Dei 10 comuni sopra i 15 mila abitanti, in Veneto, il ballottaggio domenica 17 e lunedì 18 ottobre, si farà ad Este (Padova), a Bovolone (Verona), e a Conegliano (Treviso). In Friuli c’è l’incognita Trieste. Ma con un dato interessante: chi non è andato a votare. Niente da dire. Sia a livello nazionale sia nel nostro NordEst il vero vincitore è stato l’assenteismo. E questo fattore ha sparigliato le carte un po’ in tutti i partiti. Nelle grandi città italiane il centrodestra si trova sconfitta al primo turno a Milano, Bologna, Napoli e si vede costretto a un ballottaggio molto impegnativo a Torino, Roma e anche a Trieste. L’eccezione Veneto è più dovuta al seguito di Zaia che ad altri fattori.
Breve analisi a livello nazionale. L’eccezione Veneto in Italia
Dalle urne esce rafforzato Fratelli d’Italia che cresce ulteriormente ai danni della Lega. Ma devono stare attenti perché è ora che cominceranno i problemi quando un partito assume una dimensione importante. Tiene il PD e per quanto possa apparire strano ne esce rafforzato in quanto dimostra di poter andare alle elezioni scegliendo e non subendo gli alleati. La Lega perde e paga il fatto di voler stare dentro il governo e contemporaneamente di voler fare opposizione nelle piazze. Il M5S crolla e in certe città persino vertiginosamente. Calenda fa un ottimo risultato a Roma, anche se adesso incomincia il problema: cosa chiedere in cambio dell’appoggio al ballottaggio e che programma portare avanti.
L’eccezione Veneto
Il Veneto merita un discorso a parte, anche nel confronto col risultato della Lega nelle altre regioni del Nord. In Veneto la Lega non soltanto ha tenuto, ma non ha perso niente. Quasi a rimarcare che si tratta di una Lega speciale e diversa, per essere chiari: una Lega molto più di Luca Zaia che di Matteo Salvini. È stato Zaia in questi anni a dare un’identità precisa al suo governo e alla sua Lega, molto calata nel territorio, vicina alla sua gente, lontana dagli estremismi di qualsiasi genere.
Zaia è un politico che ci mette sempre la faccia, nelle occasioni belle e anche in quelle meno belle. C’è sempre, quasi ad assumersi la responsabilità, sia che si debba gioire per l’assegnazione dei Giochi a Cortina, sia che si debba intervenire dopo una calamità naturale. Sono tutti elementi che non sfuggono all’elettorato e che fanno anche una differenza territoriale per qualsiasi partito.
Il cambiamento dovuto all’assenteismo
Come tutti gli osservatori più attenti hanno notato da tempo, stiamo assistendo a una trasformazione dello scenario politico e probabilmente in capo a pochi anni, avremo nuovi partiti o inediti al governo. Una fase tutt’ora in corso e in rapido mutamento. Non è un caso che nel locale vincano commistioni strane, che potrebbero essere propedeutiche ai nuovi scenari politici, ma escano da tutte le logiche di coalizione viste sinora.
Eccezione Veneto verde
A Nordest sventola la bandiera del centrodestra. In tutti i principali comuni sopra i 15mila abitanti s’impongono i sindaci di Lega, Fratelli d’Italia, con l’aiuto di Forza Italia. Il risultato più eclatante arriva da Chioggia dove il sindaco poliziotto della Lega, Mauro Armelao, batte al primo turno l’ex sindaco Lucio Tiozzo con 56%. Restando al sud di Venezia anche a Cavarzere s’impone l’avvocato calciatore Pier Francesco Munari con il 70% appoggiato da Lega, Fdi e Forza Italia. Solita cavalcata leghista nel Trevigiano: a Montebelluna Adalberto Bordin vince con il 65%, a Oderzo Maria Scardellato arriva al 69%, Francesco Soligo a Villorba è al 51%.
Padovano
Anche nel Padovano, Cittadella e Este vanno al centrodestra con la riconferma dei sindaci uscenti Luca Pierobon e Roberta Gallana. A Cittadella la Lega governa dal ’94. Ad Albignasego Filippo Giacinti viaggia addirittura sul 78%. Salvini, dal canto suo, capisce che l’astensionismo l’ha favorito nel piccolo e condotto sul bordo del precipizio nel grande: “Sono abituato a metterci la faccia e non a dare le colpe agli altri. Il primo commento è sull’affluenza: la maggior parte non ha votato. E’ un’autocritica per me e per tutta la politica. Occorre essere più concreti sulla vita reale. Non possiamo perdere tempo su vicende private. Abbiamo perso per demeriti nostri”.
Il caso Conegliano nell’eccezione Veneto
Il Pd potrebbe sostenere Fabio Chies, per battere Piero Garbellotto. È tutt’altro che un’ipotesi astratta: i rumors politici davano addirittura per concluso un accordo tra l’ex sindaco, oggi candidato al ballottaggio, e il Pd. Qualcuno ipotizzava anche la contropartita: almeno due assessorati, o in alternativa il vicesindaco e un posto in giunta. Chies stesso e Roberto Dall’Acqua, segretario del Pd, però, hanno smentito che l’intesa sia stata sottoscritta. Non che ci siano stati i primi contatti.
E neppure che già oggi o domani le delegazioni delle due parti si possano sedere al tavolo per guardarsi negli occhi e poi confrontarsi sui rispettivi programmi. Motiva Dall’Acqua: “D’altra parte è ovvio che questi approcci si palesino in presenza di un ballottaggio. Il Pd è il primo partito della città e come coalizione arriviamo a circa il 25 per cento dei consensi. I voti dei nostri elettori sono indispensabili ad entrambi i candidati per vincere, tanto più a Chies. A meno che non recuperino gli astensionisti».
L’esponente dem ammette che contatti ci sono stati. E non solo da parte di Chies ma anche da autorevoli delegati dell’altro fronte, quello di Garbellotto. «Se ci chiederanno un incontro formale, lo accetteremo, ovviamente per trattare di priorità programmatiche», precisa Dall’Acqua. «Tutte le piattaforme contengono qualcosa di condivisibile».
Un confronto non si nega a nessuno. Diverso, però, è trovare l’accordo. Il Pd ha tenuto una riunione nel corso della quale una parte consistente del partito ha sostenuto la linea di rendere utile l’eventuale voto del secondo turno. In che modo? Contrattando con Chies, se la sua disponibilità si materializzerà in scelte operative e nell’opportunità di controllarne la gestione. Ma è anche vero che Chies è stato combattuto dall’opposizione uscente. Anche se, è stato osservato durante la riunione, la presenza di Fdi nell’altra coalizione da più problema. Francesca Di Gaspero, candidata sindaco e Alessandro Bortoluzzi, capogruppo uscente del Pd, hanno consigliato, per la verità, di considerare fino in fondo l’opportunità di non dare indicazioni di voto. E quindi di tenersi lontano da intese
Un caso raro nell’eccezione Veneto
Nel veneziano Gianluigi Naletto è il sindaco della città di Dolo. Continuità con la “Città gentile” per il sindaco reggente, dopo la scomparsa prematura del primo cittadino Alberto Polo a gennaio scorso. Seguono nell’ordine le altre liste: Fabio Dei Rossi per il centrodestra unito, Carlotta Vazzoler per “Dolo città della fiducia” (Progetto Comune) ed Emilio Zen con il “Ponte del Dolo”. Come Naletto aveva anticipato, l’amministrazione continuerà il lavoro fatto in Riviera: la salute, l’ambiente, il turismo e le attività produttive tra le priorità del Comune, oltre al lavoro con le associazioni e le categorie.
Silvia Susanna, sindaco uscente e candidata del centrodestra (Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia), si riconferma sindaco di Musile di Piave in queste elezioni amministrative 2021. Susanna aveva perduto colleghi leghisti in giunta mentre alcuni militanti hanno lasciato il partito e un altro imprenditore, Ildebrando Lava, è comparso come candidato di una formazione a parte: “Lista uniamo le energie per Musile” che conta al suo interno alcuni di coloro che hanno rinunciato alla tessera della Lega o alla carica in amministrazione. Superato anche il candidato del centrosinistra, Fabio Mariuzzo, già consigliere di minoranza, che si era presentato con la lista “Insieme per Musile”.
Assenteismo e rigurgiti fascisti. Un’incognita nazionale
La destra di Meloni ha un problema nel dna, sostengono molti analisti. Il partito non è estraneo a quello che si è visto nell’ormai noto video di Carlo Fidanza. Anzi, quel video rappresenta sotto troppi aspetti proprio questa identità profonda e l’essenza culturale di una parte non minoritaria di Fratelli d’Italia. No, non è nel neofascismo il nodo politico: è che quell’iconografia da “fascisti immaginari” nasconde invece il loro estremismo di oggi, con i tic del passato che nascondono certe vergogne del presente. Il fatto è che la Meloni tutto questo dovrebbe saperlo, non dovrebbe avere bisogno di chiedere tutte le cento ore del video di Fanpage per conoscere i suoi dirigenti.
Lei sa tutto perché il suo partito è la sua famiglia ed è fatto a sua immagine e somiglianza. La destra di Giorgia Meloni nasce psicologicamente contro quel Gianfranco Fini che aveva provato a trasformare la comunità prima del Msi e poi di An in una destra di governo, sinceramente democratica, mai più nostalgica. Quella di oggi appare una destra legata a quella europea caparbiamente sovranista collegata soprattutto a Orban. Certo emergono problemi che vanno oltre una certa destra: il problema è dei troppo moderati e liberali che si fanno abbagliare dalla luce del facile consenso e dei sondaggi per scegliere con chi allearsi.
E Salvini? Diviso tra l’eccezione Veneto e l’occhiolino al Sud
Salvini ha iniziato un gioco pericoloso che rischia di non sapere più controllare. Dario Franceschini è una vecchia volpe della politica e ha offerto la sua analisi: la tesi è semplice, siamo tutti fatti di carne ed ossa, stomaco (magari infiammato) e nervi (magari a fior di pelle). Salvini aveva in mano l’Italia solo due anni fa, ha subito il governo, è stato sorpassato dalla Meloni, lo scandalo di Luca Morisi non gli dà pace. Conclusione alla vecchia maniera democristiana: “Con questa reazione così scomposta e nervosa, è stato il primo a presentarsi come sconfitto. Pare forza, ma non lo è”.
Franceschini: Lega, Salvini, PD e un mea culpa sull’eccezione Veneto (leggi Giorgetti)
“Questo non significa che non accadrà nulla. Io, al fatto che lui sosterrà il governo fino a fine legislatura, con la Meloni che gli prende i voti, non ho mai creduto”. E se proprio vogliamo proseguire con l’ascolto delle vecchie volpi, la dichiarazione di Giorgetti, lo inscrive di diritto alla voce Cassandra. Conoscendo bene fragilità e nervi del suo leader, la pochezza dei candidati, la sconfitta annunciata, ha capito che il minuto dopo le elezioni sarebbe partito il ballo, e dunque, nel timore che Draghi possa essere trascinato nel gorgo, ha pensato che la soluzione migliore sia eleggerlo al Quirinale.
Però quel che sta succedendo ora appare più chiaro: su un provvedimento tutto da scrivere – la delega fiscale – Salvini si è imbizzarrito, fino a dare sostanzialmente del bugiardo a Draghi, ha imposto ai ministri di non partecipare al consiglio dei ministri, si è preso la scena conquistandosi i titoli dei giornali. Crisi ovviamente negata il giorno dopo, con tanto di “io non esco, escano loro”. Se è vero che Salvini ha portato la campagna per i ballottaggi nel governo, il prossimo capitolo di questa storia dipende proprio dai ballottaggi. Non è ininfluente, se sarà cappotto o quasi pareggio. E il primo a conoscere la differenza tra una simil crisi rappresentata e una crisi davvero consumata è proprio il leader leghista”.
Letta e l’assenteismo con un occhio all’eccezione Veneto
«Anche in queste elezioni amministrative il Veneto rappresenta uno dei nostri punti deboli. Dobbiamo trovare una chiave per parlare alla società veneta, scontiamo anche il fatto che dall’altra parte abbiamo una figura forte come il governatore Luca Zaia che ha una capacità di stare nel corpo della società veneta che gli invidio». Parole del segretario nazionale del Pd, Enrico Letta. Il leader dem ha definito il governatore leghista «una controparte profondamente integrata nelle radici della sua terra e questo rende più difficile il nostro lavoro, che deve essere di scavo, e di andare alla radice del problema e di lavorare non sul brevissimo tempo ma per costruire candidature, personalità e profili per prepararsi al dopo Zaia, che sono convinto debba essere un dopo nel quale possiamo giocare il nostro ruolo».