Il 9 marzo scorso “il presidente del consiglio dei ministri Giuseppe Conte ha firmato il decreto recante nuove misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19 sull’intero territorio nazionale.” Tale decreto, come oggi s’usa, ha avuto il suo nome che è “Io resto a casa”. Non era una libera scelta, come si potrebbe credere, ma un obbligo per tutti gli italiani di starsene lì dove si trovavano il quel momento fino a… vedremo! Intanto io sono rimasto a casa e ho spento la fisarmonica
Io sono rimasto a casa. Senza musica ma con una speranza
Questo atto presidenziale ai miei occhi conteneva due buone notizie. La prima era che forse stava finendo l’epoca “dell’inglesorum” utilizzato nella comunicazione politica e amministrativa, cioè quella che dovrebbe parlare a tutti gli italiani. Si va dalla legge denominata “Jobs act”, alla tanto agitata “flat tax”, dalla meno nota “voluntary disclosure” (che vuol dire collaborazione volontaria; ma che ci voleva a dirlo così, che magari tutti capiscono!). Alla minacciosa “stalking”, più adatta per una serie poliziesca che per la definizione di un delitto da inserire nel codice penale italiano. E infine quelle parole che vengono infilate qua e là nei vari eloqui per sembrare più colti, o almeno più moderni. On the job (la parola lavoro è bene non pronunciarla di questi tempi), austerity, election day, impeachment, navigator (a proposito dove sono finiti?), plastic tax. E per finire in gloria lockdown, affrettandosi in questo modo a frenare il mio iniziale entusiasmo il decreto “Io resto a casa”.
Basta inglesorum almeno
Il 13,5% della popolazione italiana ha da 70 a 84 anni. Si può supporre che tra questi cittadini italiani a tutti gli effetti non sia diffusissima la conoscenza della lingua inglese? Leggendo i dati della scolarità italiana in questi anni possiamo verificare che la somma di residenti analfabeti, senza titolo di studio, col solo titolo di scuola elementare, con il titolo di scuola media inferiore o di avviamento professionale arriva alla bella cifra di quasi 34 milioni. Si può fare qualcosa perché gli atti, le comunicazioni di pubblico interesse tengano conto, nei limiti del possibile, anche di questa realtà? Magari scrivendo e parlando un italiano non burocratico, con qualche congiuntivo al posto giusto e senza “inglesorum” e “latinorum” il più delle volte inutili e “intimidatori”.
Io sono rimasto, pensando a 30 anni fa
Quasi trent’anni fa l’allora ministro della funzione pubblica Sabino Cassese fece redigere da un gruppo di linguisti e giuristi un “Manuale di stile” che fu pubblicato nel 1997 assieme ad un programma di scrittura da mettere a disposizione della Pubblica Amministrazione per poter verificare la leggibilità dei testi prodotti. Non sarebbe male che ministri, dirigenti e successivamente dipendenti pubblici vari andassero a cercarselo quel manuale che suscitò attenzione e plauso. La Francia, paese in cui dire burocrazia non suscita alcuno sdegno, il primo manuale di stile è fatto risalire al 1440, quando in Europa stava rinascendo la cultura e stavano formandosi gli stati nazionali, ma non in Italia.
Tempo per me? Forse. Ma senza fisarmonica
La seconda buona notizia, almeno per me, era che finalmente avrei avuto il tempo per fare tutte quelle cose che nella mia testa c’erano da fare. “Per la miseria! sempre di corsa, sempre all’ultimo momento!!! Possibile che non riesca mai ad avere qualche giorno libero per dedicarmi con calma a…” Ecco qua: il Dpcm di Conte mi dà tutto il tempo che voglio. Non ho combinato un bel niente. Non ero personalmente preoccupato per il virus, né mi sentivo recluso, visto che abitiamo in un luogo e in una casa assolutamente gradevoli e spaziosi.
Io sono rimasto. Ma la musica no
Mi ha preso una specie di astenia che non mi faceva concludere nulla. Il giorno che entrava in vigore la clausura obbligatoria dovevo partecipare alla prima presentazione di una lettura con canti e musica tratta dal libro Craking di Gianfranco Bettin. L’opera racconta la vita dei lavoratori del Petrolchimico e degli abitanti di Porto Marghera dagli anni settanta del secolo scorso fino alla desertificazione di quello che era stato il polo chimico più importante d’Europa e alla perdita di vite e di occupazione per migliaia di lavoratori.
Si ritorna. Anche con la fisarmonica. E poco importa se non accadeva da 50 anni
L’abbiamo presentato mercoledì 29 luglio al Centro Sociale Rivolta di Marghera. Un bel pubblico, una collocazione opportuna. Un saluto alla vita che torna a vivere. Però il primo giorno di “liberi quasi tutti e quasi del tutto” ho scritto i testi di due nuove canzoni. Ora sto lavorando alle musiche. Di corsa, a spizzichi e bocconi, con altre dieci cose da fare, che forse farò, però non so quando. Va bene così. Un po’ di pressione non guasta.
La Libertà non conosce scorciatoie. Bertelli scrive” non ho combinato un bel niente” durante il” Io resto a casa” e ancora ” però il primo giorno di “liberi quasi tutti e quasi del tutto” ho scritto i testi di due nuove canzoni”. Anche in italiano c’è chi non riesce a farsi intendere: “distanziamento sociale”, ma va a quel paese direbbe anche il compassato professor Francesco Sabatini se non dovesse tener conto di essere presidente onorario dell’ Accademia della Crusca: infatti, afferma,l’espressione corretta è “distanziamento interpersonale”.