Andrea “Giostre” Ceccato, pilone sinistro classe 1985, ha vinto lo storico scudetto nel 2013 a Mogliano. Nel suo passato anche il Benetton, per quattro stagioni, tutte nell’era preceltica e San Donà. Una vita dedicata al rugby (anche suo fratello Nicolò gioca nel Mogliano) e nel sangue una passione mai assopita per la palla ovale derivata da suo padre e da suo zio. Nel 2020 ha toccato le 200 presenze nelle massime serie a Mogliano con cui vinse anche lo scudetto. Proviene da una famiglia di rugbisty e, da come parla si sente.«Ho il rugby nel Dna. Prima di me giocavano sia mio padre che mio zio mio. Papà fino ai 20 anni era bandiera della Tarvisium. Vedere le partire sin da piccolo mi ha fatto amare a questo sport che ho intrapreso a 8 anni. Ho anche un fratello Nicolò che gioca nel Mogliano. Praticamente è una tradizione di famiglia, tutti in prima linea tranne mio zio che giocava terza linea e papà tallonatore».
Ceccato lascia
Adesso a 38 anni appendi le scarpette al chiodo però. Qual è il tuo futuro sportivo?«A me piacerebbe restare nell’ambito sportivo anche se non ho al momento delle pretese precise. Attualmente non farei l’head coach ma vorrei lavorare sui giovani. Questo sarebbe il mio sogno vero».Di scudetti ne ha vinti. Quale ricordi con più piacere?«Quello di Mogliano, non il primo di Treviso che era il mio primo personale ma quello di Mogliano rimane storico per il ruolo che avevo e per la squadra che si era venuta a formare è un tatuaggio che non si cancella».Quale partita ti ha lasciato un segno?«Sono due partite che riguardano la mia carriera; l’esordio in prima squadra con il Benetton impegnato come terza linea in Coppa contro avevo giocatori di calibro internazionale. Quella che fa parte della mia vita sportiva è la semifinale di ritorno contro il Viadana nell’anno dello scudetto. È stata una gara disputata con due giocatori in meno ma l’abbiamo vinta e me la porterò sempre nel cuore».
Ceccaro, cosa auguri al Mogliano per la prossima stagione?
«Spero possa tornare ai fasti di qualche anno fa perché è una bella realtà che merita un palcoscenico di massimo livello e con un professionismo che ha diritto costruendo anche con altre realtà del territorio puntando sui ragazzi che abbiano la voglia e la forza di amare quei colori magari puntando a Treviso e gli auguro una stagione meno offerta di quella passata diventando l’outsider del prossimo campionato di Eccellenza. Deve valorizzare le realtà anche delle serie minori come il Villorba o il Paese in modo tale da portare i ragazzi a far parte di una cantera che miri al Pro 12. Dopo questi anni di difficoltà dovute anche al Covid io penso che le società debbano mirare più ai ragazzi che si innamorino dei colori e ambiscano al massimo senza nessun campanilismo che è il male vero dei ragazzi».
Dall’alto della tua esperienza da dove deriva il soprannome “Giostre”?
«Mi è stato dato da Silvio Orlando legato alle attività della mia famiglia di mercati ambulanti e io lavoravo con loro. Sembrava strano e da lì è nato il soprannome “Giostre” che poi mi è rimasto incollato anche all’estero. E pensare che il mio primo soprannome sarebbe “Buietto” derivante da mio zio soprannominato “Buio”».Rimorsi e rimpianti a livello sportivo?«Fondamentalmente mi ritengo fortunato nelle scelte fatte. Forse solo una cosa posso rimpiangere. Durante il mio percorso c’è stato un interesse da parte del Rovigo ma non è un rimpianto semmai un rammarico. Forse sarebbe stato bello far parte di quella compagnia che rispecchia i miei sentimenti e valori come uomo e come sportivo. Ma non è, ribadisco, un rimpianto o un rimorso».
Foto: Alfio Guarise