“Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”. Scomodiamo l’Inferno e pure Dante. Domenica pomeriggio, entro al Pronto Soccorso di Mestre con questo leggero stato d’animo. Ho una distorsione alla caviglia e dovrò affrontare questa nuova esperienza. Sono un ottimista per natura. Avevo sentito parlare della situazione critica della medicina d’urgenza in Italia e in Veneto. A Venezia forse aggravata dalla presenza di tanti turisti e tanti lavoratori stranieri. Primo dato che avevo letto sui giornali. In Veneto, dove la sanità è eccellenza, su 26 pronto soccorso, ben 18 sono gestiti da cooperative che faticano a trovare personale. L’ultima volta su 50 posti disponibili, si sono presentati in tre.
Entro e il Pronto soccorso è già affollato
Fuori della porta, sulla tettoia, diverse persone, soprattutto straniere, fumano senza sosta. La prima impressione è che ci sono più guardie giurate armate che personale sanitario in divisa. Italiano?, mi dice una guardia. Sì ciò, rispondo, per far capire che sono autoctono. E allora prenda il numero per l’accettazione. Mascherina e si sieda solo dove è acconsentito! Perfetto. Davanti a me, una famiglia orientale occupa tutta la fila, ma hanno due bambini piccoli. Un giovane vestito da partita di tennis, che denota la partenza improvvisa, accompagna la mamma e si vede subito che non sta benissimo. Da segni di impazienza e si lamenta per l’attesa. Ma bisogna aspettare il colore del codice, bianco, verde, azzurro, arancione. Rosso meglio di no. Un bengalese vicino a me si sente che sta chiamando distante molto distante, un altro continente. Grida, anzi urla al video-telefono, e fa vedere ai suoi cari lontani, che sono già in notte fonda, il braccio dove si è fatto male. Potere della tecnologia. Una ragazza completamente coperta con il velo, si sta devastando i timpani con due grandi cuffie alle orecchie. Ascolta, per rilassarsi, musica araba.
È il mio turno. Entro
L’addetta in camice verde, continuando a guardare il computer, mi segnala involontariamente che non può perdere tempo e che è oberata dal lavoro. Mi chiede cosa è successo. Sono inciampa….Non faccio tempo a concludere. Bene, codice verde, rimanga in attesa e aspetti il suo turno per i raggi. Avanti un altro! Mi chiedo con quanti soccorrenti si imbatte al giorno. Cento? Duecento? Di sicuro è sotto stress cronico. Aspetto il mio turno per i raggi: ortopedia sala n.6. Finalmente vedo il mio numerino e mi avvio. Dov’è va lei? Mi sgrida una infermiera con gli occhi azzurri. A fare i raggi. Ma non vede che è occupato? Non so, mi avete chiamato voi. Ma dentro c’è un signore con voce alterata che dice al medico di aver perso il turno per essere andato fuori a mangiare un tramezzino. Ebbene? Si rimetta in coda! Ma io non voglio perdere il turno che avevo prima. Ma il suo turno l’ha già perso. E allora? Dieci minuti di tiritera.
Pronto soccorso e stress
L’infermiera con gli occhi azzurri, irritata, mi guarda e cerca consolazione. “Tutti i giorni xè cussì. Non se ghe ne pol più”. Adesso chiamo le guardie civiche! Va bene dai, cerchiamo di risolvere, dice l’ortopedico paziente più del paziente. Siamo ai raggi e capisco la voglia di sfogarsi del personale e dei medici. Ma è tutti i giorni così? Chiedo al giovane dottore, accento sardo. Anche peggio. Io ho cominciato il turno alle 8 del mattino, tra poco saranno 12 ore di fila. Paga bassa, non trovano personale. Tanti specializzandi preferiscono andare e restare all’estero. Povera sanità. Poveri medici. Poveri cittadini. Ma se oggi è male, domani sarà malissimo.
La crisi dei medici
Si calcola che entro il 2030 (cioè domani) ci saranno 80 mila medici in meno (46 mila ospedalieri, 34 territoriali) su un totale di circa 400 mila attuali. Siamo il secondo paese in Europa per numero di anziani. Secondo le statistiche metà del over 65 hanno malattie croniche. Metà dei camici bianchi italiani ha più di 55 anni. Sarà crisi nera per chirurgia, pediatria, cardiologia e ortopedia. Solo per i pronto soccorso mancano 2 mila unità e non riusciamo a farli arrivare nemmeno dall’estero. Stipendi troppo bassi, responsabilità troppo alte, assicurazioni obbligatorie. Non passa giorno che nella medicina d’urgenza ci finisca direttamente il medico curante. L’insofferenza dei familiari e la sfiducia nella medicina raggiunge livelli mai visti, con violenze fisiche e denunce quotidiane. Soprattutto nelle regioni del sud dove l’emergenza è maggiore.
Pronto soccorso e profezie
Uno studio fatto commissionare nel lontano 2016, segnalava che nel 2023, cioè domani, un italiano su tre restava senza medico di base. Profezie azzeccate, infatti oggi si rincorrono i dottorini, poco più che ventenni, gli universitari specializzandi da mettere in prima linea. Solo quest’anno del Signore 2022 saranno circa 4 mila i medici di famiglia che appenderanno il camice al chiodo per andare in pensione.
I peccati originali hanno date antiche
Nel 1999, primo governo D’Alema, con ministro alla Sanità Rosy Bindi, si impose un drastico numero chiuso agli studenti per l’ingresso alle università di medicina e alle specializzazioni. Mai previsioni furono così mal azzeccate. Nel 2007 primo anno di grande crisi (Prodi II) la finanziaria impose un drastico tetto di spesa per la sanità alle regioni, senza calcolare che ci sono ospedali e realtà territoriali diversissime. Trapianti (circa 3500 all’anno) e donatori si trovano molto più al centro-nord che al sud, dove gli sprechi e i costi della sanità sono ben maggiori. Un classico esempio? Il costo di una protesi all’anca in porcellana. In alcune regioni 280 euro, in altre 2500….
Soccorso? Concludiamo ottimisti
Il Fondo sanitario nazionale che prevedeva una spesa di 114 miliardi di euro nel 2019, quest’anno è stato elevato a 124 miliardi. Finché c’è Speranza.
Intanto si fa sera e tento di uscire dal pronto soccorso. Sollevato ma non troppo. Comunque ingessato.