C’è una splendida mostra alla Giudecca, fino al 31 luglio, a Spuma Space for the Arts, in fondamenta San Biagio 800. S’intitola Motion of a Nation ed è curata da un grande della cultura sudamericana, intellettuale, ideatore di mostre sensazionali, teatrante, poeta: Antonio Arévalo. Si tratta di una collettiva prestigiosa, di livello internazionale, in cui artisti di ogni provenienza s’interrogano sulla trasformazione del concetto di nazione. Limite o bandiera identitaria, codice genetico o prigione?
Il simbolo della Bandiera
Già lo spazio – nascosto, poco patinato, squisitamente collettivo, dall’allestimento minimale – conferma l’intento concettuale del curatore; il messaggio è work in progress, prevede un’elaborazione sottile, strettamente individuale, talmente personali sono le opere – visuali, fotografiche, video – che l’esposizione annovera. Trentun interventi singoli più uno smisurato Ateneo Libertario, a comporre un mosaico d’idee, nostalgie, sensazioni e denunce ineludibili, con un focus sulla più stretta attualità (perché cambiano gli scenari, ma l’indignazione deve restare la medesima). «Si tratta – spiega il curatore – di una mostra che documenta un percorso singolare, attraverso non soltanto uno dei simboli della tradizione iconografica, ma anche la Nazione, anzi la nozione di Nazione che significa appartenenza, ma anche stracci senza significato. Un simbolo di riconoscimento, ma talvolta di vacuità. Le Nazioni, in quanto tali – aggiunge – oggi sono anche un limite alla libertà, un confine, un pretesto per generare conflitti politici, economici, guerre senza fine».
Arévalo e la Bandiera

Arévalo parla con cognizione di causa: nato a Santiago del Cile nel 1958, a soli sedici anni è costretto ad abbandonare il suo Paese in seguito al colpo di stato del generale Augusto Pinochet. Un’esperienza dolorosa che lo accomuna a molti intellettuali cileni rifugiati in Europa, da Roberto Bolaño a Francisco Smythe. Nel 1975 arriva in Italia, a Roma.
La sua formazione si nutre del contatto diretto con le realtà artistiche e culturali dagli anni Ottanta in poi, dalla poesia visiva al teatro immagine, per poi dedicarsi all’arte contemporanea; su questo fronte, Arévalo s’impegna a rendere vivo e continuo il dialogo tra America Latina e Vecchio Continente, soprattutto creando sinergie tra artisti.
Dal 2001 collabora come curatore e commissario di progetti speciali con la Biennale veneziana di Arti Visive. Dal 2014 al 2018 è addetto culturale del Cile in Italia.
Motion of a Nation

Probabilmente, anche per queste esperienze plurime e di spessore, Motion of a Nation gode di una irriducibile, sobria eleganza. Vive di simboli messi in discussione, di storie e delle distorsioni inevitabili a cui sono sottoposte, tra tecniche e materiali diversi: fotografia e disegno, pittura, video, intrecciando rimandi politici della dissidenza e linguaggi pop (un po’ d’altri tempi), storia e cronaca, fumetto e poesia. Ecco, la poesia: traspare come radice comune, si abbevera di nostalgia sottotraccia, come a ribadire che c’era un tempo, neppure troppo lontano, in cui si poteva ancora credere a qualcosa.
Il valore della Bandiera e della Nazione

Nello stanzone dai bianchi muri scrostati, senza finestre, si allineano in sequenza apparentemente casuale, lavori significativi: ad esempio il video in 35 millimetri che Antonio Manuel girò nel 1973, ad inquadrature fisse, per ritrarre i protagonisti del celebre dibattito “Follia e Cultura” al MAM di Rio de Janeiro. Le riprese frontali, laterali e di spalle – tra i protagonisti un giovane e affascinante Gaetano Veloso – sono sonorizzate con l’inno nazionale francese, La Marsigliese. Sulla parete opposta The Maelström,un altro video del 2024 dello spagnolo Santiago Sierra che ci ricorda immagini molto tristi e recenti: qui siamo in Gambia. Uomini inginocchiati, le mani dietro la testa, obbediscono ad un rito di sottomissione. Solo che i corpi scuri si fanno via via pattern su sfondo bianco, elementi grafici di una composizione disumanizzante. Una denuncia fortissima sul potere e le sue derive. Silvano Rubino, celebre artista concettuale veneziano, affida al neon un messaggio profondo e semplice allo stesso tempo: Art is my Nation. Una via di condivisione, che travalica i confini; un’opera ponte, che profuma di pop art. A sua volta, Daniela Papadia, con Il Filo dell’Alleanza, utilizza il ricamo come strumento per rappresentare le connessioni umane; il ricamo come metafora della “riparazione”. Insieme ad altre donne pacifiste, Papadia ha infatti realizzato arazzi tra Israele e Palestina, e il suo progetto è stato raccontato in un documentario di Francesco Micciché.
Anche l’Italia

La stessa bandiera italiana è stata diversamente utilizzata dai singoli artisti, ad evidenziare la questione identitaria come codice semantico. Se ne appropria Paolo Angelosanto con Chi ha ucciso Pasolini, in un’opera a metà tra lo stereotipo e la giungla mediatica; la reinterpreta Paolo Toffolutti nella sua Installazione: un tricolore fatto di libri bianchi, rossi e verdi posati semplicemente a terra, quasi fossimo al mercato. L’artista ci invita a osservare, valutare e scegliere, in una riflessione sui simboli e, perché no, sul consumo culturale.
Oltre la bandiera


Tante sono le narrazioni: la Fotografia di Alejandro Vidal che racconta l’azione tenuta a Lima nel 2000 dal Colectivo Sociedad Civil che lava la bandiera nazionale per opporsi simbolicamente alla corruzione del regime; oppure, più leggero, il video Coexistence (2003) della biologa panamense Donna Conlon che racconta di un gruppo di formiche rosso ruggine mentre trasporta frammenti di piante nella foresta. Ogni foglia, ogni detrito reca dipinti simboli di pace e bandiere nazionali in allegra, e naturale, processione.
Una mostra coraggiosa, e libera, come il suo curatore. Assolutamente da non perdere.

Motion of the Nation
a cura di Antonio Arévalo
SPUMA Space of the Arts
Fino al 31 luglio 2025
Fondamenta San Biagio 800R, Giudecca, Venezia
Ingresso libero su appuntamento