La Salernitana ritorna per la terza volta in serie A. La prima volta fu nel 1947 e l’artefice fu un trevigiano, Gipo Viani, uno dei grandi del calcio italiano, attaccante dell’Inter con Meazza e poi allenatore e manager di grandissime squadre, a incominciare dal Milan campione d’Europa con Nereo Rocco.
Un libro sulla Salernitana come omaggio a Giorgio Lago
Sul miracolo della squadra campana, creato anche con l’invenzione del primo “libero” nella storia del calcio italiano, ecco le pagine di un affermato giornalista sportivo, Alberto Facchinetti, che a Viani ha dedicato un bel libro intitolato “La versione di Gipo” edito dalla veneziana InContropiede. Il libro è anche un omaggio al più grande giornalista sportivo espresso dal Veneto, Giorgio Lago.
E’ quasi un racconto in prima persona che l’autore immagina sia lo stesso Viani a fare
Mi trovavo seduto su una banchina del porto di Salerno, era sabato notte e non avevo alcuna voglia di andare a dormire. Il giorno dopo dovevamo giocare una partita complicata di inizio campionato. Lo sarebbero state quasi tutte visto che il materiale umano che mi ritrovavo in rosa era discreto ma non eccellente… Dovevo trovare una soluzione. Ed eccola arrivare come una fulminazione: notai che i pescherecci di fronte a me al porto avevano due reti, una di appoggio a quella principale. La rete in più serviva al pescatore come la nuova figura del libero sarebbe servita allo schema di gioco che avevo in testa.
Viani, la Salernitana e la nascita del libero
È nato così il libero in Italia e lo schema che poi tutti mi hanno copiato? In realtà la cosa andò in maniera un po’ diversa. Il Vianema porta a ragione il mio nome ma non fu solamente un’intuizione. Ma le rivoluzioni non nascono così. Esistono sempre degli antecedenti, gente che ci ha provato e ha fallito o non ha avuto il coraggio di continuare. Antonio Valese, detto Totonno, è stato un eroe locale a Salerno. Ottimo calciatore, talento da vendere, tutti i tifosi del Comunale stravedevano per lui. Io lo feci giocare l’anno della B ma era già sul viale del tramonto. Nell’ambiente contava talmente tanto che gli era occorso di fare pure l’allenatore. E in un torneo estivo aveva fatto un esperimento confuso e simile al mio, mentre non ero a Salerno, io però lo perfezionai in serie A. Fui io a trovare allo schema una collocazione degna e a dargli un metodo. A farlo diventare uno schema di gioco.
Quella volta che Brera disse che la Salernitana non aveva inventato nulla
Alla Collina Pistoiese di Milano Brera mi racconterà che Ottavio Barbieri giocava col libero già nel campionato di guerra vinto con i Vigili del fuoco di La Spezia. Magari anche solo inconsciamente, sarò stato ispirato da ciò, anche se ammetto che durante gli anni di guerra pensai davvero poco al pallone. Certificai lo schema in serie A. Tutto il resto sono chiacchiere. Rimane il Vianema. Anche Rocco, ci incontrammo spesso con Nereo prima da giocatori poi da allenatori, arrivò dopo di me: il Vianema lo vide fare a me… Dissi al mio nove Piccinini: “Berto, arretra e marca il centravanti avversario. Sei un attaccante anche tu, saprai come si marca uno che fa il tuo stesso ruolo?”.
I dubbi sul libero
Alberto non sembrava convinto, ma aveva fiducia in me. I ragazzi mi seguivano. “Ed io che faccio allora, signor Viani?”, mi chiese il difensore Buzzegoli. Chissà, forse aveva paura di perdere il posto oppure di dover sostituire Piccinini all’attacco. “Tu, Ivo, fai il libero”. Mi guardò stranito. “Arretri di qualche metro, non marchi nessuno ma vai in soccorso al compagno quando questi va in difficoltà con il suo uomo da marcare”. Era uno schema modificato dal Sistema, e in attacco così giocavamo. Con quattro attaccanti e il centravanti tappabuchi, solo che dietro era sempre un due contro uno. Era uno schema abbastanza dispendioso, perché io volevo una squadra veloce, di corsa, piena di ardore agonistico.
La Salernitana festeggia
Quando avevamo festeggiato la A sul campo del Comunale di Salerno, io con la testa, mentre si aprivano alcune bottiglie e si cantava, avevo già i campi del Torino, dell’Inter, della Lazio. Pensavo già alla massima serie. Sono sempre stato cosi. … Un anno dopo retrocedemmo. Ma solo perché non ci permisero di salvarci, non per altri motivi. Fu un campionato strano il 1947-48. Ventuno squadre iscritte, all’ultimo avevano aggiunto la Triestina per meriti patriottici. Ne andavano giù quattro, e noi finimmo proprio quartultimi. A fregarci fu una partita contro la Roma, alla penultima di campionato, che perdemmo per un colossale errore arbitrale. Il gol di Bruno Pesaola era arrivato dopo una carica sul nostro portiere Vittorio Masci talmente evidente che l’avrebbe vista anche un orbo. Eppure l’arbitro convalidò, andando verso il cerchio di centrocampo. Avrei voluto ammazzarlo con queste stesse mani. Ho sempre pensato che volessero la Roma in A. E anche a Napoli, retrocessero pure loro, hanno ancora la stessa convinzione.
Salernitana bis
Rimane un ricordo bellissimo del mio Salernitana bis. La guerra era finita e con tutto quello che era successo nel periodo appena precedente, normale che si vivesse ogni esperienza con entusiasmo. Io ero ancora giovane, sicuramente lo ero come allenatore. Il pallone che era stato sempre parte della mia esistenza, ora sembrava essere diventato una ragione di vita. Avevo ormai capito che avrei fatto questo fino alla fine dei miei giorni. Il calcio sarebbe stata la mia ossessione. Di quella stagione mi rimane l’orgoglio di aver messo paura al Grande Torino. All’andata, al Filadelfia ci distrussero: perdemmo 7-1 e Loik ne mise dentro tre. Ma fu al ritorno che sfiorammo l’impresa. Si giocò di sabato perché la domenica era giornata di elezioni politiche. Andammo in vantaggio noi con Renzo Merlin, ma all’intervallo eravamo 1-1 perché nel frattempo aveva pareggiato Gabetto. Bacigalupo aveva salvato il risultato in parecchie circostanze. I nostri tifosi che avevano riempito lo stadio. Mazzola e compagni andavano visti, si sapeva già allora chi fossero. Sembravano impazziti di gioia.
La Salernitana e il grande Torino nei ricordi miei
Prima della partita avevo caricato i miei ragazzi a dovere: “Undici sono loro e undici siamo noi. Partite a tutta, tenete il ritmo altissimo già dal primo minuto di gioco. Dai che li sorprendiamo! Oggi me la sento che facciamo una gran partita”. Mi avevano ascoltato i miei ragazzi, pure troppo. E dopo i primi quarantacinque minuti eravamo stracotti. Quando vidi il nostro argentino Adalberto Sifredi entrare nello spogliatoio del Toro, pensando fosse quello dei locali, capii che era finita. Avevamo già dato tutto. Ma feci finta di niente con i miei giocatori. Al rientro in campo, Gabetto, Ossola e Mazzola si scatenarono. Finì 4-1 per loro. Con quella squadra, amico mio, non c’era Vianema che tenesse. A fine partita i 13mila applaudirono entrambe le squadre.