Papa Francesco a Venezia, nel nome della bellezza, ma non solo. Una inusuale visita-lampo, davvero poco “ufficiale” e assai ridotta rispetto ai tempi normali di una visita pastorale; ma un incontro nel nome della “bellezza”, una delle categorie teologiche preferite da papa Bergoglio assieme a quella della “misericordia”. E non poteva che essere così nella città che nei secoli ha scelto il bello come lingua universale per sedurre il mondo. Così papa Francesco ha provato a parlare nello stesso idioma, per ribadire al mondo il suo messaggio.
Papa Francesco per la prima volta a Venezia
E’ il primo appuntamento, quello cioè al carcere femminile della Giudecca, ciò che conta davvero nella giornata veneziana, molto più che la conclusione in Piazza San Marco. E’ l’incontro con le ottanta detenute e quanto s’è realizzato nella casa di reclusione il vero cuore di questa visita papale.
Non è certo la prima volta che Francesco visita un carcere: il 29 marzo 2013, soltanto pochi giorni dopo la salita al soglio pontificio, Bergoglio scelse di celebrare la messa del Giovedì Santo nel carcere minorile di Casal Del Marmo, lavando i piedi a 12 detenuti (due erano donne musulmane). Era la prima volta che la Coena Domini usciva dalla Basilica di San Pietro. E a Verona, il prossimo 18 maggio, l’abbraccio con i carcerati si ripeterà. “Vi porto la carezza di Gesù”, disse la prima volta.
E a Venezia la carezza si è ripetuta
Nella vita si può sbagliare, ma ci si può sempre rialzare. Si può cadere, ma Dio non lascia nessuno in stato di “dis-grazia”. «Dio ci vuole insieme perché sa che ognuno di noi, qui, oggi, ha qualcosa di unico da dare e da ricevere, e che tutti ne abbiamo bisogno. Ognuno di noi ha la propria singolarità, ha un dono e questo è per offrirlo, per condividerlo», dice il papa rivolgendosi alle recluse.
Bergoglio fa intendere di conoscere bene lo stato in cui versano i luoghi detentivi del nostro Paese e le questioni insolute che ne rendono difficile la vita all’interno sia per chi sconta una pena che per chi vi lavora: «Il carcere è una realtà dura, e problemi come il sovraffollamento, la carenza di strutture e di risorse, gli episodi di violenza, vi generano tanta sofferenza». Le eco dei pestaggi al Beccaria e i 13 agenti arrestati sono ancora vive, come le precedenti violenze al carcere di Santa Maria Capua Vetere. E ancora il tasso di suicidi più alto di sempre tra i detenuti (33 si sono tolti la vita in soli quattro mesi), più quello di cinque agenti di polizia penitenziaria nel 2024. E l’aumento delle ore (20 su 24) a marcire in celle sempre più sovraffollate.
Bergoglio e la situazione delle carceri
«(Il carcere) però può anche diventare un luogo di rinascita, rinascita morale e materiale, in cui la dignità di donne e uomini non è “messa in isolamento”, ma promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità, magari rimaste sopite o imprigionate dalle vicende della vita, ma che possono riemergere per il bene di tutti e che meritano attenzione e fiducia. Nessuno toglie la dignità di una persona, nessuno!», è il monito del papa. Come dire: la politica faccia il suo, e presto.
Ma è stata anche la prima volta di un papa in visita alla Biennale di Venezia
Una scelta che conferma l’interesse di questo pontefice nei confronti dell’arte e degli artisti e che non a caso avviene solo pochi mesi dopo aver incontrato questi ultimi in Cappella Sistina nel giugno scorso. «L’arte e la fede hanno in comune il fatto che disturbano un po’, perché non possono lasciare le cose come stanno: le cambiano le trasformano, le convertono, le muovono», ebbe a dire in quell’occasione. Ecco allora che portare un’esposizione d’arte dentro un luogo di reclusione, come ha fatto il Vaticano per la Biennale d’arte di quest’anno, è un modo provocatorio per riflettere sui diritti umani e la cura degli ultimi (temi carissimi a Francesco), con lo sguardo non conformistico del creativo e del detenuto. “Con i miei occhi” è, infatti, il titolo dato al padiglione; occhi “sbarrati”, cioè, letteralmente, tra le sbarre di una cella, come avverte la prima opera esposta.
Papa Francesco e la Biennale
E così anche la visita al padiglione della Biennale, collocato dentro al carcere femminile, assume un significato pastorale e teologico, diventa discorso bergogliano su Dio, il mondo e i suoi “scarti”: è ricordare che l’arte è creazione di qualcosa di nuovo, che “prima non esisteva”, che ha la capacità di redimere, di trasfigurare la realtà, illuminandola col bello; che può essere ri-creazione in bello di una realtà ferita, degradata, incatenata. Non serve scomodare “La bellezza salverà il mondo”, di dostoevskijana memoria, o il verso immortale di De Andrè “dal letame nascono i fior”. Da una prigione si può liberare il pensiero, l’espressione.
Non ci sono sbarre che tengano. Il “bello” può spezzare le catene dei mali esistenziali. E così un evento artistico che nella norma dimora in spazi espositivi paludati e solenni, stavolta, entra in un assai meno aulico carcere, già convento, per farsi occasione di riscatto per chi vive la detenzione; ma è anche monito a non dimenticare questa realtà deprivata e le vite difficili che la popolano.
La spiegazione di Papa Francesco
Papa Francesco lo spiega a modo suo: «Allora, paradossalmente, la permanenza in una casa di reclusione può segnare l’inizio di qualcosa di nuovo, attraverso la riscoperta di bellezze insospettate in noi e negli altri, come simboleggia l’evento artistico che state ospitando e al cui progetto contribuite attivamente; può diventare come un cantiere di ricostruzione, in cui guardare e valutare con coraggio la propria vita, rimuoverne ciò che non serve, che è di ingombro, dannoso o pericoloso, elaborare un progetto, e poi ripartire scavando fondamenta e tornando, alla luce delle esperienze fatte, a mettere mattone su mattone, insieme, con determinazione».
Da qui l’esortazione appassionata: «è fondamentale che anche il sistema carcerario offra ai detenuti e alle detenute strumenti e spazi di crescita umana, di crescita spirituale, culturale e professionale, creando le premesse per un loro sano reinserimento. Per favore, non “isolare la dignità”, ma dare nuove possibilità!». Perché ognuno di noi nella vita ha conosciuto il buio. «Non dimentichiamo che tutti abbiamo errori di cui farci perdonare e ferite da curare, io anche, e che tutti possiamo diventare guariti che portano guarigione, perdonati che portano perdono, rinati che portano rinascita». E’ il Bergoglio-pensiero, che ancora una volta rilegge l’annuncio evangelico, sottolineandone la carica eversiva e di speranza: siamo tutti degni dello sguardo benevolo del Padre che è sempre misericordioso.
Papa Francesco e l’appello ai giovani
Ai giovani il papa ha, poi, riservato il secondo incontro davanti alla basilica della Salute. Esclusivo, particolare, come quello alle detenute. E ancora sotto il segno della bellezza: «Noi siamo qui oggi per questo: per riscoprire nel Signore la bellezza che siamo e rallegrarci nel nome di Gesù, Dio giovane che ama i giovani e che sempre sorprende», dice il pontefice. Anche con i ragazzi l’esortazione è la stessa: riconoscere che siamo belli agli occhi di Dio.
E “accogliere la bellezza che siamo”. E allora tutto sarà possibile, ripartendo da due verbi di movimento: “alzarsi e andare”. Non suggerisce vie facili, non blandisce con parole consolatorie, ma si pone all’altezza dei sogni di ogni giovane, ne prende sul serio tutta la voglia di cambiare il mondo, ma anche l’inerzia e la tentazione di arrendersi di fronte agli adulti chi ti dicono che nulla cambierà. «Alzarsi da terra, perché siamo fatti per il Cielo. Rialzarsi dalle tristezze per levare lo sguardo in alto.
Alzarsi per stare in piedi di fronte alla vita, non seduti sul divano
Avete pensato, immaginato, cos’è un giovane per tutta la vita seduto sul divano? L’avete immaginato questo? Ci sono divani diversi che ci prendono e non ci lasciano alzare». Solo usando un linguaggio diretto, empatico, si può far breccia nei cuori dei ragazzi. Francesco lo sa e accetta la sfida, come il maestro saggio davanti all’allievo che chiede risposte forti, che non deludano. «Il segreto di grandi conquiste è la costanza.
È vero che a volte c’è questa fragilità che ti tira giù, ma la costanza è quello che ti porta avanti. Oggi si vive di emozioni veloci, di sensazioni momentanee, di istinti che durano istanti. Ma così non si va lontano. I campioni dello sport, come pure gli artisti, gli scienziati, mostrano che i grandi traguardi non si raggiungono in un attimo, tutto e subito. E se questo vale per lo sport, l’arte e la cultura, vale a maggior ragione per ciò che più conta nella vita: l’amore, la fede».
La bellezza senza il fai da te
E poi l’affondo: occorre perseverare; ma bisogna farlo “assieme”. «Il “fai da te” nelle grandi cose non funziona. Per questo vi dico: non isolatevi, cercate gli altri, fate esperienza di Dio assieme, seguite cammini di gruppo senza stancarvi. Tu potresti dire: “Ma attorno a me stanno tutti per conto loro con il cellulare, attaccati ai social e ai videogiochi”. E tu senza paura vai controcorrente: prendi la vita tra le mani, mettiti in gioco; spegni la tv e apri il Vangelo. E’ troppo questo? Lascia il cellulare e incontra le persone. Mi sembra di sentire la vostra obiezione: “Non è facile, padre, sembra di andare controcorrente!”.
Ma voi non potete dire questo qui a Venezia, perché Venezia ci dice che solo remando con costanza si va lontano. Se voi siete cittadini veneziani, imparate a remare con costanza per andare lontano», arringa usando una metafora marinara ben comprensibile ai giovani presenti sul sagrato della basilica mariana. Millecinquecento in tutto: davvero pochi in realtà. Ma quella dell’abbandono delle nuove generazioni fin dai primi sacramenti, assieme alla fragilità delle famiglie e il calo delle vocazioni, è uno dei motivi che ha più convintamente spinto Francesco a predicare la “chiesa in uscita”, a rilanciare la missionarietà, come risposta consapevole al fenomeno dell’indebolimento progressivo e apparentemente inarrestabile della testimonianza cristiana nel Nord del mondo.
Papa Francesco e la voglia di cambiare
E’ lo stesso papa che nel 2017 si rivolgeva ai giovani con una lettera aperta in occasione della XV Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, in cui scriveva: «In apertura dell’ultima Giornata Mondiale della Gioventù, vi ho chiesto più volte: “Le cose si possono cambiare?”. E voi avete gridato insieme un fragoroso “Sì”. Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo! Anche quando avvertite, come il profeta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggia ad andare dove Egli vi invia: “Non aver paura perché io sono con te per proteggerti”. Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità».
Dopo “l’alzarsi”, infatti, c’è “l’andare”, cioè «farsi dono, donarsi agli altri, capacità di innamorarsi” e essere creatori di bellezza, e fare qualcosa che prima non c’era», afferma il papa. «Questo è bello! E quando voi sarete sposati e avrete un figlio, una figlia, avrete fatto una cosa che prima non c’era! E questa è la bellezza della gioventù, quando diventa maternità o paternità: fare una cosa che prima non c’era. È bello questo. Pensate dentro di voi ai figli che avrete, e questo deve spingerci in avanti, non siate professionisti del digitare compulsivo, ma creatori di novità».
Come chiedere il cerchio
E qui il cerchio si chiude, toccando ancora una volta il senso della bellezza, nel contesto della città “bella” per antonomasia, ma anche fragile per destino. «Fate come Venezia (“terra che fa fratelli”): siate belli senza temere le vostre fragilità». Un messaggio che va ben oltre i confini della laguna. Il resto è bagno di folla nella piazza più bella del mondo.
Foto di Luciano Livio