La sospensione dell’attività fino al 24 novembre, salvo prolungamenti, per cinema, teatri e luoghi di spettacolo, ha avuto un ampia rilevanza mediatica. Quasi quanto la riduzione dell’orario di bar e ristoranti. Anche se in termini di Pil, il settore dei pubblici esercizi, vale almeno dieci volte quello dello spettacolo. Buon segno se toccare da vicino il mondo della cultura suscita unanime sdegno e riprovazione.
Franceschini e il cinema

Il Ministro Franceschini ha laconicamente sottolineato che il blocco dei cinema e teatri rientra in una più generale strategia di contenimento della “mobilità”. Ovvero la sospensione di tutte quelle attività che comportano una “movimentazione” delle persone per raggiungere i luoghi deputati. E un “assembramento” delle stesse per assistere agli spettacoli.
Nella decisione del Governo non ha probabilmente rilevato l’evidenza scientifica e statistica che, grazie alle misure di sicurezza assunte dai luoghi di spettacolo tra cui il distanziamento obbligato nei posti a sedere alternati, l’utilizzo costante della mascherina, e soprattutto la totale assenza di cluster di contagio identificati con gli stessi, andare al cinema o a teatro o ad un concerto è un esperienza vissuta in un regime di elevata sicurezza personale.
Un sacrificio che può valerne la pena?
La polemica è comunque sterile. Credo che buona parte di noi esercenti di cinema sarebbe ben contento di sacrificare un altro mese o più di attività se potessimo dare con la nostra chiusura un contributo determinante alla riduzione della curva dei contagi. Purtroppo sarebbe bastato guardare agli spettatori che il cinema ha generato tra agosto e ottobre per comprendere quanto marginale potrà essere il nostro apporto. La catena industriale del cinema in sala è articolata e prescinde da dinamiche anche solo nazionali.

Il blockbuster
In questo momento gran parte dei cinema dei maggiori paesi industrializzati è ferma. Tutti i maggiori blockbuster americani, il sostegno prevalente del mercato mondiale, la cui uscita era prevista nel corso del 2020 spostati nel 2021 e 2022. Alcuni in capo alla Disney sono finiti direttamente sulle piattaforme in palese violazione degli accordi che prevedono l’approdo principale dei film nelle sale cinematografiche.
Il cinema in Italia
Nella piccola Italia in questi mesi si è vissuto per lo più del prodotto autarchico. Rivelatosi, se mai non si fosse già intuito, anacronistico, autoreferenziale, rigidamente ancorato a modelli di commedia ormai obsoleti e pertanto snobbato dal pubblico. La cruda realtà è che pochi film e inadeguati, sommati ad una generalizzata diffidenza del pubblico tradizionale a mettere piede dentro una sala hanno fatto girare il mercato al 25%/30% rispetto allo stesso periodo del 2019.
La chiusura dei cinema

Ora la nuova chiusura ha nuovamente sparigliato il calendario delle uscite. E i tempi di riorganizzazione del mercato saranno molto più lunghi rispetto alla data di riapertura. Con tutto il rispetto per i colleghi dei pubblici esercizi, riaprire un ristorante dopo un periodo di chiusura forzata, tra approvvigionamenti e pianificazione del personale ha tempi piuttosto ridotti. Riaprire le sale cinematografiche significa ricalendarizzare tutte le uscite dei film. Renderle omogenee fra loro. Rifare i piani di comunicazione, garantirsi un numero di sale adeguato rispetto all’importanza commerciale del film e alle sue aspettative di incasso.
Ciò significa che dal momento in cui ci sarà il via libera alla riapertura, e ragionevolmente la decisione verrà presa in base al quadro epidemiologico generale solo qualche giorno prima della scadenza annunciata, ci vorranno mesi per consentire un adeguata riorganizzazione del mercato.

Le sale del cinema
Nel caso delle sale appunto, se la data del 24 novembre annunciata quale possibile riapertura verrà confermata, significherà non vedere film di una certa importanza se non a fine dicembre o inizio anno. L’amara conclusione sarà che non avremo raggiunto alcuno degli obiettivi prefissi: non avremo inciso significativamente sulla riduzione dei contagi, non sapremo cosa offrire al pubblico una volta riaperti. Tra beffa e danno almeno uno dei due potevamo evitarlo?
