Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un’esplosione della vita digitale: tra social network, piattaforme di streaming, smart working, continui stimoli online che hanno trasformato il nostro modo di vivere, comunicare e pensare, ovviamente la nostra vita. Tuttavia, proprio tra coloro che sono nati (i nativi digitali) e cresciuti con il digitale — i giovani — sta emergendo una tendenza controcorrente: è sempre più forte il desiderio di disconnettersi e tornare a vivere esperienze autentiche, lontane dagli schermi, dalla chat e dai follower. Il fenomeno, già consolidato in alcune aree del mondo, sta ora arrivando anche in Italia. Si chiama Offline.
L’“Offline” come forma di resistenza

Quella che all’inizio poteva sembrare solo una scelta personale, è in realtà una risposta sociale e culturale sempre più diffusa. I giovani stanno valutando in maniera differente il tempo passato davanti allo smartphone o al pc, così come danno un peso diverso al benessere mentale: c’è bisogno di riconnessione con sé stessi e con gli altri. Il digitale, se da un lato offre infinite opportunità, dall’altro è diventato fonte anche di ansia, stress e iperconnessione, con conseguente perdita di concentrazione.
Da qui la nascita di nuovi stili di vita: weekend senza smartphone, viaggi definiti “digital detox”, gruppi di lettura in presenza, eventi senza Wi-Fi e l’uso consapevole di tecnologie “vecchie” come i telefoni a conchiglia o le macchine fotografiche analogiche. Il ritorno al contatto umano, all’esperienza diretta, al silenzio.
Le “Offline Community” e il valore del tempo

Negli Stati Uniti e nel Nord Europa nelle grandi Città, sono nate vere e proprie offline communities, gruppi di giovani che si incontrano regolarmente per vivere attività senza l’uso di dispositivi digitali: yoga, meditazione, escursioni, ma anche semplici chiacchierate in luoghi privi di connessione. Il concetto chiave è la “la qualità del tempo”, sempre più considerato un lusso nella società dell’immediatezza e del “mordi e fuggi”.
In Italia, questo spirito inizia a diffondersi, sempre a partire dalle città come Milano e Roma, stanno nascendo caffè e spazi culturali dove è bandito l’uso del Wi-Fi e dove si promuove il “tempo lento”. Anche nelle Scuole e nelle Università, alcuni progetti pilota cercano di educare i ragazzi a una fruizione più sana della tecnologia.
Perché i giovani stanno tornando indietro

Paradossalmente, sono proprio i “nativi digitali” a mostrare questi primi segnali di rifiuto verso il mondo iperconnesso. Non si tratta di una fuga, ma di un bisogno, di una nuova necessità. Dopo anni di esposizione continua a notifiche, pressioni sociali online e confronto costante, cresce la consapevolezza che disconnettersi può voler dire riconnettersi davvero con il mondo reale, con la propria creatività, con l’empatia, con le persone vere.
“Offline”, una tendenza destinata a crescere?

Sebbene sia ancora agli inizi, il fenomeno sembra avere un potenziale duraturo. Il futuro non sarà probabilmente una rinuncia alla tecnologia, sempre necessaria, ma vi sarà un uso più critico, equilibrato e mirato. L’era digitale non sparirà, ma potrebbe essere affiancata dalla “nuova cultura dell’offline” consapevole, in cui la connessione con il mondo passa, prima di tutto, attraverso sé stessi.
Ad analizzare il fenomeno è stato il Global Wellness Summit tenutosi a Cesena e che ha sottolineato proprio come quello degli “scollegati” sia un partito in aumento.
Un ritorno al passato insomma, in cui almeno nei momenti di relax desideriamo goderci il tempo distanti dalla tecnologia.
La pandemia e lo smodato uso dello smartphone

La pandemia ha avuto tra i suoi effetti perversi anche quello di accelerare un uso smodato dello smartphone, diventato nel periodo di lockdown l’unico modo per avere un contatto con il mondo. E da riempitivo, per moltissimi quel modo bulimico di usare i device alla fine era diventata prassi. E, soprattutto per i ragazzi è diventata soprattutto una questione di salute mentale, traslocando le vite di giovani di tutto il mondo al 90% on line. In modo così estremo da spingere, per esempio, il governo inglese ad avanzare nel 2021 una proposta di legge per vietare l’uso di smartphone a scuola, anche nelle ore di ricreazione, motivando la stretta, come aveva spiegato l’allora ministro dell’Istruzione Gavin Williamson, con la convinzione che i cellulari non siano “solo fonte di distrazione il loro uso improprio o eccessivo può infatti arrivare a danneggiare la salute mentale di uno studente”.
A dare ragione al ministro furono i dati raccolti da HBSC (Health Behaviour in School-aged Children), in più un altro studio internazionale trasversale dell’Oms per monitorare la salute e il benessere degli adolescenti tra gli 11, 13 e 15 anni in Europa e in Nord America. Anche i risultati di un’altra ricerca, pubblicata su The Lancet Child & Adolescent Health, che esaminava la relazione tra attività fisica, tempo davanti allo schermo e benessere mentale negli adolescenti. Sempre i ricercatori hanno scoperto che più tempo davanti allo schermo e meno attività fisica sono associati a una minore soddisfazione della vita e a più disturbi somatici. Uno scarso benessere mentale, conseguentemente, può portare a problemi di sviluppo, difficoltà a raggiungere gli obiettivi educativi e influire negativamente sulla salute generale.
Offline in occasione della Giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza

In occasione della Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, sono emersi i dati relativi al nostro Paese : in Italia il 78,3% degli 11-13enni usa internet tutti i giorni soprattutto attraverso lo smartphone. E s’è abbassata sempre di più l’età in cui si possiede uno smartphone, conun aumento di bambini tra i 6 e i 10 anni che, dalla pandemia in poi, usano il cellulare tutti i giorni: dal 18,4% al 30,2% tra il biennio 2018-19 e il 2021-22. Mentre in Francia, team di scienziati esperti sul tema, messi in campo dal Presidente francese Emmanuel Macron, hanno stilato un rapporto recente dove i bambini non dovrebbero essere autorizzati a utilizzare gli smartphone fino all’età di 13 anni e gli dovrebbe essere vietato l’accesso ai social media convenzionali come TikTok, Instagram e Snapchat fino all’età di 18 anni.
Generazione Z e benessere/malessere digitale

Ma anche quando non è l’età di per sé ad essere un problema, lo può diventare l’uso o, come si diceva all’inizio, l’abuso del telefonino. Trovare un equilibrio tra vita online e offline è una questione delicata e incerta, soprattutto, ma non solo, per la Generazione Z, che tendenzialmente soffre di ansia e frustrazione proprio a causa di questa disconnessione, che colpisce quasi 1 ragazzo su 2 di età compresa tra i 18 e i 28 anni.
Secondo la ricerca, più di un terzo, il 38% dei ragazzi, ritiene sia più facile esprimersi online piuttosto che offline, mentre il 75% vorrebbe poter avere conversazioni delicate e profonde con la famiglia e i propri cari nella vita reale. Quasi la metà degli intervistati parlerebbe volentieri con un professionista qualificato, per alimentare la fiducia necessaria per comunicare più apertamente con le persone che ama. Secondo Kim Hollingdale, psicoterapeuta specializzato in recupero dal burnout, “la Generazione Z ha la peggiore concentrazione di fattori di stress”.
Si va dalla mancanza di potere contrattuale sul lavoro all’instabilità finanziaria, alla normalizzazione della cultura dell’iper lavoro, all’incapacità di rilassarsi. Sostanzialmente, secondo Hollingdale, la Generazione Z ha meno possibilità di stabilire confini e dire di no alle richieste. Anche il lavoro da casa non aiuta a staccare e nemmeno i social che, anche se usati come svago, tendono ad aumentare la FOMO (Fear of Missing Out) e ad alimentare il confronto con le vite e le carriere altrui.
“Offline”, consapevoli ma dipendenti

La buona notizia è che fra gli under 35, l’81% ha la consapevolezza della propria dipendenza da smartphone. Non ci sono differenze di genere: le donne, in generale, risultano più dipendenti degli uomini (69% contro 64%) e prediligono social media e app di messaggistica, gli uomini, invece, sono più attratti da notizie, app di intrattenimento, giochi, scommesse online, pornografia e Intelligenza Artificiale. È quanto emerge da ricerca Changes Unipol, in collaborazione con Kkienn Connecting People and Companies, condotta su un campione di 1.518 persone: circa 900 giovani tra i 16 e i 35 anni e circa 600 adulti tra i 36 e i 74 anni.
La ricerca evidenzia che i cellulari sono una concausa di una serie di comportamenti problematici: il 40% degli di chi si è sottoposto al test preferisce interazioni online a quelle vis-a vis; il 30% riscontra una diminuzione delle prestazioni a scuola, a lavoro o nelle relazioni; il 57% usa lo smartphone fino a tarda notte, con conseguente perdita di sonno. L’utilizzo assiduo dello smartphone si traduce per il 90% dei giovani (16-35 anni) in una serie di abitudini controproducenti: insonnia (il 57% usa lo smartphone fino a tarda notte); ansia da interazione (il 50% teme di non essere raggiungibile o perde tempo controllando notifiche); riduzione della socialità (il 40% preferisce interazioni online a quelle faccia-a-faccia); diminuzione delle prestazioni (il 30% riscontra problemi a scuola, a lavoro o nelle relazioni).