L’architetto veneziano Franco Bortoluzzi, uno dei pochi che ha firmato progetti prestigiosi a Venezia nel ‘900, diceva: il mio sogno sarebbe far tornare i residenti mestrini a Venezia. L’ing. Eugenio Miozzi, un visionario grande progettista, andava più in là. Per far rinascere una Venezia insulare rivolta al mare, sognava negli anni Cinquanta una specie di Manhattan al Lido. Grattacieli, sublagunari e posti per centinaia di migliaia di abitanti nei dodici chilometri litoranei.
Non sto esagerando, ma il progetto “Smart-a” di 12 architetti presentato in occasione di Open e organizzato dal Consiglio nazionale degli architetti, mi fa sognare alla grande per la mia città.


Parliamo del progetto di Santa Marta-Italgas. Estrema periferia nord-ovest tra la Marittima e la Ferrovia, tra Dorsoduro e Santa Croce. Un quartiere popolare, una specie di paradosso, se pensiamo giudicato periferico a Venezia. E invece nel futuro piano urbanistico, centralissimo.
Il progetto è firmato dai dodici architetti che vanno citati tutti: Gianluca Ballarin, Massimo Bergamini, Mirva Bertan, Silvia Briganti, Lorenzo Cucco, Odino Dell’Antonio, Francesco Donaggio, Pietro Mariutti, Matteo Pandolfo, Luciano Rosada, Roberta Sbavaglia, Giovanni Selvatico. Ricordo solo che l’ultimo architetto citato e il pronipote del sindaco progressista Riccardo Selvatico, l’artefice della prima Biennale d’arte di Venezia del 1895 e dei grandi cambiamenti culturali.
Il progetto urbanistico per la rigenerazione di Santa Marta ed ex area Italgas è molto articolato e prevede un recupero residenziale degli edifici dismessi, una mega darsena per barche da diporto per i residenti e di yacht per il turismo nautico, un grande parcheggio sotterraneo per automobili, una zona verde, un’area sportiva, una pista ciclabile collegata con la Ferrovia e con Piazzale Roma.
In pratica l’asse tradizionale del centro storico, circoscritto tra Piazzale Roma (pensato nel lontano 1933 con il ponte automobilistico), la stazione ferroviaria (1847..), Rialto e San Marco, verrebbe stravolto a favore di una realtà urbana spostata verso nord-ovest. Tra il canale della Scomenzera, la Marittima e le Zattere. Sembra poca cosa ma non lo è.
Per esempio il piano di cohousing a Santa Marta prevede centinaia di alloggi, energicamente autosufficienti, per dipendenti pubblici e funzionari statali che oggi hanno difficoltà di farsi trasferire a Venezia (pensiamo al Tribunale o al personale sanitario del Civile).


Secondo l’architetto Odino Dell’Antonio, il recupero dei binari dismessi delle Ferrovie, un ponte di collegamento e una pista ciclabile, darebbero al canale della Scomenzera, una dignità e una centralità urbana che adesso non ha. Per il collega Gianluca Ballarin, molto sensibile a progetti per limitare barriere architettoniche, il piano aumenterebbe gli accessi ai disabili, sia per le automobili che per la libera circolazione già resa difficile per I troppi ponti.
L’area interessata è di quasi cinque ettari, sembrano pochi, ma possono risolvere tanti problemi. Ne citiamo solo uno: il cronico intasamento di Piazzale Roma, quello che nel 1933 veniva definita dalla stesso Eugenio Miozzi una “soluzione provvisoria”. All’epoca, ottanta anni fa, ideò e progettò il garage più grande d’Europa, che nemmeno Parigi e Londra possedevano. I tempi sono cambiati radicalmente. Un paese con trenta milioni di auto circolanti e una città che ha perso tre quarti dei suoi residenti, con oltre 20 milioni di turisti, invitano a meditare seriamente.
Oppure i nostri vecchi erano molto ma molto più moderni di noi.