Qualche tempo fa è stata celebrata la Giornata del paesaggio, una delle ormai quotidiane celebrazioni di qualcosa che ci riguarda, qui da noi e nel mondo. Niente da eccepire: è un modo per incuriosirci e trattenerci sull’importanza di un bene, di un valore, di una data ecc. Non dobbiamo credere, però, che ventiquattrore ci bastino: passano in fretta, anzi – per dirla con un verbo di moda – evaporano davanti ai nostri occhi con la velocità tipica del nostro secolo.

Di paesaggio, comunque, vale sempre la pena parlarne: ci siamo dentro, con le città e i monumenti, innestati nel mondo fisico con le nostre opere sapienti, e qui viviamo i giorni e le notti. Lo narra la storia: per nostra natura, come specie Homo, siamo bravi costruttori di paesaggi e altrettanto capaci nel distruggerli! Averne consapevolezza è già un modo di capire il problema che sta nella parola paesaggio.
Ripetiamo, con gli scienziati, che i paesaggi, tutto compreso, sono il frutto di un rapporto uomo-natura, una eredità vitale, grande patrimonio che conosciamo spesso superficialmente: eppure oggi abbiamo strumenti e occasioni di conoscenza, come la neurobiologia vegetale di Stefano Mancuso, per esempio, che ci rivela l’anima del mondo e la nostra affinità con il “green”.
La bellezza del paesaggio

E potremmo parlare anche di bellezza. Perché no? C’è una bellezza che vive nelle forme vegetali e minerali, non per caso si parla di “spettacoli naturali”: è qualcosa che ci accompagna nella storia e richiede rispetto e cura. Oggi, in particolare, la minaccia ambientale, i cui fenomeni estremi stravolgono gli scenari del mondo fisico, è resa ancor più devastante dalle guerre e non è possibile ignorare il problema. In fondo, dice il saggio, anche noi siamo paesaggio. Dunque…
A proposito, la Comunità europea ha varato una legge che speriamo sia recepita presto, e subito applicata, anche dal nostro governo, usando il minor numero di parole possibile per lasciare spazio ai fatti. La Ue h varato la disciplina del rewilding, cioè il Ripristino della Natura: paesaggi degradati che possono diventare resilienti, cioè resistenti alle crisi climatiche, ma anche ecosistemi danneggiati da risanare e, insomma, l’impegno di curare le ferite dell’ambiente aggredito; in una parola: rinaturalizzare i paesaggi che sono stati, diciamo così, troppo “umanizzati.”
Uno di noi fra i Giusti

Nel giardino del Liceo Stefanini di Mestre oggi c’è un albero diverso: vi hanno fissato una targa che ricorda un eroe della nostra terra, diciamo meglio un martire. C’è scritto:
TORQUATO FRACCON
Patriota
Deportato nel 1944
Morto a Mauthausen 8.5.1945
GIUSTO TRA LE NAZIONI

In poche righe, un destino, quello di una vittima del nazifascismo insieme al figlio Franco: miei conterranei partiti dal Polesine e radicatisi a Vicenza dove sono entrati nella Resistenza cattolica. Di Torquato, in particolare, ho riletto in questi giorni il ritratto che ne fece anni fa lo scrittore e suo amico Antonio Barolini, unito ai due Fraccon dalla fede cattolica, dall’amicizia e dalla “mancanza di libertà civile e politica” in cui vivevano. Torquato era “un umano sapiente”, forte di una fede antica, che “sentiva in sé più la certezza di Daniele che la temperanza di Giobbe”, un eroe del nostro tempo ricordato anche nello Yad Vashem a Gerusalemme. E, sintetizzava poeticamente Barolini in un aureo libretto edito da Neri Pozza nel 1967, “si sentiva guerriero, nel senso di primitivo martire cristiano, così come il suo stesso nome comportava”.
Che sia oggi una scuola a ricordare quel Giusto fra noi è un tributo d’onore, il segno di un sentire patriottico che non ha i limiti dell’appartenenza politica, o partitica, ma si fonda sulla condivisione di un valore perenne: la libertà.
Due cartoline storiche
Un ritaglio di giornale locale, alcune fotografie: tutto fotocopiato e raccolto da un’amica dell’Anonimo in una cartellina per ricordare una stagione di un grande italiano nel centenario del suo sacrificio: Giacomo Matteotti. Il giornale racconta della famiglia Matteotti che nel primo decennio del ‘900 andava a villeggiare d’estate in Cadore, e precisamente a Lorenzago presso la famiglia De Marco, alla quale Giacomo scriverà delle cartoline, due delle quali recuperate dall’ex sindaco lorenzaghese Bortolo Mainardi. Sono documenti di un rapporto umano vissuto dal giovane Matteotti fuori dalla cerchia dei partiti, e della sua amicizia con le persone che lo ospitavano ed è bello ricordarlo nel centenario del suo assassinio per mano di sicari del “duce”.

Le cartoline sono datate 1916 e venivano da Messina dove Matteotti stava scontando un periodo di confino. Il motivo della restrizione è che il governo del re non voleva Matteotti “tra i piedi” per la sua nota avversione al conflitto e lo aveva “recluso quaggiù per ordine ministeriale” come scrisse con amara ironia il giovane uomo politico veneto in una delle lettere salvate: spedito lontano dal fronte, il “rivoluzionario” socialista non avrebbe potuto propagandare il suo pacifismo fra la truppa.
Scalarini

Una curiosità: la Prima guerra mondiale infuriava, e Matteotti scelse di proposito un’immagine politicamente violenta per mandare i suoi saluti: infatti, il recto di entrambe le cartoline è “forte”: vi è raffigurata una donna nerovelata che davanti al Parlamento implora: “Domando mio figlio!…” È un disegno satirico del famoso caricaturista Giuseppe Scalarini (1873-1948) contro la violenza del conflitto in corso da due anni; il verso non è meno crudo: vi è stampata una frase di Edmondo De Amicis che comincia così: “L’immagine della patria per noi socialisti, è una madre amorosa, equanime con tutti i suoi figli” e continua fino a concludere che la (sua) patria non è certo “una amazzone gonfia di borie… che vi benda gli occhi colla bandiera e cerca la gloria nel sangue”.
Diciamo primavera

(poesia)
Primavera per noi è un soffio gentile,
una pioggia che lava
l’amaro della vita
Primavera per noi è un vento chiaro
che toglie la polvere
dai sogni della gente
Per noi è mutamento
e spinge i cuori in avanti
Ma la primavera sul mappamondo
è fuoco e fiamma
è nebbia velenosa
e non passa mai.
La primavera, oggi, lontano da noi
è solo un cielo buio
che soffoca la luce
di una pace sognata.
Anonimo ‘24
Erano tutti partigiani a Vicenza . Torquato Fraccon , il figlio Franco , studente al primo anno di medicina a Padova , la figlia Graziella e la mamma. Torquato era nato a Pontecchio ( Polesine ) nel 1887 , amico di Umberto Merlin , funzionario della Banca Cattolica a Vicenza, lì si trasferi’ con la famiglia e con Licisco Magagnato, Mario Segala e Neri Pozza fondo’ la D.C. La sua casa divenne un centro di Resistenza Partigiana. Fu imprigionato per due mesi , poi fu prelevato con Suo figlio e mandato a Mauthausen, dove Franco morì. Furono lasciate in carcere le donne : la mamma e le due figlie , liberate infine dalle forze di Liberazione . Graziella Fraccon studiava matematica a Padova , ritrovò il suo ragazzo Ermes Farina , laureando in ingegneria, si sposò con Lui e vennero ad abitare in Via Cardinal Massaia .Ermes era un alto funzionario della SIP , Graziella insegnava matematica alle scuole medie
Io ebbi l’ onore e il privilegio della loro amicizia , come di Nadia ed Ivo . Ho imparato tanto da questi vicini di casa e non finirò mai di ringraziarli .
Voglio e DEVO precisare che a Mauthausen morirono entrambi : il padre , Torquato Fraccon e Suo figlio Franco . Grazie.