Un’amica padovana mi ha scritto: “Uno psichiatra di cui non ricordo il nome ha detto che la società ha bisogno di essere curata. E parlava di noi, naturalmente, di questo organismo sociale di cui siamo elementi costitutivi, e del nostro presente, un grido d’allarme o, forse, la registrazione di una sindrome? Io l’ho presa molto seriamente, tant’è – aggiunge la signora – che di mio dico questo: sul lettino di Freud dovrebbero stendersi a turno tanti di noi, dai più grandi ai più piccoli fra gli umani che hanno diritto al voto, cioè cittadini responsabili di questo secolo, il governo dovrebbe affrontare la crisi che ci invischia e programmare per decreto una analisi psicoanalitica di massa, perché…”
Il tono esacerbato e utopistico non lascia molto spazio al ragionamento, però la mail si chiude con una vistosa domanda: perché curare il nostro mondo come fosse una entità cementata quando invece è costituito da milioni di singolarità – o solitudini – a loro volta bisognose di medicine specifiche? L’amica dell’Anonimo è un’attenta lettrice di cronache giornalistiche – su carta e on line – e dunque la dobbiamo accreditare di una certa confidenza con le parole: società malata significa cittadini malati e, esasperando il concetto, confessare che anche noi abbiamo qualche linea di febbre angosciosa.
Se la malattia viene a galla…
Osservando l’informe fanghiglia che viene a galla dalla cosiddetta infosfera (il complesso dei mezzi di comunicazione) viene il sospetto che un vento di follia, o un virus, stia percorrendo il presente, una specie di febbre contagiosa che induce all’omicidio e al suicidio con tante vittime innocenti. Madri che portano con sé nella morte i loro figli, l’uomo anziano ed elegante che, in coda allo sportello dell’Usl improvvisamente spinge la paziente che lo precede e brandisce il bastone da passeggio come un’arma (testimone l’amica padovana); massacri di civili in zone di guerra, bande di minorenni che sfasciano un locale, ragazze stuprate da un branco di ragazzi “normali”, studenti che distruggono la propria famiglia a coltellate, medici e infermieri assaliti al Pronto soccorso…
La furia scomposta e aggressiva di tante esplosioni psichiche che spesso incontriamo sui giornali senza riuscire a capirne le cause, dove nasce? Viene da plaghe remote della società (ma la società ha un’anima?) o sono avvolte dal mistero che ogni persona porta in sé? Dopo l’esperienza dei no vax, c’è forse da aspettarsi che qualcuno abbia “in tasca” la risposta definitiva e cominci a parlare di possessione del Maligno, di indemoniati?
L’Ecologia più antica
Per qualcuno, o forse per molti, specialmente politicanti in carica, la parola ecologia è diventata urticante, cioè suona fastidiosa ai delicati orecchi della gente comune, forse – cerco di capire – perché ci porta davanti al naso il puzzo dei nostri disinvolti inquinamenti, la responsabilità di veri e propri untori del mondo quando sarebbe opportuno, anzi necessario, cambiare scala di valori e pensare che le nostre azioni personali moltiplicate per milioni di volte diffondono un’orrenda lebbra sul volto del Creato.
A questo proposito, la signora N. mi ha ricordato una voce che viene dal profondo pozzo del passato, quella della Bibbia, quando Jahvè si rivolge adirato e offeso agli uomini con queste parole: “Io vi ho condotti in una terra di giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti. Ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso il mio possesso un abominio” (Geremia 2).
Difficile commentare. Forse ci starebbe bene un collettivo mea culpa. O no?
Pronto, mamma?
La piazza brulicava di persone in continuo movimento e di musiche d’altoparlante, era quel caos allegro che produce ogni corsa che ci concluda con la cerimonia della premiazione: i maratoneti in festa, la città occupata dalla frenesia sportiva. Uscito da quella bolla di entusiasti vocianti, ero quasi arrivato al Duomo quando alle mie spalle, nitida su quel confuso chiacchiericcio di fondo, si è staccata una voce che diceva: “Pronto, mamma?”
Voce giovane e alta, voce maschile che mi ha bloccato e provocato una forte emozione, quasi un tremito. Non saprei dire perché, avrei voluto voltarmi indietro per vedere la persona che in una mattina di domenica si ferma in mezzo a una piazza per telefonare alla madre lontana. Commosso, dicevo, ma direi scosso, non ho guardato, rispettoso di quell’intimità che si stava creando e che la mia curiosità poteva in qualche modo alterare.
E, tornando verso casa, meditabondo, ho pensato alle tante mamme che aspettano di sentire una voce sopra ogni altra nel vuoto di certe giornate abitate per lo più da vite solitarie, spesso ai confini della società; e “quella” voce ha il potere di risvegliare in loro il ricordo di un’altra “attesa”, lunga nove mesi, che si sarebbe conclusa con un grido che era il saluto alla vita.
Che dire di più? La più bella “connessione” possibile è avvenuta sotto i miei occhi, in quell’ora precisa in cui ero uscito a prendere il giornale. Miracoli del vivere quotidiano.
Caro amico anonimo , giuste e , purtroppo vere , le tue riflessioni riguardanti la solitudine e l’ isolamento che stanno caratterizzando quest’era .
Ti dico di più: stiamo distruggendo il nostro pianeta , senza averne un altro di ricambio . Ma non dobbiamo cadere in uno sterile pessimismo ! Finché un giovane chiama la sua mamma e finché un altro perde la vita per salvarne un’ altra, significa che la lampada , di cui Luca parla oggi , e ‘ sempre accesa . Ti leggo sempre con tanta ammirazione e ti chiedo di continuare ad essere ” portatore di luce ‘
Ho appena terminato a dire la mia sui temi importanti che hai approfondito con tanta saggezza e delicatezza. Ma prima ancora di aver terminato, mi è sparito tutto … magia o diavoleria digitale? Ci sentiremo a voce !
Sull’ultimo argomento della telefonata di un giovane a sua madre, posso dire con gioia e orgoglio di avere un figlio che abita a molti kilometri di distanza e che ogni sera mi fa una telefonata di aggiornamento!