Vittorio Marella è un giovane pittore, alla sua prima mostra personale, ospitata nei raffinati spazi veneziani di Lineadacqua Gallery. Un esordio strepitoso, grande successo di pubblico e collezionisti. Meritato successo, perché la sua Moving Stillness ha il pregio di una mano sicura e la profondità di certi pomeriggi lagunari, quando la linea dell’orizzonte si fa incerta e, inevitabile, sorge il dubbio della consistenza vitale di ciascuno.
Marella e la “sua” Venezia
Sono visioni di veneziani anonimi, colti nel viaggio in battello. Preferibilmente di schiena, assorti. Non particolarmente belli, ma così reali da incantare: la maglietta a righe che tira un po’ sul dorso, la nuca calva, le ciabatte di una signora anziana. In piena luce, talmente tanta da accecare, quasi un miraggio. Oppure al crepuscolo, sull’onda del marubio.
L’ombra è l’emblema del corpo che appare e scompare
Un intento talmente radicato, sviluppato dall’artista con una maestria indicibile, da far pensare che la vita stessa sia un’apparenza. Invece no: Marella applica la messa a fuoco dell’ombra, quale struttura portante dell’esperienza umana, del suo dramma. I suoi protagonisti senza nome riecheggiano i versi di una poetessa italiana contemporanea, Nadia Scappini, ne condividono la consapevolezza: «l’approdo scarno, l’anima dilagata / dall’andarsene orfano e ferito / verso un oltre sconosciuto / arriveranno mai, ciascuno / alla sua meta?». L’interrogativo suggerito dai versi non è peregrino, quasi in quel tragitto isolano fosse contenuto un confine difficile da valicare. Quasi cogliessimo il limite di un passaggio ineludibile e spaventoso.
Marella e la sua arte
Vittorio Marella, lidense, classe 1997, non è un iperrealista, dei tanti che animano i social di questi tempi: un tanto a pixel e si ricalca la fotografia, alla ricerca del facile effetto. L’artista, invece, costruisce l’immagine passo dopo passo: realizza bozzetti e disegni dal vivo sul suo taccuino Moleskine, studia i volumi, poi dipinge sul serio, velatura dopo velatura. Utilizza la sabbia del litorale per sfocare la tinta e, allo stesso tempo, attribuire matericità all’aria, al caìgo lagunare, al respiro umido dell’estate. Il tutto in una costruzione calibrata, ampia negli spazi, definita nei particolari. Perfino il taglio a vivo della corda per gli attracchi, il degrado rabberciato dei vaporetti. Si percepisce l’odore dei vecchi motori, lo stile senza tempo delle motonavi che fanno rotta per il Lido, più volte all’ora.
Per Marella molto più di una passione
Vittorio ha sempre disegnato e dipinto per passione, ma solo da due anni ha deciso di dedicare la vita alla pittura, intraprendendo anche un percorso formativo in Storia dell’Arte all’Università Ca’ Foscari. Quel che è evidente, al di là della tecnica, è la sua intelligenza emotiva, la sensibilità per una Venezia differente, più lenta e silenziosa. Un mondo di cui s’intuisce la dimensione tragica; una vita intima, fatta di piccoli gesti e lunghe sospensioni. È tutto reale, e molto di più. Il critico tedesco Franz Rohr, che coniò quasi un secolo fa la definizione “Realismo magico” (che è un fantastico ossimoro), probabilmente aveva colto nel giusto, e non solo per i movimenti artistici della sua epoca di Ritorno all’Ordine.
Quando le ombre prendono consistenza
Quando le ombre, in pittura, si fanno essenza solida, persino sinestesia emotiva, capita che la realtà – oggettiva, solitaria, a tratti brutale nella sua crudezza – sveli il suo lato misterioso. A Venezia, è quasi inevitabile.
Hanno paragonato Marella ad Edward Hopper, è un accostamento comprensibile: rivela il dolore delle vite, la caducità dei percorsi. Eppure, non posso fare a meno di pensare anche a certi ritratti spaesanti di Virgilio Guidi, a Cagnaccio di San Pietro. È difficile capire i destini, sembra dirci l’artista, possiamo solo sfiorarli nell’attimo in cui si compiono, oppure subito prima, nel prepararsi fisico al tragitto.
Marella e il versante “oscuro”
È un versante comunque notturno, quello che Vittorio Marella ci regala, inquieto anche in piena luce. Una via deserta che per Vittorio, studente di Astronomia poi votato all’arte, appartiene più all’aria, all’acqua che alla terra.
Così il titolo, quell’immobilità in movimento, definisce un’epica di cui i suoi protagonisti sono umani eroi e comparse in esilio. Opere che stillano dolore, isolamento. Passaggi di tempo, in un tempo che vorremmo trasformare; un’arte d’ansia sottile e, nonostante tutto, desiderio.
Moving Stillness
Lineadacqua Gallery
San Marco 3716/A e 3720/A
30124 Venezia
fino al 31 gennaio 2022
lineadacqua.it
Bellissima recensione e gran bella mostra! L’accostamento all’immenso Edward Hopper sorge spontaneo…e mi pare un grande complimento.
Artista interessante, grazie per l’attenta analisi andrò sicuramente a vederlo !