Non sembra vero ma i re della velocità siamo noi. La nostra atletica, che dopo le Olimpiadi di Rio de Janeiro sembrava un malato incurabile, è risorta proprio nelle sue prove più prestigiose i 100 metri e la 4×100. Per commentare questo trionfo, per http://www.enordest.it siamo andati a trovare il più grande velocista di tutti i tempi. Chi meglio di lui può dire la sua su Jacobs e i suoi fratelli?

Parliamo di Jesse Owens, un campione che non ha bisogno di presentazioni. Le sue vittorie alle Olimpiadi di Berlino sono di 85 anni fa, ma il mito del campione statunitense, col passare del tempo, ha acquistato ancora più valore.
Un minimo di soggezione davanti a Owens è comprensibile, è lui a rompere gli indugi: “Mi chiami Jesse, non formalizziamoci.”
Benissimo, ha seguito le Olimpiadi e Jacobs?
“Certo. Ho visto tutto e mi sono divertito come un matto. Lei è italiano, vero? Complimenti ai vostri ragazzi. Sono stati veramente forti.”
Si dissocia dalle accuse partite anche dal suo Paese sulla pulizia di Jacobs?

“Ci mancherebbe! Non c’è niente di peggio che scatenare sospetti, per di più senza uno straccio di prova. Sa perché ha vinto Jacobs e la vostra staffetta ha superato tutti?”
Perché?
“Semplicissimo: eravate i più forti! Jacobs era il più forte. Si era capito pure nei turni eliminatori. Aveva vinto senza faticare. Si era tenuto qualcosina per vincere ed ha vinto. Ha trionfato anche per la sua testa. Era convintissimo del suo valore e della sua forza.”
E la staffetta con Jacobs?

“La vostra scuola non è nata a Tokio. Io vi seguo, seguo tutta l’atletica da sempre. Avete tradizione. I migliori allenatori sono italiani, ad esempio Carlo Vittori, il padre sportivo di Pietro Mennea. Nella staffetta siete stati sempre i maestri dei cambi e con i cambi avete vinto. Certo, agli ottimi passaggi avete unito quattro ragazzi velocissimi. Anche Tortu che bravo! Gli voglio dare un consiglio però. Tortu deve dedicarsi ai 200 metri, può diventare il nuovo Mennea. Ha vinto come lui a Mosca, che rabbia agonistica, che classe.”
E dei suoi connazionali che ci dice?
“Nelle staffette noi abbiamo un problema storico: non curiamo i cambi. Pensiamo che basti avere quattro uomini velocissimi. E’ fondamentale ma non basta. E poi, nella velocità, ci mancano i super campioni. Abbiamo tanti grandi velocisti ma nessun campionissimo. Mi auguro che i ragazzi non si offendano per le parole del vecchio Jesse.”
Facciamo un gioco, le va?
“Certo, mi piace da matti giocare.”
Si disputano delle Olimpiadi immaginarie, vi possono partecipare i migliori di tutti i tempi. Lei chiaramente c’è. Mettiamoci anche Jacobs. Ma lei con chi vorrebbe gareggiarenei 100 metri?

“Bello questo gioco. Ci sto. A patto che lo posso fare anche per il salto in lungo. Parto con i 100. Vorrei giocarmi una finale con: Usain Bolt, Carl Lewis, Valery Borzov, Asafa Powell, Jim Hines, Maurice Green e il vostro Marcell Jacobs.
Ci dica, però, anche il podio.
“No, me lo dica lei.”
Mi mette in difficoltà, direi: primo Owens, secondo Bolt, terzo Lewis. E’ d’accordo?

“In parte, il Jim Hines di Città del Messico sul podio ci andrebbe di sicuro.”
E per il lungo?

“Per il lungo le dò anche il podio. In finale me la giocherei con: Mike Powell, Bob Beamon, Carl Lewis, Ivan Pedroso, Robert Emmijan e il mio amico Luz Long. Il primo posto lo lascio a quest’ultimo. Nessuno più di lui si meriterebbe un oro olimpico, poi Beamon e Powell.”
Perché lascerebbe l’oro a Luz Long?

“Perché senza la sua sportività e lealtà non avrei vinto l’oro nel lungo a Berlino nel 1936, non completando così quel poker di vittorie che mi lanciato nella storia di questo sport. Nei salti di qualificazione, non riuscivo a centrare il minimo per accedere alla finale, avevo fatto due nulli. Fu Long a consigliarmi di prendere un riferimento con un asciugamano e mi disse di spiccare il volo con un leggero anticipo rispetto al punto di battuta. Entrai in finale, dove battei proprio Long. Senza quel consiglio non sarei approdato in finale e lui avrebbe vinto l’oro. Un gesto unico, per di più fatto davanti ad Hitler. Vorrei dirvi una cosa.”
Prego Jesse

“Pochi anni dopo, Luz Long fu spedito in guerra sul fronte italiano. Morì per le ferite riportate in battaglia ed è sepolto in un paese che si chiama Motta Sant’Anastasia in provincia di Catania. Se qualcuno dovesse passare di lì potrebbe lasciargli un fiore a nome mio? Luz è stato un grande campione ma, soprattutto, un uomo giusto.”