
Ieri sera ho visto su RTV canale 831 San Marino la Storia di Giuseppe Bassi. Ne sono rimasto meravigliato. Nel sentire le atroci sofferenze sofferte da quei poveri soldati mandati al massacro mi sono commosso, La cosa che mi sorprende è il motivo che un fatto simile non si sente sulle reti nazionali. Danno risaldo a tutti e mai a chi veramente ha dato l’anima per la nostra Patria. Ci si ricorda solo dopo la bellezza di 76 anni per conferirgli il giusto merito che con tutta la sua grande umanità ed altruismo ha saputo infondere ai suoi sventurati commilitoni. Dovrebbe andare ad insegnare nelle nostre scuole ai ragazzi che un domani saranno la classe dirigente per ricordargli che solo con amore e sacrifici si può raggiungere una felice convivenza. GLI AUGURO CON IMMENSO AFFETTO OGNI BENE E CHE IL SIGNORE LO POSSA MANTERE SEMPRE UN GRANDE E SIMPATICISSIMO RAGAZZO.
Ciao