Mascherina obbligatoria per tutti, ovunque. In nessun luogo, al di fuori delle abitazioni private, si potrà stare senza il dispositivo di sicurezza davanti a naso e bocca. In nessun luogo si potrà avere una parvenza di normalità, una parziale percezione che il mondo non è cambiato in maniera così profonda e radicale. Questo è l’oggetto della discussione politica odierna, questo è il futuro che ci si può prospettare nel giro di pochissimi giorni, su tutto il territorio nazionale.
Le ragioni del si
Premetto che non sono un medico e non ho alcuna intenzione di negare l’esistenza o la pericolosità del virus. Se qualche lettore cercasse una tesi di questo tipo, mi dispiace ma non la troverà qui. Il punto è un poco più vasto e complesso: la situazione attuale comporta per i decisori il dover imporre sacrifici e il dover prendere dei rischi, questo è certo. Però, quali sacrifici e quali rischi si debbano scegliere, non è ancora scritto e c’è spazio per la discussione.
Ciò detto, una stretta sull’utilizzo dei dispositivi di sicurezza, eventualmente seguita da una stretta più o meno forte su diverse libertà, può rappresentare un modo efficace per ridurre i contagi. Principi generali della medicina possono essere intuitivamente interpretati con una piuttosto semplice equazione: meno contatti e meno “goccioline” nell’aria = meno circolazione del virus = meno contagi.
Le ragioni del no
E allora, perché parlare anche della possibilità di altre vie? Perché non essere semplicemente tutti d’accordo (al netto di chi nega l’esistenza del virus, ma quello è un altro discorso) sull’obbligo di mascherina e andare avanti? Il punto è che il COVID-19 non è l’unica patologia che può colpire l’essere umano e in ogni caso la salute, seppur bene fondamentale e primario, non è l’unico interesse che la politica deve osservare e tutelare. Non avere mai tregua nella percezione di un rischio che può essere scongiurato soltanto con dispositivi esterni (mascherine) può comportare un aumento dell’ansia e dello stress: tutte le rilevazioni dimostrano che i valori di queste condizioni si sono alzati esponenzialmente nella popolazione.
Ansia e stress hanno ricadute fisiologiche, psicologiche e comportamentali molto gravi, specie se protratte. Inoltre si può avere la percezione d’impotenza in una situazione disperata e senza uscita, con possibili conseguenze depressive o addirittura autolesive. La sfiducia e la paura del prossimo, visto come possibile fonte di contagio, possono portare da una parte all’isolamento (altra causa di problemi psicologici), dall’altra ad una diminuzione dell’iniziativa, della crescita sociale ed economica, della spinta verso il futuro di intere generazioni. Insomma, le ragioni del no possono essere tanto legate ad effetti sulla salute individuale e sociale che alle ricadute sulla società e sull’economia del nostro paese.
Fiducia, educazione, società
Un’alternativa potrebbe essere quella di educare a comportamenti responsabili e sicuri. Ma quanto abbiamo investito in cultura negli ultimi anni? Quanto possiamo dire che la popolazione italiana è capace di comprendere le ragioni della necessità di mutare comportamenti anche automatici? Quanto sarebbe in grado di seguire istruzioni complesse delle autorità, di ricordarle e metterle in campo costantemente?
Purtroppo la prima risposta che verrebbe in mente a molte persone – da un mio personale sondaggio non statistico tra famiglia e conoscenti che ciascuno può replicare – è sconfortante. Se non abbiamo fiducia nei nostri vicini, come può averla chi deve decidere per noi? Una possibilità però esisterebbe: la pressione sociale fa miracoli. Si potrebbe lavorare in tempi rapidi per far diventare i comportamenti sicuri nuovi trend da seguire, e quelli non sicuri elementi non desiderabili, da evitare (con un termine politicamente scorretto anni ’90 renderli da “sfigati”). La pressione sociale, specialmente tra i giovani, è un elemento di provata efficacia in economia comportamentale e in psicologia sociale che potrebbe avere effetti rapidi senza dover sanitarizzare il presente e il futuro.
Scienza, politica e consenso
In ogni caso, la politica deve prendersi la responsabilità di scegliere. Non si può più riparare dietro la foglia di fico del “ce lo dice la scienza”. La scienza non dice niente! Tuttalpiù degli epidemiologi possono fare delle previsioni sull’andamento dei contagi (che supponiamo essere corrette) e delle conseguenze nella popolazione. Allo stesso modo degli psicologi possono fare delle previsioni sugli effetti delle restrizioni sulla salute mentale, degli economisti possono fare previsioni sulle ricadute economiche del lockdown, dei biologi possono fare previsioni sull’impatto delle politiche sociali sulla fauna marina…
La politica deve dire quali beni e quali mali sceglie, e perché. Ovviamente tutti dobbiamo ricordare che le previsioni sono stime, alcune delle quali derivano da basi di dati non così ampie da poter garantire precisione: ad esempio il coronavirus è nuovo e c’è ancora molto da scoprire. In questo caso è legittimo per la politica prendere per buone le previsioni più negative all’interno dello spettro delle possibilità prospettate. Ciò non toglie che, alla fine, ogni scelta è una decisione presa tra diverse situazioni di rischio e possibilità. Chi sceglie ha la responsabilità di averlo fatto, è la ragione per cui eleggiamo i nostri rappresentanti.
Purtroppo, come in tante situazioni umane, in questo processo entra in gioco la demagogia: sembra che chi ha gestito in maniera più restrittiva l’emergenza COVID abbia avuto più consenso politico tanto a livello regionale che nazionale. Ovviamente la volontà popolare è un elemento fondamentale, ma bisogna ricordare che i decisori hanno molte più informazioni rispetto alle persone e che ci si aspetta da loro la capacità di scegliere per il meglio, non esclusivamente per il consenso. Pertanto, mascherina in pubblico si o no… l’importante è che condividiamo le soluzioni temporanee in attesa di trovare un nuovo equilibrio e di uscire più forti da questo periodo di crisi.