Il carattere che rende speciale lo sport è rappresentato dall’inclusività, una macchina che abbatte muri immaginari e che unisce ragazzi e persone di ogni età. Il progetto “Dragon’s Challenge” del Rugby Mirano, solo posticipato e mai fermato dalla pandemia, nasce proprio con questi ideali. Il Presidente Stefano Cibin ha coinvolto nel progetto anche l’allenatore inglese Jeremie Bristoe e punta ad un futuro con strutture sempre più grandi e numerose. C’è però un modo per spingersi ancora oltre. L’esperienza di Mixed Ability – rugby integrato – che in Italia è stata affrontata per la prima volta a Chivasso e che ora si sta diffondendo un po’ dappertutto è fondamentale: è giocato su un campo in erba, fatto di passaggi e di placcaggi veri, ed è aperto ai “normodotati” e alle persone con disabilità intellettiva e relazionale. Si gioca tutti insieme, e non ci sono caschi o maglie di diverso colore per segnalare le categorie “protette”.
La bellezza del rugby

Non servono, tutto è affidato al buon senso delle persone. Splendido. Il bello però è che qualcuno ha pensato che ci si possa spingere ancora oltre, che il rugby – in questo caso nella versione “tag” – possa includere persone che per diversi motivi non possono avere accesso al rugby integrato, ma che dal rugby possono comunque trarre gioia, apertura, esperienze di condivisione. Persone con qualsiasi tipo di “sfida” che possono migliorare la propria qualità di vita attraverso il gioco di squadra del rugby tag, una versione del gioco priva di contatto che viene giocata con una cintura di velcro all’altezza della vita alla quale sono legati dei nastri, che vanno strappati al portatore di palla avanzante.
Solo due squadre in Italia
Ci sono due club in Italia che sono leader per questo tipo di esperienze, la Capitolina e il Mirano. Qualche settimana fa, sentendo il presidente del club veneto Stefano Cibin, avevamo raccontato dei “Dragons“, il progetto partito nel febbraio 2020 che davvero spalanca le porte del rugby a tutti, a ragazzi e ragazze che vivono situazioni se possibile ancora più difficili, che hanno bisogno di essere accompagnati da un educatore. Ragazzi con la sindrome di Down, ragazzi autistici, persone costrette in carrozzina che, senza questo tipo di proposte, farebbero fatica a vivere al di fuori di casa, a socializzare. “A luglio andremo in Inghilterra, a Witney, per ricambiare una visita e far fare un’esperienza nuova ai nostri Dragons e alle loro famiglie”, ci aveva raccontato Cibin. Ci eravamo ripromessi di risentirci al ritorno, per capire come era andata. “Sono stati tre giorni brevi ma intensi – racconta l’ex seconda linea -, difficile raccontarli a parole”.
Presidente, da dove è nato il progetto “Dragon’s Challenge”?

“Il progetto nasce dall’esperienza che la società ha fatto dal primo progetto di inclusione “Una meta per crescere” otto anni fa. Progetto che prevede l’inclusione dei ragazzi con sindrome di down all’interno della squadra di rugby, in collaborazione con AIPD di Venezia. Si tratta di un inserimento protetto ed oculato che porta un ragazzo per volta nel gruppo. In questo modo, in deroga con la federazione, si trova a giocare in una categoria inferiore rispetto alla sua età e con gli altri ragazzi. Tra i diversi inserimenti fatti, c’è anche il caso di Giovanni, un ragazzo che è andato oltre la barriera figurativa del minirugby e che, dopo aver esordito in under 14 l’anno scorso, sta giocando in under 15. Questi per noi sono i veri scudetti, le soddisfazioni che ricerchiamo. Le tematiche sociali e i programmi di inclusione sono nel DNA del Rugby Mirano”.
Siete stati più forti anche della pandemia, che vi ha fermato per tanto tempo

“Siamo partiti proprio nel febbraio del 2020, quindi ci siamo ritrovati bloccati e in lockdown dopo pochissimi giorni. Per sicurezza e per garantire una continuità ai ragazzi, siamo rimasti fermi a lungo, per poi ripartire a settembre. Attualmente abbiamo sette ragazzi e, volta per volta, cercheremo di integrarne sempre di più. Le richieste sono tante e con i giusti passaggi riusciremo a riempire l’intero campo con i nostri bambini, intanto non possiamo che formare più educatori possibili per accogliere più ragazzi. Con l’amministrazione comunale, inoltre, abbiamo iniziato a parlare di un centro sportivo inclusivo, che possa avere più campi e strutture studiate anche per loro, come un parco giochi con giostre”.
Il progetto Dragon’s, nel quale figura anche Jeremy Bristoe, ha modelli esteri?

“Inizialmente cercavamo un sistema che aprisse le porte a più ragazzi e l’arrivo in Italia di Jeremy Bristoe, un allenatore inglese che è stato tra i primi a creare un progetto simile, ci ha permesso di realizzare questo nostro obiettivo, un programma che permette ai ragazzi di entrare in campo e divertirsi provando il rugby-tag (il rugby scolastico e senza contatto). Mentre noi eravamo orientati per un altro tipo di rugby, Jeremy ha portato il suo modello, con il quale ci siamo accorti che riusciamo ad accogliere davvero tutti. Stiamo prendendo ad esempio anche il progetto del Bristol Rugby, squadra inglese che lavora con un programma che coinvolge tutti coloro che vogliono giocare, dai neonati agli anziani, e che interessa qualche migliaio di persone”.
Presidente, qual è per lei il significato del progetto Dragon’s?

“Lo sport è una medicina che non ha controindicazioni e fa bene a tutti, in particolar modo a chi ne ha bisogno maggiormente rispetto ad altri. Una società non si deve limitare a cercare i risultati sul campo. Le fondamenta di un club si basano infatti su questi aspetti sociali, bisogna cercare di formare prima dei ragazzi che degli atleti. Con questo progetto di inclusione, la crescita di tutti i nostri ragazzi è a trecentosessanta gradi, sia degli “sfidanti”, ossia di coloro che sfidano la vita come dico io, che degli altri compagni. La pandemia ha evidenziato come lo sport debba essere di tutti”.
Presidente ci racconti del progetto Dragon’s in Inghilterra
Da Mirano con il Dragon’s sono partite 32 persone: 8 ragazzi dei Dragons con i loro familiari, più sei under 13 e un gruppo di dirigenti del club. Sono stati ospitati dal Witney, il club di una cittadina vicina ad Oxford che da una decina di anni porta avanti esperienze di rugby tag aperto a tutti. E’ il club dove si è formato Jeremy Bristoe, oggi a Mirano come allenatore di questa squadra speciale che alle spalle ha solo un anno di attività – si è ripreso nell’autunno scorso dopo lo stop legato al Covid – e che secondo gli inglesi “ha fatto passi da gigante”. Per tre giorni i Dragons sono stati coinvolti in giochi che giravano attorno al rugby tag. Giocavano dalle 10 alle 15-16.

“Alla fine erano tutti stanchissimi – racconta Cibin -. La cosa che conta di più, però, è stata l’esperienza che hanno vissuto. Per tanti era la prima volta all’estero, la prima volta in aereo. C’erano tantissimi timori, invece è andato tutto bene. Ed è stata una cosa enorme anche per le famiglie, che hanno bisogno quanto i ragazzi di queste esperienze. Le mamme hanno familiarizzato tra loro, hanno creato un loro gruppo. Noi eravamo il contorno, ma stare lì è stato di grande beneficio soprattutto per noi, perché ti fanno capire come si affrontano i veri problemi, non le banalità che noi normodotati ci troviamo di fronte ogni giorno e che ci sembrano insormontabili. Per questo vogliamo portare queste famiglie sempre più al centro della società. La loro frequentazione deve essere la normalità, ne va dello spessore della società”.
Progetti futuri con il Dragon’s?
“Stiamo pensando a altre iniziative. Vorremmo organizzare un torneo a Mirano a metà ottobre, facendo venire una manciata di squadre dall’Inghilterra e alcune dall’Italia. Attendiamo di definire il tutto, ma c’è la possibilità che arrivino le squadre “tag” di importanti club di Premiership. Tanto per capire come questo tipo di esperienze sia radicato da loro. E poi negli stessi tempi vogliamo promuovere un convegno, aperto anche alle altre discipline che si aprono a queste esperienze. Per fare capire che lo sport può fare davvero cose enormi per questi ragazzi e per le loro famiglie”.