«San Martin xè andà in sofita / par trovar la so noviza; / so noviza no ghe giera, / San Martin xè andà par tera. / (rit.:) E col nostro sachetin, / ve cantemo el San Martin. / Su ‘sta casa ghe xè do putele / tute risse e tute bele / col viseto delicato suo papà ghe lo gà stampato. /(rit.) / Siora Cate xè tanto bela / in mezo al peto la gà ‘na stela, / se no la gavesse maritada / so papà no ghe l’avaria dada. / (rit.) / Siora Lussia la fassa presto / ch’el caigo ne vien adosso, / el ne vie adosso sul scarselin, / siora Lussia xè San Martin» . Così recita una versione della filastrocca veneziana che accompagnava i bambini per le calli alla questua di dolcetti l’11 novembre. Festeggiando San Martino, il soldato romano a cavallo che mosso a compassione tagliò a metà il suo mantello per donarlo a un poveretto. E per miracolo se lo ritrovò intero l’indomani. Lui si convertì e, divenuto monaco nel monastero di Tours, si prodigò per diffondere la fede cristiana. Il mantello divenne una delle reliquie custodite dai re merovingi e poi carolingi nell’oratorio reale. Ed è da qui che proviene il nome ‘cappellani’, i custodi della piccola ‘cappa’ (mantello).
San Martino e la tradizione
Il nome di San Martino è strettamente legato anche al folklore rurale. In quanto l’11 novembre si collocava in un periodo in cui, finita la vendemmia, si spillava dalle botti il vino novello. E si stoccava il raccolto e storicamente scadevano i contratti agricoli, di affitto e mezzadria.
Ed è proprio a San Martino che è dedicata la piccola pieve nel piccolo borgo di Luvigliano. Non lontano da Torreglia e dagli antichi sentieri panoramici del parco regionale dei Colli Euganei.
Luvigliano
Luvigliano sembra derivare il suo nome dallo storico latino Tito Livio, che qui pare avesse un podere. Anni fa gli abitanti, su spinta dell’allora arciprete Giuseppe Curto e sulla base di ricerche condotte negli archivi parrocchiali e su antiche documentazioni epigrafiche, volevano infatti recuperare il nome antico ‘Liviano’. Terra dei Livii.
La chiesetta di San Martino
La piccola chiesa parrocchiale è attestata sin dall’anno Mille e settantasette ‒ e forse la fondazione esisteva già in età carolingia, in cui era molto diffuso il culto di San Martino di Tours ‒ e sorge oggi accanto alla Villa Pollini. Dove soggiornò il celebre pianista e compositore padovano Cesare Pollini. A cui è dedicato il celebre conservatorio di musica a Padova. Come attesta l’iscrizione commemorativa sul muro: «In questa villa, dai cocenti meriggi estivi al morir dell’autunno, per molti anni visse Cesare Pollini. L’avita nobiltà del suo spirito tradusse, rivelò, profuse in sublimi armonie». Ospite assiduo di villa Pollini era anche Roberto Ferruzzi. Il pittore dalmata autore di quella famosa ‘Madonnina’ che, esposta alla Biennale di Venezia nel 1897 col titolo di ‘Maternità’, diventò popolarissima. Tanto da circolare riprodotta su numerosi santini e oggetti sacri. Pare che il quadro originale, andato perduto nel 1914 nel naufragio della nave in cui il compratore lo stava portando in America, sia stato eseguito a Luvigliano e fosse ispirato a una modella bambina, Angelina Cian, seconda di quindici figli, che teneva in braccio uno dei suoi fratelli.
La scoperta
La chiesa di San Martino oggi ci appare in stile neoclassico. Affacciata su un alto terrapieno a cui si accede da una scalinata in trachite e praticamente niente è stato conservato dell’aspetto antico. Avendo subito vari rimaneggiamenti, come il restauro settecentesco dell’esterno e le modifiche architettoniche interne realizzate alla metà dell’Ottocento.L’interno è in stile barocco e nella navata spicca la pala del 1527 del pittore bergamasco Girolamo da Santa Croce, allievo di Giovanni Bellini, raffigurante la donazione del mantello di San Martino tra i SS. Giovanni Battista, Giovanni Evangelista, Pietro, Paolo e, inginocchiato in primo piano, un committente.
I vescovi e la Pala di San Martino
Scavi recenti hanno dimostrato che l’originaria fondazione della piccola pieve, edificata sui resti del castello medievale dei Transegaldi distrutto dal feroce Ezzelino da Romano, si trovava non nell’attuale collocazione ma su uno sperone di roccia poco distante. Da cui fu poi fatta spostare dal vescovo di Padova Iacopo Zeno per fare spazio alla costruzione della monumentale Villa dei Vescovi, gioiello rinascimentale. Residenza estiva dei vescovi di Padova ‒ realizzata in un periodo di almeno cinquant’anni da nomi importanti come l’amministratore del vescovado Alvise Cornaro, gli architetti Giovanni Maria Falconetto e poi Andrea dalla Valle, con la collaborazione di Giulio Romano e Vincenzo Scamozzi. E affrescata dal fiammingo Lambert Sustris ‒ che, dopo essere stata rifugio per gli sfollati della seconda guerra mondiale e ostello per giovani nel dopoguerra, poi rinata grazie agli interventi della famiglia Olcese. E’ ora affidata alle cure del FAI, che ha adottato questo luogo affascinante che si trova in un anfiteatro naturale tra i colli Pendice, Pirio e Rina, nel poggio ‘Livianum’. Che aveva già affascinato lo storico Tito Livio che si dice che qui avesse scelto di avere la sua residenza di campagna.